Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 37680 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 37680 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Grumo Nevano (Na) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/2/2025 del Tribunale di Napoli Nord; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso;
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18/2/2025, il Tribunale di Napoli Nord dichiarava NOME COGNOME colpevole dei reati di cui ai capi 5), 6) e 7) della rubrica, tutti contestati ai sensi del d. Igs. 3 aprile 2006, n. 152; l’imputato – insieme NOME COGNOME – era inoltre prosciolto da altre contestazioni, perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto o per intervenuta prescrizione.
Propone ricorso per cassazione il COGNOME, deducendo i seguenti motivi:
violazione degli artt. 62-bis, 131-bis e 133 cod. pen.; vizio di motivazione. La pronuncia impugnata non conterrebbe argomenti quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sebbene richieste dalla difesa. Negli stessi termini, mancherebbe ogni motivazione quanto alla causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, anch’essa oggetto di esplicita istanza e di certo applicabile al caso di specie in ragione di plurimi elementi di fatto (riportati a pag. 14), anche successivi alla ipotizzata condotta di reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
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Con riferimento ai tre capi di imputazione oggetto di condanna (5, 6 e 7), infatti, il primo motivo tende ad ottenere in questa sede una nuova e non consentita valutazione in punto di fatto di plurimi elementi istruttori già esaminati dal Tribunale, con particolare riguardo: a) alla documentazione che lo stesso imputato avrebbe prodotto circa la realizzazione della vasca interrata, b) al regolare smaltimento dei rifiuti liquidi contenuti in essa, c) all’utilizzo del solvente Solvanol nel processo produttivo. La stessa censura, peraltro, non valuta compiutamente le considerazioni sulle quali la sentenza si fonda, che – muovendo da precisi ed oggettivi esiti dibattimentali, in parte riferibili allo stesso imputato ha riconosciuto la colpevolezza del COGNOME con una motivazione del tutto solida, priva del travisamento denunciato e aderente alle prove raccolte.
4.1. In particolare, all’esito di un’ampia ed assai dettagliata ricognizione istruttoria (da pag. 4 a pag. 12 della sentenza), il Tribunale ha concluso che né al momento della verifica ispettiva, né al momento della successiva integrazione documentale, era stata prodotta relazione tecnica circa le dimensioni e le caratteristiche specifiche della vasca interrata di contenimento dei reflui prodotti dal processo di colorazione dei bottoni; ancora, non erano stati prodotti documenti attestanti lo smaltimento del rifiuto liquido stoccato nella vasca medesima. Alla luce dello stato di fatto riscontrato, ed in assenza di qualunque documentazione attestante il corretto smaltimento dei rifiuti, la sentenza – facendo proprie, con argomento non manifestamente illogico, le conclusioni dei funzionari RAGIONE_SOCIALE – ha quindi ritenuto che il deposito dei rifiuti liquidi, provenienti dal processo d colorazione dei bottoni, avesse avuto luogo da oltre un anno; che il rifiuto medesimo fosse stato smaltito in assenza di qualsivoglia titolo autorizzativo; che, ancora, fosse stato utilizzato un solvente organico – il citato Solvanol – nel medesimo ciclo produttivo, tale da imporre l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera. Con questi riscontri di merito, è stata dunque accertata la consumazione delle tre fattispecie contestate ai capi 5), 6) e 7), nei termini del concorso (con NOME COGNOME) nelle contravvenzioni di cui all’art. 256, comma 1, d. Igs. n. 152 del 2006 (per aver eseguito un’illecita attività di smaltimento e gestione dei rifiuti speciali liquidi presenti nella vasca), di cui all’art 256, comma 2, stesso decreto (per aver effettuato un deposito il regolare degli stessi rifiuti, oltre l’anno) e di cui all’art. 279, stesso decreto (per aver esercita l’attività in assenza della prescritta autorizzazione alle emissioni in atmosfera). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.2. Con riguardo allo stesso profilo di responsabilità, peraltro, i motivi di ricorso proposti risultano inammissibili anche per genericità.
4.2.1. In particolare, il riferimento alla documentazione che la difesa avrebbe prodotto, “concernente la realizzazione della vasca”, non consente di superare le carenze istruttorie – indicate in sentenza come riconducibili all’imputato – quanto
alle caratteristiche tecniche e di tenuta stagna della vasca medesima (risultando non prodotta la relazione); tale documentazione, allegata al ricorso, quand’anche effettivamente in atti, attesterebbe invero soltanto le dimensioni e la capienza della vasca, ma nulla riferirebbe in ordine alle sue specifiche tecniche.
4.2.2. Analogamente, il riferimento al contratto che la “RAGIONE_SOCIALE” (di cui il ricorrente era amministratore unico) e la “RAGIONE_SOCIALE” avrebbero stipulato quanto allo smaltimento dei rifiuti, compresi quelli liquidi, come da fatture 2018-2023 (allegate al ricorso), non consente di superare l’inequivoco dato istruttorio (ampiamente riportato in sentenza) relativo alla mancata produzione di documenti attestanti lo smaltimento proprio del rifiuto stoccato nella vasca interrata e rinvenuto in sede ispettiva.
4.2.3. Ancora, risulta del tutto generica la considerazione difensiva secondo cui la sentenza non spiegherebbe le ragioni per le quali la struttura della vasca inciderebbe sulla sussistenza del reato; al riguardo, risulta sufficiente il richiamo ancora nella pronuncia impugnata – all’assenza dei dati concernenti, tra l’altro, la tenuta stagna della vasca medesima, dunque con riferimento ad un profilo di evidente rilievo nell’ottica della tutela ambientale.
4.2.4. Quanto, poi, alla dedotta assenza di motivazione circa la giacenza dei reflui (sempre nella vasca in questione) da oltre un anno, la sentenza ha evidentemente tratto il dato dal quantitativo di sostanze pacificamente rinvenuto e dalla già più volte riferita assenza di documentazione circa un regolare smaltimento. A ciò si aggiunga, peraltro, che lo stesso consulente tecnico della difesa non aveva fornito alcun elemento sul punto, emergendo dunque soltanto quanto riferito dal funzionario RAGIONE_SOCIALE circa il fatto che la vasca era piena al momento dell’intervento, così da giustificare ragionevolmente – in mancanza di documentazione di segno contrario – che i reflui si trovassero lì da oltre un anno.
4.2.5. Infine, quanto all’utilizzo del solvente Solvanol, risulta del tutto apodittica l’affermazione difensiva secondo cui la sentenza lo avrebbe tratto soltanto da una mera deduzione di un funzionario RAGIONE_SOCIALE. Come chiaramente riportato nella stessa pronuncia, e non contestato, era stata infatti la società, in data 19/7/2021, ad inviare all’Agenzia una pec contenente le schede tecniche dei prodotti utilizzati per la lavorazione (in particolare, la colorazione di bottoni): t questi, per l’appunto il Solvanol.
Tutte le censure in punto di responsabilità, pertanto, risultano manifestamente infondate.
Con riguardo, poi, al secondo motivo di ricorso, concernente lato sensu il trattamento sanzionatorio, il Collegio osserva quanto segue.
6.1. Quanto alle circostanze attenuanti generiche, il ricorso non individua gli argomenti eventualmente sottoposti al Tribunale per il loro riconoscimento, non
consentendo, pertanto, alcuna verifica in questa sede in ordine alla motivazione della sentenza.
6.2. Quanto poi alla causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., la stessa deve ritenersi implicitamente negata in ragione della pluralità delle condotte riscontrate (alle quali aggiungere quella di cui al capo 3 – art. 256, comma 1, lett. a, d. Igs. n. 152 del 2006 – dichiarata estinta per prescrizione), tale da integrare quel carattere di abitualità che di per sé impedisce l’applicazione dell’istituto. A tanto si aggiunga, inoltre, che non è dato sapere se l’insieme degli elementi valorizzati al riguardo nel ricorso (pagg. 14-15) sia stato sottoposto al Giudice del merito, risultando assente ogni indicazione al riguardo, compresa la doverosa allegazione del verbale di udienza; ciò, peraltro, non consente neppure di riscontrare, a monte, l’avvenuta richiesta della causa di esclusione della punibilità (così come delle circostanze attenuanti generiche), di cui l’intestazione della sentenza – evidentemente tratta dal verbale – non dà conto (“assoluzione per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste”).
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2025
Depositata in Cancelleria