Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45359 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45359 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a SAN FERDINANDO DI PUGLIA il 13/05/1947
avverso la sentenza del 09/06/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo vizio di motivazione in ordine alla richiesta di riqualificazione del fatto nell’ipotesi di furto minore prevista dall’art. 626, n.3 cod. pen. e al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi in questione non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e sono privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricors e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnaziene, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della Corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto e pertanto immune da vizi di legittimità.
I giudici del gravame del merito, hanno dato conto dell’accertata responsabilità del prevenuto per il reato di furto contestato valorizzando diversi elementi: a) il proprietario del fondo ha sollecitato l’intervento dei carabinieri avendo visto un uomo a lui noto intento a rubare i meloni; b) gli operatori verbalizzanti hanno visto personalmente il COGNOME, tra l’altro soggetto a loro già conosciuto, mentre asportava i meloni dalla piantagione e li caricava sulla sua autovettura; c) l’impossibilità di qualificare il fatto nella fattispecie di furto minore invocata data l’assen di prova dello stato di abbandono dei meloni residui del raccolto.
Costituisce ius receptum, infatti, che la fattispecie di furto punibile a querela dell’offeso, prevista dall’art. 626, comma primo, n. 3, cod. pen. che consiste nel fatto di spigolare, rastrellare o raspollare nei fondi altrui, non ancora spogliati i teramente del raccolto – è configurabile quando siano state effettuate le operazioni di raccolta e ad esse siano sfuggiti residui suscettibili di apprensione da parte dell’avente diritto mediante ulteriore raccolta, sicché tale ipotesi non è configura-
bile quando le operazioni di raccolta non siano state compiute e, a maggior ragione, quando il ciclo di raccolta dei frutti non sia neppure iniziato, sussistendo, in tal caso, l’ipotesi di furto comune di cui all’art. 624 cod. pen. (Sez. F., n. 27537 del 02/09/2020, Martina, Rv. 279575 – 01; Sez. 5, n. 36373 del 13/06/2013, De Luca, Rv. 256954 – 01).
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto.
Manifestamente infondato è anche il motivo afferente al diniego della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen.
Costituisce ius receptum che, per la configurabilità della causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131 bis, cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, comma 1, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590). E che, a tal fine, non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, ma è sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6, n. 55107 d 08/11/2018, COGNOME, Rv. 274647), dovendo comunque il giudice motivare sulle forme di estrinsecazione del comportamento incriminato, per valutarne la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il bisogno di pena, non potendo far ricorso a mere clausole di stile (Sez. 6, n. 18180 del 20/12/2018, Venezia, Rv. 275940).
Trattandosi, quindi, di una valutazione da compiersi sulla base dei criteri di cui all’art. 133, cod. pen., essa rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito e, di conseguenza, non può essere sindacata dalla Corte di legittimità, se non nei limiti della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione postavi a sostegno.
Ebbene, la decisione impugnata ha fatto corretta applicazione di quei princìpi e la relativa motivazione non presenta evidenti discrasie di ordine logico.
La Corte territoriale, infatti, ha reputato decisive, ai fini della valutazione d grado di offensività della condotta, le modalità della stessa, la circostanza che il RAGIONE_SOCIALE già si fosse reso protagonista di furti analoghi nella settimana precedente e il significativo valore della merce (all’incirca 130 euro). Si tratta di circostanz indiscutibilmente significative che rientrano tra i parametri espressamente considerati dall’art. 133 cod. pen.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma delrart. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 21/11/2024