Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2119 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2119 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 11/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VITTORIA il 31/05/1977
avverso la sentenza del 26/10/2023 della CORTE D’APPELLO DI CATANIA Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
udito l’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia dell’imputato COGNOME NOMECOGNOME che si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l’accoglimento dello stesso.
Ritenuto in fatto
La Corte d’appello di Catania, con sentenza in data 26 ottobre 2023, ha confermato la decisione del Tribunale di Catania che aveva ritenuto NOME COGNOME responsabile del reato di furto aggravato ai sensi dell’art. 625, n. 7,
pen. per essersi impossessato della borsa di NOME COGNOME, appesa al portaabitì dell’ufficio della segreteria del Comune di Acate, condannandolo alla pena di giustizia.
Avverso tale sentenza il ricorrente ha proposto ricorso per cassazion articolando due censure.
2.1. Con il primo motivo deduce vizio di violazione di legge in relazione all’ar 192 cod. proc. pen. e mancanza di motivazione. La Corte territoriale avrebbe ritenuto provata la responsabilità del COGNOME sulla base dei filmati in atti e p in forza di un ragionamento inferenziale, senza tener conto dei rilievi difensi mossi nell’atto di impugnazione con cui si evidenziava la pericolosità di un ta ragionamento ove anche solo uno dei canoni stabiliti dall’art. 192 cod. proc. pe sia cedevole. La sentenza impugnata non avrebbe esaminato le censure svolte al riguardo con l’atto di appello e neppure avrebbe richiamato la sentenza di primo grado.
2.2. Con il secondo motivo si deduce il vizio di violazione di legge. La sentenza impugnata, con ragionamento equivoco, avrebbe ritenuto sussistente l’aggravante prevista dall’art. 625, n. 7, cod. pen. in relazione agli oggetti esposti alla pu fede e altresì quella prevista dalla stessa disposizione in relazione alla cosa las incustodita in stabilimenti o pubblici uffici, in tal modo violando il diritto di dell’imputato. Invero, diverso sarebbe il regime di procedibilità nelle due ipot in quanto nel caso di cose esposte alla pubblica fede, il reato sarebbe procedib a querela di parte che nella specie non era stata presentata. Ove invece rico l’ipotesi di cosa che si trovi all’interno di un ufficio pubblico, il reato procedibile d’ufficio. Il ricorrente rileva che secondo la giurisprudenza legittimità, affinché ricorra tale aggravante, è necessario che la cosa costitu estrinsecazione di un servizio di pubblica necessità o utilità.
3 Il Procuratore generale ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è nel suo complesso infondato e deve pertanto essere rigettato.
Il primo motivo è infondato.
Il Collegio rileva come il compendio indiziario, rigorosamente valutato dalla Corte territoriale, possiede i requisiti di gravità, precisione e concordanza rich dalla legge processuale, per il concorrere dei plurimi elementi indicati da
sentenza impugnata. In particolare, la Corte territoriale ha fondato il giudizio responsabilità del ricorrente su una non irragionevole interpretazione dell risultanze istruttorie, ed in particolare delle immagini riprese dalle videocamere sorveglianza presenti nei locali del Comune di Acate, che, pur inquadrando solo il corridoio e non l’interno degli uffici, avevano documentato l’ingresso dell’imputat nella stanza della persona offesa per ben tre volte, l’ultima delle quali protra per circa dieci secondi, e poi l’uscita del medesimo mentre teneva qualcosa nella mano destra e che infilava rapidamente in tasca. Inoltre, la Corte territoriale evidenziato come una sola altra persona era entrata nell’ufficio della person offesa, trattenendosi per un tempo, pari a circa quattro secondi, no irragionevolmente valutato come troppo breve per appropriarsi della borsa che era appesa all’attaccapanni. I giudici di merito hanno, altresì, escluso che la bo potesse essere stata rubata o smarrita fuori dall’ufficio, deducendo che la vitti l’avesse introdotta in Comune dalla circostanza che essa, all’ingresso in uffici aveva “strisciato” il badge che conservava nel portafogli successivamente rubato.
Il ragionamento giudiziale è logico e stringente nella sua consecuzione logica, e si sottrae a censure rilevabili in questa sede, risultando esso conforme a standard valutativo della prova indiziaria ripetutamente indicato dall giurisprudenza di legittimità, e individuato nella necessità di una valutazio globale, e non atomistica, del quadro istruttorio (Sez. 1, n. 1790 del 30/11/201 dep. 2018, Mangafic, Rv. 272056-01; Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271228-01; Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, COGNOME, Rv. 266941-01), al fine di accertare se la fisiologica parzialità, e connessa relativa ambiguità, di cia indizio, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolvers consentendo di attribuire il reato all’imputato «al di là di ogni ragionevole dubbio e cioè con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipot alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concre riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cos della normale razionalità umana.
Alla luce della valutazione unitaria operata dalla sentenza impugnata, nessuna consistenza assumono le generiche, se non addirittura vaghe obiezioni svolte dal ricorrente, le quali si risolvono sostanzialmente nella richiesta di una rilettu fatto delle risultanze processuali, non consentita in questa sede.
3. Il secondo motivo è infondato.
La Corte territoriale ha chiaramente affermato la sussistenza dell’aggravante del fatto commesso su cosa esistente in ufficio o stabilimento pubblico laddove, esaminando la richiesta formulata in via preliminare dall’imputato di una pronuncia
di non doversi procedere per difetto di querela, ha ritenuto il reato procedibil d’ufficio, correttamente richiamando al riguardo la giurisprudenza di legittimità.
Questa invero ha affermato che sono cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici non soltanto le cose pertinenti all’attrezzatura dello stabilimento, anche quelle, di proprietà privata, che attengono alla estrinsecazione del servizi di pubblica necessità o utilità (Sez. 2, n. 5042 del 22/11/1982, dep. 1983 COGNOME, Rv. 159301; Sez. 2, n. 263 del 26/01/1966, Forgi, Rv. 101357).
In un’ipotesi del tutto sovrapponibile a quella in esame, concernente la sottrazione di un portafogli dalla borsa di una dipendente comunale, riposta all’interno del suo ufficio, questa Corte regolatrice ha affermato che è configurabil l’aggravante prevista dall’art. 625, n. 7, cod. pen. se il fatto sia stato commesso su cosa esistente in ufficio o stabilimento pubblico, anche nel caso in cui la cos sottratta non appartenga al detto ufficio o stabilimento o ad alcuna delle persone che vi siano addette, come pure quando non abbia attinenza con le funzioni o le attività che vi vengono svolte, in quanto la ragion d’essere dell’aggravante consist nella necessità di una più efficace tutela del rispetto dovuto alla Pubbli amministrazione e della maggior fiducia che ispira la conservazione dei beni che si trovano nei suoi uffici (Sez. 5, n. 4746 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278154 – 01).
Il Collegio ritiene che non vi siano ragioni per discostarsi da tale orientamento, di tal che deve concludersi che correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto il reato procedibile d’ufficio.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso nella camera di consiglio dell’Il novembre 2024.