Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22103 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22103 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 02/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a MASSAFRA il 15/05/1992
avverso la sentenza del 25/09/2024 della CORTE RAGIONE_SOCIALE APPELLO di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il P.G. Militare, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore
L’avvocato COGNOME del foro di TERMINI IMERESE in difesa di NOME COGNOME conclude insistendo nell’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
GLYPH Con il provvedimento impugnato, la Corte militare d’appello di Roma ha confermato la sentenza emessa il 25 settembre 2024, con la quale il Tribunale militare di Roma ha dichiarato non punibile ex art. 131 bis cod. pen. NOME COGNOME Carabiniere in f.v., imputato del reato di furto militare aggravato, di cui agli artt. 230, 47 n. 2 c.p.m.p., per essersi impossessato, in data 18/09/2021, all’interno della camerata del Comando Stazione di Termini Innerese, della somma di C 15,00, sottraendola al Carabiniere in INDIRIZZOINDIRIZZO. NOME COGNOME che deteneva la somma nel portafoglio all’interno della sua cameretta.
I Giudici di merito hanno ritenuto provata la responsabilità dell’imputato in ordine al fatto contestato, ritenendolo poi non punibile per particolare tenuità del fatto, valorizzando gli esiti dell’istruttoria dibattimentale.
In particolare la p.o. Car. NOME COGNOME aveva riferito che, avendo notato ammanchi di denaro, aveva montato nella sua stanza una videocamera, oltre a quella installata sul suo pc. Le riprese avevano immortalato l’imputato che entrava nella sua stanza il 16 ed il 18 settembre 2021; nella seconda occasione si vedeva il Francavilla frugare e prendere dal tavolo un oggetto di dimensioni compatibili con un portafogli, all’interno del quale la p.o. ha poi accertato la mancanza della somma di C 15 (una banconota da 10 C ed una da 5 C).
L’imputato, in sede di esame dibattimentale, aveva ammesso di essere entrato nella stanza del Fregiato sia il 16/09/2021 (alla ricerca di detersivi), sia il 18/09/2021, affermando tuttavia che in tale ultima occasione voleva solo vedere se il compagno aveva il joystick della playstation, ma che non aveva sottratto nulla.
I Giudici di merito hanno ritenuto accertato il fatto contestato, alla luce della testimonianza della p.o., dei video acquisiti, e della testimonianza resa dal teste COGNOME che aveva dichiarato di avere visto, il 18/09/2021, l’imputato entrare nella stanza della p.o., e di avere, in quell’occasione, anche a cagione del comportamento imbarazzato dell’imputato, verificato che la porta della stanza del Fregiato era chiusa a chiave. I Giudici hanno ritenuto non credibile la versione difensiva resa dal Francavilla, atteso che, quando si verificarono i fatti, i rapporti tra i due non erano amichevoli (a causa di un precedente scherzo che era stato architettato ai danni della p.o., anche ad opera dell’imputato, verso il quale il COGNOME mostrava quindi risentimento), e non risultava alcun consenso del COGNOME all’ingresso nella propria stanza; osservavano anche che, dalla visione dei filmati acquisiti, non era apprezzabile l’intento ludico o scherzoso asseritamente posto in essere dall’imputato, il quale, al contrario, si aggirava in maniera furtiva, anche cercando di coprire il computer della p.o..
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato per il tramite del difensore, avv. NOME COGNOME deducendo, ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., violazione di legge e vizio di motivazione, anche con travisamento dei fatti ed errata interpretazione e valutazione della prova.
Osserva la Difesa come il COGNOME, in seguito ad uno scherzo subìto, attribuito all’imputato, abbia architettato ai danni del Francavilla “una studiata condotta di vendetta”, falsamente accusandolo di un furto rnai,avvenuto.
I Giudici di merito hanno travisato i fatti, omettendo di considerare le testimonianze rese dagli app. sc . COGNOME, COGNOME e COGNOME la corretta valutazione delle quali doveva condurre ad escludere la ricostruzione dei fatti operata dalla p.o..
Rilevava ancora il ricorrente come la ripresa video acquisita agli atti non fosse idonea a fondare la responsabilità dell’imputato, atteso che dalla visione della stessa non era possibile individuare né la presenza di un portafogli né alcun prelevamento da parte dell’imputato, come attestato dalla consulenza video fotografica prodotta dalla difesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, proposto sulla base di censure manifestamente infondate ovvero generiche o non consentite, deve essere dichiarato inammissibile con ogni conseguenza di legge.
Preliminarmente, si precisa che ci si trova al cospetto della conferma nei medesimi termini della sentenza pronunciata in primo grado, cioè ad una c.d. “doppia conforme”. Tale costruzione postula che il vizio di motivazione deducibile e censurabile in sede di legittimità sia soltanto quello che, a presidio del devolutum, discende dalla pretermissione dell’esame di temi probatori decisivi, ritualmente indicati come motivi di appello e trascurati in quella sede (Sez. 5, n. 1927 del 20/12/2017, dep. 2018, COGNOME e altri, Rv. 272324; Sez. 2, n. 10758 del 29/01/2015, Giugliano, Rv. 263129; Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013, dep. 2014, Dall’Agnola, Rv. 257967); o anche manifestamente travisati in entrambi i gradi di giudizio (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, Rv. 272018).
Al di fuori di tale perimetro, resta precluso il rilievo del vizio di motivazione secondo la nuova espressione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. nel caso di adeguata e logica valutazione conforme nei gradi di merito del medesimo compendio probatorio. Deve altresì ribadirsi che nei casi di doppia conforme, le motivazioni delle sentenze di merito convergono in un apparato motivazionale integrato e danno luogo
ad un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218), che in tali termini deve essere assunto anche nella denuncia dei vizi di legittimità, nei limiti della loro rilevanza.
Ciò premesso, la ritenuta responsabilità del Francavilla, al quale è stata poi applicata la causa di non punibilità ex art. 131 bis cod. pen., per particolare tenuità del fatto, si fonda su plurimi e convergenti elementi probatori logicamente articolati.
È stata innanzitutto valorizzata la deposizione resa dalla p.o., NOME COGNOME ritenuto credibile ed attendibile, e le cui dichiarazioni sono state ritenute riscontrate sia dalle immagini delle videoregistrazioni, sia dalle dichiarazioni del teste COGNOME.
Contrariamente a quanto dedotto in ricorso, i Giudici di merito hanno dato atto della circostanza che dalle immagini videoriprese non risultava con chiarezza la natura dell’oggetto preso in mano dall’imputato, né si vedeva lo stesso estrarre le banconote oggetto di contestazione; con argomentare non illogico, hanno ritenuto tuttavia che gli elementi indiziari (costituiti dalle dichiarazioni, attendibili e credib del COGNOME; dalle immagini che immortalavano l’imputato nella stanza della p.o., precedentemente chiusa a chiave, aggirarsi in modo furtivo e prendere in mano un oggetto delle dimensioni compatibili con il portafoglio; dalle dichiarazioni del teste COGNOME, che aveva visto l’imputato uscire dalla stanza della p.o., accertando poi che la stessa era effettivamente chiusa a chiave), convergessero in modo univoco nel senso di ascrivere all’imputato la condotta allo stesso contestata.
La tesi difensiva del “complotto”, per cui il COGNOME avrebbe architettato un piano per accusare falsamente l’imputato (in quanto risentito per uno scherzo precedentemente architettato ai suoi danni) è stata ritenuta non credibile né sostenuta da elementi concretamente valutabili. Quanto poi alla giustificazione offerta dall’imputato alla circostanza, ammessa, di essere entrato nella stanza del commilitone, a suo dire per “fargli uno scherzo”, i Giudici della Corte romana hanno sottolineato come non solo l’imputato non avesse mai chiarito la natura di detto scherzo, ma anche che la visione dei filmati mostrasse non certo un intento ludico del Francavilla, che, al contrario, sembrava frugare alla ricerca di qualcosa. D’altronde, come chiarito dai Giudici di merito, l’intento ludico o scherzoso era da escludere alla luce dei rapporti non amichevoli intercorrenti tra la p.o. e l’imputato.
Del tutto generica appare infine la censura mossa in ricorso circa la mancata valutazione da parte dei Giudici di appello delle testimonianze rese dai testi COGNOME, COGNOME e COGNOME: il ricorrente omette di specificare perché la loro testimonianza sarebbe decisiva, ed in grado di disarticolare il discorso giustificativo posto a fondamento della decisione assunta dai Giudici di merito. Peraltro, non ci si può esimere dall’osservare come i suddetti testi, le cui testimonianze sono state
succintamente riportate in seno alla sentenza di primo grado (pagg. 11, 12), nulla abbiano riferito in ordine allo specifico fatto in contestazione.
In definitiva, quindi, a fronte di un costrutto argonnentativo ancorato ai dati processuali e ordinato in una sequenza esplicativa coerente, il ricorso si limita a
sviluppare rilievi di mero fatto sulla ricostruzione e valutazione dei dati suddetti opponendo alla valutazione dei giudici di ben due gradi di merito una diversa lettura
del compendio probatorio che travalica i limiti del giudizio di legittimità. Sono precluse, invero, al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti
fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come
maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. Sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482),
stante la preclusione nel giudizio di legittimità di sovrapporre una propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 6,
n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099 – 01).
Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 02/04/2025