Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11928 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11928 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato in ROMANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/04/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
udito il difensore avvocato COGNOME AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME, che conclude per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, la Corte d’Assise d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza pronunciata in data 30 giugno 2022 dalla Corte d’Assise di Roma, ha confermato la declaratoria di responsabilità di NOME COGNOME per il reato di omicidio pluriaggravato di NOME COGNOME (artt. 575, 577, primo comma, n. 4, 61, primo comma, n. 1 e n. 5 cod. pen.), applicando la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti, così riducendo la pena a diciotto anni di reclusione.
1.1. Con concorde valutazione di entrambi i giudici di merito l’imputato è stato giudicato responsabile dell’omicidio commesso per futili motivi e approfittando della minorata difesa.
Ricorre NOME COGNOME, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, che chiede l’annullamento della sentenza impugnata, articolando tre motivi.
2.1. Il primo e il secondo motivo denunciano la violazione di legge, con riguardo all’aggravante dei futili motivi, che ha comportato l’impossibilità di richiedere il giudizio abbreviato, e il vizio della motivazione, non essendo stato accertato l’effettivo movente che ha spinto l’imputato a compiere l’azione delittuosa, sicché, in presenza del dubbio sul motivo ad agire, la circostanza aggravante doveva essere esclusa.
Il fondamento ‘storico’ dell’aggravante è stato individuato, nelle sentenze di merito, dall’antecedente lite scoppiata tra l’imputato e la vittima per un telefono cellulare (precisamente: per il caricatore di energia di esso); nondimeno, in prospettiva difensiva, alla sussistenza certa dell’aggravante osterebbero dati di tipo diverso (tempo trascorso tra l’inizio di una lite tra imputato e vittima e “evento finale morte”; “reale rapporto esistente tra le parti”), sicché sarebbe dubbia la sua ricostruzione e configurabilità.
Ad avviso della difesa, per la ricostruzione del motivo dell’omicidio è necessario fare riferimento al rapporto tra le parti e al lasso di tempo intercorso tra l’inizio della lite e l’omicidio; in particolare, come riferiscono i testimoni, è durata circa tre ore, mentre il momento culminante, che ha dato luogo alla finale aggressione che ha richiamato l’attenzione dei vicini, è durato circa 20 minuti.
Il ricorso sottolinea, poi, che il diverbio è avvenuto era in lingua rumena, sicché non è stato compreso dagli astanti ad eccezione del teste COGNOME che ne ha riportato l’origine a una discussione sul telefonino.
Ma, secondo la difesa, la causa scatenante è da ricondursi a rancori personali connessi alle diverse origini economico-sociali dei contendenti. Il substrato culturale e la condizione sociale, valorizzati in senso favorevole per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, non sono stati tenuti in considerazione con riguardo al motivo a delinquere.
2.2. Il terzo motivo denuncia il vizio della motivazione con riguardo al bilanciamento delle circostanze che non è stato effettuato nella massima estensione (terzo motivo).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Come correttamente evidenzia il Procuratore AVV_NOTAIO, il ricorso è nel complesso infondato.
Il primo e il secondo motivo, sulla circostanza aggravante dei futili motivi, sono infondati, pur presentando numerose doglianze inammissibili.
2.1. La costante giurisprudenza di legittimità, correttamente richiamata dal ricorso, afferma che per la configurabilità della circostanza aggravante dei motivi abietti o futili occorre che il movente del reato sia identificato con certezza, no potendo l’ambiguità probatoria sul punto ritorcersi in danno dell’imputato (ex multis: Sez. 1, n. 45326 del 11/11/2008, P.G. in proc. Giovinazzo, Rv. 242333; Sez. 1, n. 54074 del 18/01/2017, COGNOME, Rv. 272035).
Infatti, ai fini dell’accertamento penale, i fatti che integrano circostanz aggravanti, pur accedendo al fatto-reato cui sono riferiti, non si sottraggono alla regola dell’art. 187 cod. proc. pen., quali fatti secondari che direttamente incidono sulla pena e, quindi, alle regole di valutazione stabilite nell’art. 1 stesso codice (ex multis, Sez. 5, n. 41332 del 24/10/2006, Lupo, Rv. 235299).
Tale regola processuale, tuttavia, va applicata nella sua interezza e non soltanto, come pretende il ricorso, nella sua affermazione di principio astratto o, peggio, presuntivo.
Affermare, infatti, che l’esistenza della circostanza è oggetto di prova ex art. 187 cod. proc. pen. e, pertanto, è assoggettata alle regole di valutazione stabilite nell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., significa anche che la circostanza aggravante è assoggettata ai criteri di accertamento enunciati dalla
diposizione da ultimo richiamata: dunque, la dimostrazione della esistenza della circostanza si può trarre anche dalla prova logica, cioè sulla scorta degli indizi ricavabili dalle modalità del fatto nonché dalle circostanze di tempo e luogo, essendo sufficiente che gli elementi indiziari siano gravi, precisi e concordanti e che, globalmente valutati, consentano di risalire, in termini di certezza processuale, al requisito ideologico di “futilità causale” del movente omicida, cronologicamente prossimo alla condotta e idoneo pertanto ad integrare l’aggravante contestata (per un’applicazione del criterio all’aggravante della premeditazione, si veda: Sez. 5, n. 3542 del 17/12/2018 – 2019, COGNOME, Rv. 275415).
2.2. Orbene, i giudici di merito si sono attenuti ai citati criteri di pro l’errata applicazione di essi, del resto, è meramente enunciata tanto che è il motivo di ricorso prende spunto, in punto di ricostruzione storico-processuale, dal dato probatorio, incontrovertibile, che tra l’imputato e la vittima fosse scoppiata, a partire dalle ore 17.00, una lite furibonda in ragione dell’accessorio di un telefonino; che tale lite era perdurata con certezza fino alle ore 20.00, momento nel quale sono intervenuti anche i Carabinieri chiamati per sedarla; che l’omicidio, secondo la contestazione formale (non revocata in dubbio nelle fasi di merito dalla difesa dell’imputato), è avvenuto “tra le ore 20.00 e le ore 21.00” nel medesimo appartamento dove si era svolta la lite.
È, dunque, questa la ricostruzione dei fatti, cui mostra adesione il motivo di ricorso (v. pag. 3): non è, perciò, comprensibile su quale elemento, invece, riposi l’affermazione difensiva in ordine ad un asserito disallineamento temporale di circa tre ore tra l’insorgenza della lite e l’esecuzione dell’omicidio, nonché i “motivo” di esso.
È, invece, confermata la piena logicità della valutazione giudiziale circa il continuum tra il movente della lite e quello del suo epilogo finale, l’omicidio, che riporta così la futilità causale iniziale a movente dell’esito finale, senza cesure e soluzioni di continuità né ideologiche, né causali.
La certezza del movente è, quindi, raggiunta, sia in via storica (dichiarazioni testimoniali che il ricorso non contesta), sia logica (concatenazione degli eventi).
D’altra parte, il presunto deficit di prova, che dovrebbe avere riguardo al “reale rapporto intercorrente tra le parti” (pag. 2 del ricorso), benché annunciato nell’incipit del motivo non è in alcun modo ripreso nello sviluppo argomentativo
dello stesso, sicché rimane monca la doglianza e inconsistente una diversa determinazione psicologica dell’azione omicidiaria.
Il generico riferimento a battibecchi in ragione della “diversa estrazione sociale” dei protagonisti o la circostanza che la vittima rimarcasse la propria “origine” rispetto a quella dell’imputato, sono del tutto prive di specificità storic e di rilievo sul movente che, semmai, risulterebbe ancor più futile.
2.4. Il ricorso, quindi, oltre a dedurre una inconsistente questione di diritto, non si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato VL.quale, dando credito alla originaria versione dell’imputato, ha riportato il diverbio, poi sfociato nell’omicidio, alla presunta sottrazione di un telefonino o di un caricabatterie di valore risibile, circostanza che la difesa omette di contestare.
Il motivo di ricorso è, d’altra parte, inammissibile quando introduce, come causa scatenante dell’omicidio, una presunta inimicizia per ragioni sociali e culturali, sulle quali neppure la difesa aveva fatto leva nel giudizio di appello allorquando, invece, aveva sostenuto che il motivo scatenante era una “questione di soldi”.
A tal proposito, fermo restando che l’argomento è stato abbandonato dal ricorso, le censure difensive omettono di criticare la sentenza nella parte che ha giudicato inattendibile la linea difensiva tardivamente introdotta dall’imputato.
Premesso che, con indubbia generosità, sono state applicate le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle due circostanze aggravanti, le doglianze sul bilanciamento sono inammissibili.
3.1. La giurisprudenza di legittimità ha autorevolmente affermato che «le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione» (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931).
Non è ravvisabile il vizio di contraddittorietà della motivazione quando il giudice, in sede di giudizio di bilanciamento, pur ritenendo le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, non operi la riduzione di pena nella massima misura possibile, in ragione della sussistenza
delle aggravanti che continuano a costituire elementi di qualificazione della gravità della condotta (Sez. 2, n. 37061 del 22/10/2020, Nunziato, Rv. 280359).
D’altra parte, sul punto, la sentenza di appello motiva, in maniera sintetica, sulle ragioni dosimetriche che impediscono la massima espansione favorevole all’imputato del giudizio di prevalenza, pure applicato.
Nel caso in esame, infatti, il giudice di appello, dopo avere sottolineato che il comportamento processuale è stato solo in parte collaborativo e non particolarmente meritevole, ha giustificato il quantitativo della riduzione di pena con riferimento ai parametri dell’art. 133 cod. pen., ancorati a specifici elementi di fatto che il ricorso omette di criticare.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 2 febbraio 2024.