Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28525 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28525 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a Pavia il 07/12/1971 COGNOME nato a Afragola il 10/07/1969
avverso la sentenza del 26/11/2024 della Corte d’appello di Milano Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso di Spiaggi e quello di COGNOME quest’ultimo ad eccezione che per i reati commessi il 15 novembre 2013 alle ore 12.52 e il 20, 21 e 25 novembre 2013 di cui al capo 42, per cui ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
lette le conclusioni dell’Avv. NOME COGNOME per la parte civile, che ha chiesto il rigetto o l’inammissibilità del ricorso o, comunque, la conferma delle statuizioni civili;
lette le conclusioni dell’Avv. COGNOME per Spiaggi, che, in replica alla requisitoria del Procuratore generale, ha insistito per l’accoglimento del ricorso; lette le conclusioni dell’Avv. COGNOME per COGNOME che, in replica alla requisitoria del Procuratore generale, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza oggi al vaglio della Corte è stata deliberata il 26 novembre 2024 dalla Corte di appello di Milano, che ha confermato la decisione del Tribunale di Pavia, che aveva condannato, anche agli effetti civili, NOME COGNOME
e NOME COGNOME per diversi episodi di furto aggravato di generi alimentari, commessi approfittando, rispettivamente, il primo, della mansione di cuoco nella mensa dell’ospedale San Matteo di Pavia e, il secondo, di dipendente di una cooperativa esterna e addetto alle pulizie.
L’imputato COGNOME ha presentato ricorso avverso detta decisione, con il ministero del proprio difensore di fiducia.
2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge per un errore di inquadramento giuridico, giacché i fatti sarebbero da sussumere nel reato di appropriazione indebita, che sarebbe prescritto e, comunque, improcedibile per difetto di querela.
Assume il ricorrente di essere stato abilitato ad accedere ai locali dove si trovavano le celle frigorifere destinate alla conservazione dei cibi, che venivano spesso utilizzate anche per riporre alimenti personali dei cuochi. Tutti i testimoni avevano affermato che Spiaggi era autorizzato ad accedere in tutti i locali cucina, comprese le celle frigorifere, in piena autonomia. Egli era anche autorizzato a operare una selezione nell’ambito dei cibi al fine di verificarne la commestibilità. Ne consegue, richiamati i criteri discretivi tra furto e appropriazione indebita, che l’imputato aveva l’autonoma disponibilità di quanto contenuto nelle celle frigorifere.
In limine il ricorrente ha precisato che la prescrizione sarebbe maturata, tenendo presente il più recente tra gli episodi e gli ottanta giorni di sospensione, nel giugno 2023, quindi prima della sentenza di appello.
2.2. Il secondo motivo di ricorso sempre al fine di sostenere la necessità della derubricazione in appropriazione indebita lamenta illogicità della motivazione quanto all’esegesi delle fonti di prova, per avere omesso di valutare la testimonianza di NOME COGNOME e NOME COGNOME che avevano riferito che Spiaggi era autorizzato ad accedere alle celle frigorifere. Il ricorso reca, poi, un passaggio circa la ritenuta assenza di autorizzazione in capo all’imputato alla consegna degli scarti in eccedenza.
2.3. Il terzo motivo di ricorso denunzia il silenzio della Corte territoriale su una censura dedotta con l’appello, concernente il travisamento di un’intercettazione, da parte del Tribunale, intercettazione che riguardava non già NOME COGNOME ma NOME COGNOME
Anche NOME COGNOME ha presentato ricorso per cassazione a firma del proprio difensore di fiducia.
3.1. Il primo motivo di ricorso deduce mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione laddove la Corte territoriale avrebbe
affermato apoditticamente l’inesistenza di una convenzione per la consegna di scarti ed eccedenze alimentari ad associazioni, escludendo che gli episodi del 15 e del 22 novembre 2013 fossero leciti conferimenti di scarti e avanzi all’ENPA. Nell’appello si era lamentato che il Tribunale avesse acriticamente recepito una dichiarazione del coordinatore delle indagini secondo cui, al tempo dei fatti, non vi era alcuna convenzione con l’ENPA, a dispetto del fatto che ve ne fosse una del 2011, prodotta dalla difesa all’udienza del 18 maggio 2021. Era stato altresì trascurato: che il teste del pubblico ministero COGNOME aveva affermato che COGNOME ‘si dava da fare’ nel portare gli scarti fuori e che, per i conferimenti all’ENPA, non era prevista alcuna annotazione sul registro; la testimonianza di NOME COGNOME e NOME COGNOME che avevano confermato che gli scarti venivano conferiti usualmente all’ENPA; le precise indicazioni dell’imputato; le dichiarazioni di NOME COGNOME, proprietaria del furgone dove COGNOME caricava gli scarti destinati all’ENPA. Inoltre assume il ricorrente la testimonianza di NOME COGNOME era stata travisata. La carenza lamentata si risolverebbe in un difetto di motivazione circa il secondo motivo di appello.
3.2. Il secondo motivo di ricorso deduce mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione e violazione di legge perché la Corte di appello nel recepire la sentenza di primo grado avrebbe tratto la prova che i sacchi non contenessero derrate destinate all’associazione dalla circostanza che essi non fossero passati prima per lo sgabuzzino.
3.3. Il terzo motivo di ricorso lamenta mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione quanto all’episodio delle ore 12.52 del 15 novembre 2013 di cui al capo 42, perché la Corte distrettuale avrebbe tralasciato di rispondere al motivo di appello che fondava sulla considerazione secondo cui gli addetti a particolari servizi ricevevano il cibo fuori orario perché non riuscivano ad andare a mensa, il che giustificava la consegna di cibo ad un soggetto da parte di NOME, consegna che era stata immortalata nelle immagini carpite dalla polizia giudiziaria.
3.4. Il quarto motivo di ricorso deduce mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione e violazione di legge quanto alla conferma del giudizio di colpevolezza per i fatti del 20, 21 e 25 novembre 2013, sub capo 42.
Il ricorrente riporta passaggi della sentenza del Tribunale e delle critiche mosse a quest’ultima quanto all’interpretazione di alcuni video e sostiene che la Corte di appello le avrebbe date per buone senza occuparsene.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di COGNOME è inammissibile, mentre quello di COGNOME coglie nel segno.
Il primo motivo di ricorso di NOME COGNOME che lamenta il vizio di inquadramento giuridico della condotta, da sussumere non già nel reato di furto, ma in quello di appropriazione indebita è inammissibile per più ragioni.
1.1. Innanzitutto, il ricorso è inammissibile perché, con l’atto di appello, l’imputato non aveva contestato la qualificazione giuridica del fatto, qualificazione che per come prospettata dal ricorrente andava eventualmente discussa una volta approfondite diverse circostanze di fatto, in particolare per quanto concerne le mansioni effettive del ricorrente come delineate dal contratto di lavoro e, comunque, dagli accordi specifici con il datore di lavoro. A questo proposito, il Collegio osserva che, se è vero che la Corte di cassazione è sempre Giudice della qualificazione giuridica del fatto ex art. 609 cod. proc. pen., anche a prescindere da una sollecitazione di parte, tale potestà di intervento officioso trova un limite laddove la diversa qualificazione passi attraverso una differente ricostruzione in fatto che non emerge dalle sentenze di merito (Sez. 2, n. 17235 del 17/01/2018, COGNOME, Rv. 272651; Sez. 1, n. 3763 del 15/11/2013 , dep. 2014, COGNOME, Rv. 258262; Sez. 1, n. 13387 del 16/05/2013, dep. 2014, Ross, Rv. 259730).
1.2. In secondo luogo, il ricorso è manifestamente infondato sulla scorta dei dati di fatto che emergono dalle sentenze di merito, dati che non consentono la predicata riqualificazione.
A questo riguardo, il Collegio ricorda che l’elemento distintivo tra furto e appropriazione indebita fonda sulla sussistenza, in capo all’agente, del possesso della cosa, in presenza del quale il soggetto agente deve rispondere della meno grave fattispecie di cui all’art. 646 cod. pen.; possesso che va inteso, in senso penalistico, quale esercizio sulla cosa di un potere che esula dal diretto controllo di chi vanti sulla medesima res un potere giuridico maggiore, ma che non presuppone come è in ambito civilistico l’esercizio di fatto di poteri consimili a quelli del proprietario, con l’esclusione ogni volontà di restituire la cosa e di riconoscere ad altri la posizione di proprietario (Sez. 4, n. 6617 del 24/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269224 – 01; Sez. 2, n.13347 del 07/01/2011, Del Giudice, Rv. 250026-01). Come sancito anche dalle Sezioni Unite di questa Corte, il possesso penalistico è da intendersi come «una relazione di fatto autonoma, una signoria di fatto che consente di fruire e disporre della cosa in modo indipendente, al di fuori della sfera di vigilanza e controllo di una persona che abbia su di essa un potere giuridico maggiore»; se tale potere vi è, chi sottrae la cosa posseduta commette il reato di appropriazione indebita; al di
fuori di questo ambito, invece, l’autore del fatto commette il reato di furto (Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, COGNOME Rv. 255975 – 01, in motivazione).
Per discernere tra furto e appropriazione indebita occorre, quindi, verificare se l’autore del fatto abbia un’autonoma disponibilità della cosa, che non può essere ritenuta quando vi sia un mero rapporto materiale la stessa. Ed è proprio su questo parametro che si è sviluppata l’esegesi di questa Corte sui rapporti di detenzione ‘condizionata’ tra soggetto agente e bene sottratto, quando la predetta detenzione sia legata a un rapporto di lavoro in forza del quale l’autore del fatto ha sì la disponibilità di un bene, ma solo in quanto essenziale per lo svolgimento di compiti lavorativi e circoscritta e funzionale all’esercizio di questi ultimi, casi in cui è stato ritenuto configurabile il reato di cui all’art. 624 piuttosto che quello di cui all’art. 646 cod. pen. (Sez. 5, n. 37419 del 21/06/2021, COGNOME, Rv. 281873 – 01, quanto al dipendente di una ditta di trasporti che sottragga carburante dal veicolo affidatogli; Sez. 4, n. 8128 del 31/01/2019, COGNOME, Rv. 275215 – 01, quanto alla dipendente di un’impresa che aveva sottratto denaro che le era stato affidato solo per effettuare pagamenti per conto del datore di lavoro; Sez. 5, n. 31993 del 05/03/2018, COGNOME e altro, Rv. 273639 – 01, Sez. 4, n. 10638 del 20/02/2013, COGNOME, Rv. 255289 – 01 e Sez. 4, n. 23091 del 14/03/2008, COGNOME, Rv. 240295 – 01, quanto alla condotta del dipendente di una ditta di trasporti che sottragga la merce affidatagli).
Ebbene, secondo la ricostruzione degli accadimenti consegnata dai Giudici di merito, l’imputato svolgeva la mansione di cuoco all’interno della mensa del Policlinico e, quindi in assenza dell’accertamento di facoltà specifiche concessegli dal datore di lavoro non aveva l’autonoma disponibilità delle derrate alimentari, cui non poteva attingere per scopi diversi da quelli per cui esse gli erano affidate, cioè per utilizzarle per la preparazione dei cibi. In altri termini, in capo al ricorrente non vi era quel potere di autonoma e incondizionata disponibilità che lo avrebbe individuato come possessore in senso penalistico, giacché la sua mansione presupponeva la disponibilità delle derrate necessarie per la preparazione dei pasti, il cui utilizzo era circoscritto a tale mansione; né muterebbero le conclusioni cui il Collegio è giunto le notazioni fattuali del ricorrente, circa la possibilità finanche di effettuare una selezione ed uno ‘scarto’ dei prodotti non più utilizzabili, giacché anche un’attività di questo tipo costituisce un aspetto connaturato e funzionale al corretto svolgimento dei compiti affidatigli.
Le osservazioni suddette consentono, in definitiva, di affermare il principio di diritto secondo cui il dipendente che svolga le mansioni di cuoco non ha l’autonoma disponibilità delle derrate affidategli per la preparazione dei cibi, di
cui può disporre al solo scopo di approntare i pasti, donde, laddove se ne appropri, commette il reato di furto e non quello di appropriazione indebita.
Il secondo motivo del ricorso di Spiaggi che adduce una serie di circostanze di fatto che deporrebbero per l’invocata derubricazione è inammissibile in quanto sconfina nel merito della regiudicanda.
Riguardo all’approccio nella valutazione del ricorso, il Collegio accede all’esegesi fatta propria anche dalle Sezioni Unite secondo cui, nel giudizio di legittimità, non è consentito invocare una valutazione o rivalutazione degli elementi probatori al fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260).
Più di recente si è sostenuto che, nel giudizio di cassazione, sono precluse al Giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020 Ud., dep. 2021, F.; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; pronunzie che trovano precedenti conformi in Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, COGNOME, Rv. 233780; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
In questa ottica si collocano anche le pronunzie secondo le quali, pur a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, COGNOME e altri, Rv. 238215).
Il terzo motivo del ricorso di Spiaggi denunzia il silenzio della Corte territoriale su una censura dedotta con l’appello, concernente il travisamento di
un’intercettazione, da parte del Tribunale, intercettazione che riguardava non già NOME COGNOME ma NOME COGNOME
Ebbene, il ricorso è manifestamente infondato perché l’omessa motivazione non è decisiva laddove la Corte di appello non ha fatto alcun riferimento all’intercettazione di cui si contesta l’utilizzabilità (Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267723; Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, COGNOME, Rv. 253445).
Manifestamente infondata è l’eccezione di prescrizione prima della sentenza di appello, dal momento che COGNOME risponde di furti pluriaggravati, il cui termine massimo di prescrizione è di anni dodici e mesi sei, il che che colloca il termine oltre la sentenza di secondo grado, anche a prescindere dai complessivi ottanta giorni di sospensione maturati in primo grado.
All’inammissibilità del ricorso di NOME COGNOME consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. (come modificato ex l. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. 13/6/2000 n.186).
All’esito odierno del giudizio non consegue, invece, la condanna della parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, giacché il difensore di quest’ultima non ha svolto alcuna utile attività difensiva, limitandosi a conclusioni di stile, senza alcuna specifica argomentazione a supporto. A questo riguardo, il Collegio intende dare seguito agli insegnamenti di Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886 (non massimata sul punto), secondo cui, con riferimento al giudizio di legittimità celebrato con rito camerale non partecipato, anche laddove previsto dalla normativa introdotta per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19, la parte civile, pur in difetto di richiesta di trattazione orale, ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali purché abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un’attività diretta a contrastare l’avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione.
Il ricorso di NOME COGNOME è, invece, fondato perché la sentenza impugnata fornisce una risposta massiva alle doglianze degli imputati che, per
quanto concerne la posizione ora in esame, sconta un difetto di puntualità rispetto alle specifiche ragioni contenute nell’atto di appello.
In particolare, la sentenza della Corte territoriale presenta vizi motivazionali per le ragioni di seguito indicate.
6.1. Innanzitutto la sentenza avversata patisce un difetto motivazionale per quanto concerne il tema delle convenzioni con l’ENPA e della prova orale che aveva riguardato le ragioni delle consegne di cibo del 15 e del 22 novembre 2013, limitandosi ad una risposta generale circa l’inesistenza di convenzioni in atto, senza soffermarsi specificamente sulla valenza e sulla durata di quella del 2011, benché l’argomento fosse stato specificamente agitato nell’atto di appello.
6.2. In secondo luogo, la Corte distrettuale non ha fornito risposta al motivo di appello formulato avuto riguardo all’episodio delle ore 12.52 del 15 novembre 2013 di cui al capo 42 che riguardava la possibilità o, comunque, la prassi invalsa di consegnare cibo a soggetti aventi diritto (per esempio manutentori) che non avessero avuto la possibilità di pranzare entro l’orario di apertura della mensa. Si tratta di un tema critico sollevato nell’atto di appello ma pretermesso dalla Corte territoriale, con particolare riferimento al profilo soggettivo e alla volontà, in capo all’imputato, di sottrarre cibo al fine di trarne profitto ovvero, piuttosto, di consegnarlo a chi ne avrebbe avuto diritto.
6.3. La decisione avversata, infine, difetta di motivazione quanto alla proposizione censoria dell’appello che riguardava la natura congetturale del giudizio circa il contenuto dei sacchi neri che COGNOME era stato visto trasportare il 20, il 21 e il 25 novembre 2013, che i Giudici di merito avevano ritenuto fossero derrate alimentari sottratte al Policlinico, senza tuttavia che vi fosse stata alcuna attività di riscontro in tal senso.
6.4. L’insieme di queste considerazioni induce ad annullare la sentenza impugnata quanto a NOME COGNOME con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano, che dovrà riesaminare per intero la regiudicanda concernente detto imputato, con pieni poteri di cognizione e senza la necessità di soffermarsi sui soli punti oggetto della pronunzia rescindente, rispetto ai quali, tuttavia, dovrà evitare di incorrere nuovamente nei vizi rilevati, fornendo in sentenza adeguata motivazione in ordine all’ iter logico-giuridico seguito (Sez. 5, n. 33847 del 19/04/2018, COGNOME e altri, Rv. 273628; Sez. 5, n. 34016 del 22/06/2010, COGNOME, Rv. 248413).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME che condanna al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Nulla per le spese di parte civile.
Così è deciso, 03/07/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente COGNOME