Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 13613 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 13613 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MONTEMILONE il 08/10/1968
avverso la sentenza del 18/09/2024 della Corte militare di appello di Roma udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Procuratore generale militare, NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 22 febbraio 2024 il Tribunale militare di Napoli ha assolto NOME COGNOME, vicebrigadiere in servizio presso la Stazione Carabinieri di Scordia, dal reato di furto militare aggravato (art. 230 cod. pen. mil. pace) per particolare tenuità del fatto.
Con sentenza del 18 settembre 2024 la Corte militare di appello, adita sull’appello dell’imputato, ha confermato la sentenza di primo grado.
In particolare, il militare era stato ritenuto responsabile, pur se prosciolto per la particolare tenuità del fatto, di aver collegato in piø occasioni, tra il 5 ed il 15 marzo 2022, la batteria della propria auto elettrica ad una presa di corrente del Comando della Stazione in cui era in servizio, mediante un cavo che aveva fatto passare attraverso la zanzariera di una finestra, in questo modo impossessandosi di 67,85 kw per un valore complessivo di 33,92 euro.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l’imputato, per il tramite del difensore, con unico motivo con cui deduce vizio di motivazione, perchŁ il giudice di appello avrebbe omesso di motivare su quali siano gli elementi di responsabilità a carico del ricorrente da cui desumere che lo stesso avrebbe realmente commesso i fatti da cui Ł stato prosciolto, e si Ł limitato a confutare la versione fornita dal ricorrente sull’essere stato collegato il cavo di ricarica dell’autovettura ad una power bank in disponibilità dello stesso; inoltre, il giudice di appello ha valutato in modo illogico la versione fornita dall’imputato, perchØ la circostanza che nessuno abbia visto l’imputato con una power bank in ufficio non prova l’esistenza di un collegamento tra la presa elettrica della caserma e
l’auto elettrica dell’imputato, infatti, manca una prova diretta dei fatti e vi Ł stato travisamento di quella dichiarativa.
Con requisitoria scritta il Procuratore generale militare, NOME COGNOME ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va ricordato preliminarmente che, con riferimento ai reati militari, la giurisprudenza di legittimità Ł nel senso che ‘sussiste l’interesse dell’imputato ad impugnare la sentenza che esclude la punibilità di un reato militare in applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., trattandosi di pronuncia che ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso; Ł soggetta ad iscrizione nel casellario giudiziale e può ostare alla futura applicazione della medesima causa di non punibilità ai sensi del comma terzo della medesima disposizione (Sez. 1, Sentenza n. 459 del 02/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280226).
Ciò posto, però, nel merito il ricorso Ł infondato.
L’imputato ha appellato la decisione del Tribunale militare sostenendo che nel giudizio vi era prova diretta dell’esistenza del cavo di collegamento con la batteria dell’auto elettrica del militare fatto passare attraverso il telaio della finestra del Comando della Stazione, ma non vi era prova diretta del fatto che la estremità del cavo fosse stata collegata ad una presa elettrica della Stazione, perchØ, come riportato nella sentenza impugnata, la estremità interna del cavo era posta presso una parte del muro interno che era coperta da arredi della caserma, talchŁ non era percepibile agevolmente da eventuali commilitoni se la stessa fosse collegata o meno alla rete elettrica della Stazione. La tesi introdotta in giudizio dall’imputato Ł che il cavo fosse collegato non ad una presa elettrica della Stazione, ma ad una power bank di proprietà dell’imputato.
La Corte militare di appello ha risposto a questo motivo rilevando che nessuno ha visto in caserma la power bank dell’imputato, e che, nel momento in cui era stato scoperto da altri due Carabinieri, lo stesso non aveva negato i fatti ma si era limitato a dire che, se il Comandante non gli contestava nulla, non potevano farlo gli altri militari, ed ha ritenuto che la tesi alternativa proposta dall’imputato non introducesse un dubbio ragionevole sulla ricostruzione della vicenda.
Il ricorso deduce che il giudice di appello si Ł limitato a confutare la versione fornita dal ricorrente sull’essere stato collegato il cavo di ricarica dell’autovettura non alla presa elettrica della Stazione Carabinieri, ma ad una power bank che lo stesso aveva in disponibilità, ma non ha trovato una prova diretta di quanto contestato all’imputato.
L’argomento Ł infondato.
Nel processo penale la prova di un fatto non Ł necessariamente una prova diretta, essendo conforme ai canoni della logica trarre dal fatto noto provato (nel caso in esame, l’imputato ha collegato la batteria della propria auto ad un cavo che ha fatto passare attraverso la finestra della caserma e che terminava su un muro davanti al quale era collocato un arredo della Stazione) la prova del fatto ulteriore oggetto della contestazione (il cavo era collegato ad una presa elettrica della Stazione), ipotesi fondata sull’ id quod plerumque accidit, ed, in quanto tale, idonea a costituire base razionale della motivazione di un provvedimento giudiziario (Sez. 5, Sentenza n. 25616 del 24/05/2019, P.M. in proc. Devona, Rv. 277312), senza che ciò comporti inversioni delle regole sull’onere della prova, come, invece, affermato in ricorso. Non Ł manifestamente illogico aver ritenuto che il comportamento molto articolato tenuto dall’imputato (parcheggiare l’auto proprio sotto
la finestra in questione, collocare un cavo che collegava la batteria dell’auto con l’interno della stanza, ‘forzare’ il telaio della finestra in modo da farci passare il cavo) avesse poco senso se lo scopo non fosse stato quello di collegare la batteria alla presa elettrica della stanza.
D’altronde, nel giudizio di legittimità il sindacato sul modo in cui il giudice del merito ha fatto concreta applicazione della regola legale dell’art. 192, comma, 1 cod. proc. pen., secondo cui ‘il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati’, e di quella di cui al successivo comma 2, secondo cui ‘l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti’ Ł molto ristretto, perchŁ si limita al controllo logico e giuridico della struttura della motivazione dedicata all’interpretazione degli elementi probatori con esclusione della possibilità di rivalutazione degli stessi.
Il ricorso deduce anche che sarebbero state travisate le dichiarazioni del teste COGNOME che, secondo la sentenza impugnata, avrebbe riferito che l’imputato, una volta scoperto, non aveva negato i fatti ma si era limitato a dire che, se il Comandante non gli contestava nulla, non potevano farlo gli altri militari, frase che, invece, l’imputato nega di aver mai pronunciato.
L’argomento Ł inammissibile, perchØ introdotto in violazione del requisito dell’autosufficienza del ricorso (Sez. 2, Sentenza n. 20677 del 11/04/ 2017, COGNOME, rv. 270071; Sez. 4, n. Sentenza n. 46979 del 10/11/2015, RAGIONE_SOCIALE, rv. 265053; Sez. 2, Sentenza n. 26725 del 01/03/2013, Natale, rv. 256723), perchØ la sentenza impugnata riporta espressamente tra virgolette, e citando il verbale di udienza da cui esse sono tratte, le parole del testimone COGNOME (pag. 12), nonchØ quelle, sostanzialmente identiche, del testimone COGNOME (sempre pag. 12), che pure era presente al momento in cui avvenne lo screzio verbale tra COGNOME e COGNOME.
Il ricorso deduce che queste parole sono state travisate, e quindi che esse non sarebbero mai state pronunciate dai testimoni. Ma, per dedurre ritualmente in giudizio un travisamento per invenzione, occorre allegare o trascrivere integralmente le pagine del verbale di udienza citato nella sentenza impugnata per consentire alla Corte di verificare se la sentenza ha inventato una prova non esistente.
Nel caso in esame, invece, nel ricorso la difesa dell’imputato si limita a trascrivere integralmente soltanto il passaggio del verbale della deposizione del carabiniere COGNOME nella parte in cui questi dice di non aver controllato se la estremità del cavo era effettivamente collegata alla presa elettrica della stazione, che, però, Ł una base non idonea per sostenere l’esistenza di un travisamento per invenzione , perchØ attiene a fatto diverso da quello riportato dalla sentenza impugnata, che non ha sostenuto che il teste COGNOME avesse dichiarato di aver visto il cavo collegato alla rete, ma che lo stesso avesse contestato il fatto all’imputato per ottenerne in risposta la frase riportata in motivazione.
In definitiva, il ricorso Ł infondato.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 26/02/2025
Il Consigliere estensore
CARMINE RUSSO
Il Presidente
NOME COGNOME