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Gara clandestina in spiaggia: non basta la velocità

La Corte di Cassazione ha stabilito che per configurare il reato di gara clandestina non sono sufficienti l’alta velocità, l’abbigliamento tecnico e la presenza di più veicoli. È necessario provare l’esistenza di una volontà reciproca di competere. Nel caso specifico, un gruppo di motociclisti è stato definitivamente assolto dall’accusa di aver gareggiato su una spiaggia pubblica, poiché mancavano elementi concreti come sorpassi o una sfida manifesta.

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Pubblicato il 20 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Gara Clandestina: Quando la Corsa tra Moto non è Reato

La recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un tema delicato: la distinzione tra una semplice ‘sgasata’ in gruppo e una vera e propria gara clandestina, un comportamento che costituisce reato ai sensi del Codice della Strada. La Corte ha stabilito che, per condannare, non basta provare l’alta velocità o l’abbigliamento sportivo, ma è necessaria la prova di una reale competizione tra i partecipanti.

I Fatti: Motocross in Spiaggia tra i Bagnanti

Il caso nasce da un episodio avvenuto su una spiaggia pubblica, dove un gruppo di sei motociclisti, equipaggiati con abbigliamento tecnico da motocross, è stato sorpreso a sfrecciare ad alta velocità per circa 300 metri. La loro corsa, avvenuta tra bagnanti e ombrelloni, ha creato una situazione di pericolo, con sabbia schizzata addosso alle persone presenti. L’accusa contestata era quella di aver organizzato e partecipato a una competizione sportiva non autorizzata, violando l’articolo 9-ter del Codice della Strada.

Il Percorso Giudiziario

Inizialmente, il Tribunale aveva riconosciuto la colpevolezza di uno degli imputati. Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, assolvendo il motociclista perché ‘il fatto non sussiste’. Secondo i giudici d’appello, pur riconoscendo l’attività come ‘sportiva’, mancavano elementi sufficienti per affermare con certezza che fosse in corso una competizione, intesa come un confronto con un condizionamento reciproco della guida. La Procura Generale ha impugnato questa assoluzione, portando il caso davanti alla Corte di Cassazione.

La Prova della Gara Clandestina secondo la Cassazione

Il Procuratore ricorrente sosteneva che la sentenza d’appello fosse contraddittoria. Come si poteva definire l’attività ‘sportiva’ e allo stesso tempo negare la competizione, insita nel concetto stesso di motocross? Inoltre, l’abbigliamento, la tipologia delle moto (da enduro/cross), la velocità e la direzione comune avrebbero dovuto essere considerati indizi sufficienti.

La Suprema Corte, però, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione della Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno ribadito un principio fondamentale: la Cassazione non può riesaminare i fatti e le prove, compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Il suo ruolo è verificare che la motivazione della sentenza impugnata sia logica e non contraddittoria.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ritenuto che la motivazione della Corte d’Appello fosse incensurabile. I giudici di secondo grado avevano correttamente evidenziato come le uniche prove a sostegno dell’accusa fossero l’abbigliamento dei motociclisti e il loro numero. Nessun testimone, incluse le forze dell’ordine intervenute, aveva riferito di sorpassi, tentati o effettuati, o di qualsiasi altro elemento che potesse far desumere una ‘tacita e reciproca volontà di competere’.

L’abbigliamento tecnico, secondo la Corte, non è di per sé prova di una gara, ma una semplice e necessaria precauzione per la sicurezza in un’attività sportiva intrinsecamente pericolosa come il motocross. Allo stesso modo, il fatto che le moto fossero idonee a competizioni di enduro o cross non significa automaticamente che fossero utilizzate per una gara in quel preciso momento. Mancava, in sostanza, la prova di quell’elemento psicologico e fattuale che trasforma una corsa veloce in una competizione illegale: la sfida reciproca finalizzata a superarsi.

Conclusioni

Questa sentenza stabilisce un importante paletto per l’accusa nel contestare il reato di gara clandestina. Non è sufficiente basarsi su elementi indiziari come la velocità, l’abbigliamento o il tipo di veicolo. È indispensabile che l’istruttoria processuale fornisca prove concrete della volontà competitiva dei partecipanti. La pubblica accusa deve dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che i conducenti non stavano semplicemente guidando in modo spericolato e veloce, ma che si stavano effettivamente sfidando in una competizione, con un condizionamento reciproco della guida e l’obiettivo di prevalere l’uno sull’altro. In assenza di tale prova, il reato non può essere considerato sussistente.

Correre in gruppo ad alta velocità è sufficiente per configurare il reato di gara clandestina?
No, secondo la sentenza non è sufficiente. È necessario dimostrare una volontà reciproca e tacita di competere, che vada oltre il semplice fatto di viaggiare insieme velocemente. Deve emergere un ‘vicendevole condizionamento delle modalità di guida’.

L’abbigliamento tecnico da motocross può essere considerato una prova della partecipazione a una gara?
No. La Corte ha ritenuto che l’abbigliamento tecnico (casco, guanti, stivali) non sia di per sé indicativo di una gara, ma rappresenti piuttosto una misura di sicurezza necessaria per la pericolosità dell’attività sportiva svolta, anche se non competitiva.

Cosa deve provare l’accusa per dimostrare una gara clandestina?
L’accusa deve fornire elementi concreti da cui si possa desumere una competizione. Questi possono includere testimonianze su sorpassi (tentati o riusciti) o altri comportamenti che dimostrino in modo inequivocabile la volontà di sfidarsi e di superarsi a vicenda.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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