Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1817 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1817 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMANO DI LOMBARDIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/05/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME
NOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha riformato solo sotto il profilo del trattamento sanzionatorio la sentenza con la quale il Tribunale di Pavia aveva condannato NOME COGNOME per il delitto di furto pluriaggravato, contestato come commesso nell’ambito del rapporto di lavoro dipendente, per essersi l’imputato appropriato di materiale edile, nonché di assegni bancari, giustificando la sottrazione attraverso l’emissione di due fatture false.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, articolando due motivi di seguito enunciati negli stretti limiti indicati dall’art. comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, per non avere la Corte di appello riqualificato il reato contestato in quello di appropriazione indebita.
Ritiene il ricorrente che l’istruttoria abbia dimostrato la sussistenza in capo all’imputato dei poteri tipici dell’amministratore di fatto, e non già del mer lavoratore dipendente, ed allega al ricorso ii verbale stenotipico nel quale sono state trascritte le dichiarazioni della datrice di lavoro del COGNOME, persona offesa.
Dunque, l’imputato si sarebbe appropriato di beni dei quali aveva la piena disponibilità.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione.
Né le fatture né le dichiarazioni della persona offesa avrebbero consentito di raggiungere prova dell’ammontare del materiale sottratto.
Il Procuratore generale, concludendo per iscritto ai sensi dell’art. 23, comma 8, legge n. 176 del 2020 e successive modifiche, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è anzitutto reiterativo del secondo motivo di appello.
Inoltre, sembra dedurre il travisamento della prova, pure assolvendo all’onere dell’autosufficienza (dal momento che ha allegato le dichiarazioni asseritamente mal intese), ma lo fa in modo inammissibile: in primo luogo perché non specifica
il carattere di decisività delle dichiarazioni travisate (cfr. per tutte Sez. 6, n. 10 del 16/02/2021, F., Rv. 281085); in secondo luogo, perché dalla stessa esposizione del motivo si comprende come il dedotto errore non riguardi il “significante” delle dichiarazioni (cfr. Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, Grancini, Rv. 272406), ma solo il suo significato e dunque la valutazione che di esse i giudici di merito hanno dato; in terzo luogo, perché il ricorrente non ha prospettato, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato sia stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella sentenza di secondo grado (cfr. Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M., Rv. 283777).
In ogni caso, la motivazione resa dalla Corte di appello non è contraddistinta da alcun profilo di manifesta illogicità.
Fermo restando che alla Corte di cassazione non compete la rivalutazione delle prove, la Corte territoriale ha ricostruito, alla luce non solo della testimonianza della persona offesa ma anche delle altre dichiarazioni riepilogate a pagina 4 della sentenza impugnata, come il ricorrente abbia svolto attività di lavoro dipendente, godendo della massima fiducia della titolare e perciò essendo abilitato a maneggiare assegni ed emettere fatture, attività tutte funzionali al settore di attività del quale si occupava (il procacciamento di clienti e le connesse attività contabili e di fatturazione); ha dunque concluso nel senso che egli avesse a disposizione le chiavi del magazzino e gli assegni «per conto della COGNOME, unica titolare della società» (pag. 6).
Alla luce delle premesse, è corretta la conclusione, conforme al consolidato indirizzo secondo il quale, in tema di reati contro il patrimonio, ove l’agente abbia la detenzione della cosa, in mancanza di un autonomo potere dispositivo del bene è configurabile il reato di furto e non quello di appropriazione indebita (Sez. 5, n. 37419 del 21/06/2021, Manoliu, Rv. 281873; Sez. 4, n. 54014 del 25/10/2018, Veccari, Rv. 274749).
Del tutto generico, oltre che reiterativo del primo motivo di appello, è il secondo motivo di ricorso, che omette di confrontarsi con la motivazione resa dalla Corte di appello la quale, riportando le dichiarazioni della persona offesa, ha accertato la sottrazione di beni per euro 40-45000, corrispondente al valore del materiale di cui alla imputazione, a fronte del quale erano state emesse fatture false, come accertato per mezzo dell’audizione dei legali rappresentanti delle imprese che avrebbero richiesto prestazioni alla società della persona offesa.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 05/12/2023