Furto in privata dimora: la Cassazione chiarisce quando una scuola è luogo protetto
Il concetto di furto in privata dimora, disciplinato dall’articolo 624-bis del Codice Penale, è spesso associato all’intrusione in abitazioni private. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un’interpretazione più ampia, estendendo questa tutela anche a luoghi di lavoro come una scuola. Analizziamo insieme la decisione per capire le sue implicazioni.
I Fatti di Causa
Il caso riguarda un uomo condannato in primo e secondo grado per un furto commesso all’interno di una scuola primaria. L’imputato si era introdotto in alcune zone dell’edificio, in particolare di un asilo, caratterizzate da particolare riservatezza e accessibili soltanto con il consenso del gestore, per appropriarsi della refurtiva.
La Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la prima sentenza, revocando la dichiarazione di delinquente abituale, ma confermando la condanna a 5 anni di reclusione e 1.000 euro di multa. L’imputato ha quindi proposto ricorso in Cassazione, contestando principalmente due aspetti: la qualificazione del reato come furto in privata dimora e il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
La Qualificazione del Reato come Furto in Privata Dimora
Il cuore della questione giuridica risiedeva nel definire se una scuola potesse essere considerata ‘privata dimora’. Secondo la difesa, tale qualificazione era errata. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha rigettato questa tesi, giudicandola manifestamente infondata.
I giudici hanno chiarito che la nozione di ‘privata dimora’ è più ampia di quella di ‘abitazione’. Essa comprende tutti i luoghi in cui si svolgono, anche in modo non occasionale, atti della vita privata. Questo include anche gli spazi destinati ad attività lavorative o professionali, a condizione che non siano aperti al pubblico o accessibili a terzi senza il previo consenso del titolare. Poiché l’imputato si era introdotto in aree riservate della scuola, la cui accessibilità era limitata, la Corte ha confermato che la sua condotta integrava pienamente il reato di furto in privata dimora.
Il Diniego delle Circostanze Attenuanti
Anche il secondo motivo di ricorso, relativo al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, è stato respinto. La Corte ha osservato che, sebbene la sentenza d’appello non si fosse pronunciata esplicitamente su questo punto, la conferma del trattamento sanzionatorio deciso in primo grado costituiva una motivazione implicita di rigetto. Il giudice di merito, infatti, aveva già ponderato la gravità delle circostanze aggravanti, ritenendo impossibile una mitigazione della pena.
Inoltre, la Corte ha smontato la tesi difensiva secondo cui l’imputato avrebbe ammesso le proprie responsabilità, sottolineando come, al momento della perquisizione, egli avesse negato di essere in possesso della refurtiva.
Le Motivazioni della Decisione
La decisione della Suprema Corte si fonda su due principi giuridici consolidati. In primo luogo, l’interpretazione estensiva del concetto di ‘privata dimora’ (art. 624-bis c.p.), che tutela non solo il domicilio, ma ogni luogo in cui l’individuo esplica la propria personalità in un contesto di riservatezza. Rientrano in questa categoria anche uffici, studi professionali e, come nel caso di specie, aree riservate di un istituto scolastico. In secondo luogo, il principio secondo cui la richiesta di concessione delle attenuanti generiche può ritenersi implicitamente disattesa quando il giudice d’appello motiva adeguatamente la conferma di una pena severa, basandosi sulla pregnanza delle circostanze aggravanti.
Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale importante: la tutela penale garantita contro il furto in privata dimora non si ferma alla porta di casa, ma si estende a tutti quegli spazi in cui si svolge la vita privata, inclusa quella professionale. Questa pronuncia ribadisce che l’intrusione in luoghi non liberamente accessibili al pubblico, anche se non destinati ad abitazione, costituisce un reato grave, punito più severamente rispetto al furto semplice, a protezione della sfera di libertà e riservatezza dell’individuo.
Un furto commesso all’interno di una scuola può essere considerato furto in privata dimora?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, un furto in una scuola si qualifica come furto in privata dimora se viene commesso in aree non aperte al pubblico e accessibili solo con il consenso del titolare, poiché in tali luoghi si svolgono atti della vita privata, inclusa quella professionale.
Cosa si intende per ‘privata dimora’ ai fini del reato di furto?
La nozione di ‘privata dimora’ include non solo l’abitazione, ma ogni luogo in cui una persona svolge atti non occasionali della propria vita privata. Questo comprende anche luoghi destinati ad attività lavorativa o professionale, purché non siano liberamente accessibili a terzi senza il consenso di chi ne ha diritto.
La mancata concessione delle attenuanti generiche deve essere sempre esplicitamente motivata in appello?
No. La Corte ha stabilito che la richiesta di attenuanti generiche può considerarsi implicitamente respinta quando il giudice d’appello conferma la pena decisa in primo grado, motivando la sua scelta sulla base della gravità delle circostanze aggravanti, rendendo così incompatibile una mitigazione della sanzione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33322 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33322 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a BRINDISI il 10/10/1969
avverso la sentenza del 07/03/2025 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO ED IN DIRITTO
1. La Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del Tribunal di Modena del GLYPH Il2D24, ha disposto la revoca della dichiarazione di delinquente abituale e dell’applicazione della misura di sicurezza dell’assegnazione ad u casa di lavoro per la durata di due anni nei confronti di NOME COGNOME confermando nel resto la pronuncia di condanna alla pena di anni 5 di reclusion ed euro 1.000 di multa per il reato di cui agli artt. 99, 61, comma 1, n. 5 bis, 625 comma 1, n. 2 cod. pen.
L’imputato ricorre avverso la sentenza della Corte di appello lamentando, con il primo motivo ed il secondo motivo, violazione di legge e vizio di motivazion per erronea qualificazione giuridica del fatto; con il terzo motivo, vizi motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
3. Il ricorso é manifestamente infondato.
Il primo ed il secondo motivo sono riproduttivi di profili di censura adeguatamente vagliati e disattesi, con corrette argomentazioni giuridiche, dal Corte territoriale. In particolare i giudici di secondo grado hanno sostenuto, deduzioni non illogiche ed esaustive, che la condotta posta in esse dall’imputato integrasse l’ipotesi di reato di cui all’art. 624 bis cod. pen., p COGNOME, per appropriarsi della refurtiva, si era introdotto nella scuola primar in particolare, in zone dell’asilo connotate da particolare riservatezza e access solo previo consenso del gestore. La pronuncia è in tal senso conforme all giurisprudenza di legittimità elaborata sul punto secondo cui ai fini d configurabilità del reato previsto dall’art. 624-bis cod. pen., rientrano nozione di privata dimora i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente at della vita privata – compresi quelli destinati ad attività lavorativa o profess – e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso titolare (Sez. 5, n. 34475 del 21/06/2018, Rv. 273633).
Il terzo motivo é manifestamente infondato.
La Corte di merito, nel confermare il trattamento sanzionatorio determinato da giudice di primo grado, non ha espressamente negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche su cui invece si é pronunciata la sentenza d primo giudice. Tuttavia la richiesta di concessione delle circosta attenuanti generiche deve ritenersi disattesa con motivazione implicita allorc sia adeguatamente motivato il rigetto della richiesta di attenuazione trattamento sanzionatorio, fondata su analogo ordine di motivi. (In applicazio del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure l’impugnata sentenza d’appello che, nel confermare la determinazione della pena effettuata dal prim
giudice, aveva evidenziato la pregnanza delle circostanze aggravanti, dando implicitamente conto dell’impossibilità di addivenire ad una mitigazione della pena inflitta) (Sez. 1, n.12624 de/12/02/2019, Rv.275057).
Peraltro la circostanza valorizzata dalla difesa nell’odierno ricorso secondo cui il COGNOME avrebbe riconosciuto spontaneamente la propria responsabilità al momento del primo contatto con le Forze dell’Ordine é sconfessata dalla circostanza di cui dà conto la sentenza impugnata secondo cui all’atto della perquisizione lo stesso aveva negato di essere in possesso della refurtiva.
In conclusione il ricorso manifestamente infondato va dichiarato inammissibile. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17.09.2025