Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 25820 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 25820 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Di NOME nata a Napoli il 11/01/1986 avverso la sentenza del 11/02/2025 della Corte d’appello di Salerno; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore dichiararsi
Generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Salerno, all’esito di giudizio celebrato con rito abbreviato, ha dichiarato COGNOME NOME colpevole del reato di tentato furto (inizialmente contestato in concorso con NOME, poi assolto dal primo giudice) aggravato dalla violenza sulle cose e dall’esser e stato commesso all’interno di edificio pubblico (ai sensi degli artt. 110, 56, 624, 625, comma 2, n. 2 e 7, cod. pen.). Esclusa la recidiva contestata e operata la riduzione per il rito, la COGNOME è stata condannata a un anno, nove mesi e dieci giorni di reclusione e 160 euro di multa.
La Corte d ‘a ppello di Salerno, su gravame dell’imputata, ha confermato la condanna, riqualificando, però, la condotta ai sensi degli artt. 56, 624bis e 625,
comma 1, numeri 2 e 7, cod. pen., ovvero tentato furto in luogo di privata dimora.
L’imputata ha proposto ricorso per Cassazione articolato in tre motivi.
2.1. Con il primo si eccepisce la violazione dell’art. 49 cod. pen. e degli artt. 125, 546 e 605 cod. proc. pen. , avendo la Di Guida ‘rovistato tra gli indumenti senza asportare alcunché’ (p. 5 ricorso).
I giudici di merito avrebbero erroneamente escluso il reato impossibile basandosi unicamente sulla “mancanza occasionale” dell’oggetto del reato e non sulla sua “inesistenza in rerum natura “. La Corte d ‘a ppello ha richiamato le argomentazioni del Tribunale, che aveva escluso il reato impossibile ritenendo che l’assenza di oggetti preziosi fosse temporanea e occasionale e che negli armadietti “sono normalmente contenute cose che possono essere oggetto di furto”.
Secondo la ricorrente, questa valutazione sarebbe errata in diritto perché ometterebbe di considerare il principio di offensività in concreto. Viene richiamata la giurisprudenza, sia costituzionale che di legittimità, secondo cui, ai fini della valutazione di inidoneità dell’azione (tipica del reato impossibile), è necessario avere riguardo anche alla offensività in concreto del bene giuridico tutelato. In tema di furto, ciò si traduce nella considerazione del rapporto tra il valore del bene sottratto (o che si intende sottrarre) e la lesione del bene giuridico. Il giudice di merito dovrebbe sempre verificare se la condotta sia effettivamente e concretamente idonea a ledere o porre in pericolo il bene giuridico tutelato. Se la condotta è assolutamente inidonea, si ricade nella figura del reato impossibile.
Parte ricorrente sostiene che non sarebbe stato asportato nulla, ‘ in considerazione del fatto che erano presenti solo indumenti e, dunque, non vi erano oggetti di valore, seppur modesto ‘ (p. 9 ricorso).
2.2. Col secondo motivo viene eccepita la violazione dell’art. 624bis cod. pen. e degli artt. 125, 546 e 605 cod. proc. pen.
Si contesta la riqualificazione della condotta in tentato furto in abitazione.
La Corte d’appello avrebbe motivato la riqualificazione richiamando la giurisprudenza che include nella nozione di “privata dimora” i luoghi di lavoro in cui si compiono atti della vita privata in modo riservato, come gli spogliatoi. Il ricorrente argomenta che questa applicazione è erronea nel caso di specie perché l’ospedale di Battipaglia, teatro del fatto, è un edificio pubblico, non un luogo privato. La giurisprudenza citata dalla stessa Corte d’appello estenderebbe la nozione di “privata dimora” a “spazi delimitati non pubblici” (p. 10 ricorso).
Del resto, la ratio legis dell’introduzione del furto in abitazione sarebbe quella di offrire una tutela rafforzata alla violazione della sfera privata e, dunque, della privata dimora, non a fatti commessi in luoghi pubblici.
2.3. Col terzo motivo viene eccepita la violazione degli artt. 131bis cod. pen. e 460, comma 5, 125, 546 e 605 cod. proc. pen., lamentandosi l’esclusione dell’applicabilità dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto.
La Corte d’appello ha ritenuto ostativi, secondo la ricorrente: a) il minimo edittale previsto per il tentato furto in abitazione, in quanto superiore al limite di due anni di reclusione fissato dalla norma; b) il comportamento ritenuto “abituale” in ragione di due condanne precedenti (una per furto tentato e una per truffa).
Il ricorrente contesta entrambi gli argomenti.
Riguardo al minimo edittale, rileva che, trattandosi di tentativo, fattispecie autonoma di reato, e applicata la massima riduzione (fino a due terzi, ex art. 56, comma 2, cod. pen.) al minimo edittale del reato consumato, nella specie (per il furto in abitazione aggravato ai sensi degli artt. 624bis e 625 cod. pen.), pari a cinque anni di reclusione, il minimo edittale sarebbe pari ad un anno e otto mesi di reclusione: inferiore al limite di due anni fissato dall’art. 131bis cod. pen.
Riguardo ai precedenti penali, la Corte d’appello avrebbe omesso di rilevare l’estinzione di uno dei reati pregressi, oggetto di decreto penale di condanna, ai sensi dell’ art. 460, comma 5, cod. proc. pen., che priverebbe lo stesso di qualsivoglia effetto penale. Pertanto, un reato estinto ai sensi di detta norma non avrebbe potuto essere considerato ai fini della valutazione dell’abitualità del comportamento prevista dall’art. 131bis , comma 3, cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è, nel complesso, infondato.
Il primo motivo (sulla ritenuta sussistenza del cosiddetto ‘ reato impossibile ‘ ) è manifestamente infondato.
Il collegio ritiene che, quando siano posti in essere atti idonei diretti in modo non equivoco ad impossessarsi di cose altrui, la casuale inesistenza dell’oggetto nel luogo in cui, secondo le massime di esperienza, lo stesso ben avrebbe potuto trovarsi, non incide sull ‘ integrazione del delitto nella dimensione del tentativo, poiché l’inesistenza casuale dell’oggetto è evento estraneo alla volontà dell’agente.
In effetti, con giurisprudenza costante, questa Corte ha più volte ribadito che la non punibilità dell’agente per inesistenza dell’oggetto materiale del reato può ricorrere solo quando detta inesistenza sia in rerum natura ovvero assoluta e originaria, cioè quando manchi qualsiasi possibilità che, in quel contesto di tempo, la cosa possa trovarsi in un determinato luogo e non anche quando la sua assenza sia puramente temporanea e accidentale, con giudizio da svolgersi con prognosi
ex ante (Sez. 3, n. 16499 del 08/11/2018, dep. 2019, Pg, Rv. 275569-01; confronta, negli stessi termini, Sez. 2, n. 3189 del 08/01/2009, COGNOME, Rv. 242669-01, che ha affermato il delitto di tentata rapina per avere il soggetto rovistato nella borsa della vittima al cui interno non vi era denaro; si vedano, altresì, Sez. 2, n. 8026 del 13/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258531-01 e Sez. 2, n. 15470 del 04/03/2022, COGNOME, Rv. 283223-01, non massimata sul punto).
Nel caso in esame, i giudici di merito, in coerenza con tali indicazioni ermeneutiche, hanno rilevato che non fosse ex ante del tutto impossibile che l’imputata rinvenisse, all’interno degli armadietti, beni di suo gradimento da asportare e che, anzi, fosse prevedibile l’esatto contrario : e, applicando i detti principi, ha ritenuto integrato il tentativo di furto.
Del resto, estremizzando il ragionamento di parte ricorrente, qualsivoglia tentativo rimasto tale per la casuale assenza dell’oggetto da apprendere sarebbe, ex se , non configurabile come reato: il che risulterebbe del tutto illogico.
Il secondo motivo (relativo alla riqualificazione della condotta contestata quale furto in luogo di privata dimora, che si assume erronea) è infondato.
Le Sezioni Unite COGNOME hanno chiarito che, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata e che non siano aperti al pubblico, né accessibili a terzi, senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale (così Sez. U. n. 31345 del 23/3/2017, COGNOME, Rv. 270076-01). È stato pertanto confermato l’orientamento che interpreta la disciplina dettata dall’art. 624bis cod. pen. come estensibile ai luoghi di lavoro soltanto se essi abbiano le caratteristiche proprie dell’abitazione (con accertamento riservato ai giudici di merito) e cioè se in essi, o in parte di essi, il soggetto compia atti della vita privata in modo riservato e precludendo l’accesso a terzi (ad esempio, retrobottega, bagni privati o spogliatoi, area riservata di uno studio professionale o di uno stabilimento).
Sulla scorta di tali principi, le Sezioni Unite COGNOME hanno, dunque, delineato alcuni elementi, ritenuti indefettibili per individuare la nozione di privata dimora: 1) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di attività inerenti la vita privata delle persone (quali riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale), dunque in modo riservato e al riparo da intrusioni esterne; 2) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità.
Orbene, nel caso specifico il fatto avvenne all’interno di uno spogliatoio
riservato al personale medico, accessibile, di norma, solo ai medici ospedalieri che intendevano cambiare i loro indumenti e non certo, in modo indiscriminato, a chiunque.
Né rileva in alcun modo che si tratt i di luogo all’interno di un ospedale pubblico.
In tal senso, ad esempio, Sez. 5, n. 3415 del 26/10/2022, dep. 2023, non massimata, ha ritenuto trattarsi di furto in privata dimora il caso in cui l’imputato aveva sottratto la banconota dalla borsa di un operatore sanitario custodita in un locale non aperto al pubblico (ufficio della caposala) e destinato esclusivamente al personale (in particolare, non accessibile a terzi senza il consenso della stessa caposala): il tutto all’interno dell’Ospedale INDIRIZZO a Napoli, presidio ospedaliero pubblico (gestito dall’Asl Napoli).
Ed ancora, si veda, analogamente, Sez. 4, n. 13044 del 23/2/2023, anch’essa relativa al furto di beni contenuti in un armadietto all’interno di un’area riservata alla sfera privata della persona offesa, in ambito ospedaliero. In tale precedente, peraltro, si enuclea una casistica di luoghi ritenuti privata dimora, tra cui il locale adibito a spogliatoio degli avvocati all’interno di un palazzo di giustizia, trattenendosi essi, seppure temporaneamente, per compiere atti privati della propria vita quotidiana, e che non poteva definirsi come pubblico o aperto al pubblico per il solo fatto che fosse accessibile a più di un avvocato o si trovasse all’interno di un edificio pubblico ( si richiama, all’uopo, Sez. 4, n. 20022 del 16/04/2008, COGNOME, Rv. 239980-01, che ha pronunciato siffatto principio).
Il terzo motivo (circa la mancata applicazione dell’art. 131bis cod. pen.) è manifestamente infondato.
Si condivide l’affermazione di parte ricorrente allorché evidenzia l’autonomia della fattispecie tentata, rispetto a quella consumata, e l’astratta applicabilità dell’art. 131bis cod. pen. nel caso di specie, in quanto la cornice edittale, determinata alla stregua del minimo previsto per il reato consumato ridotto di due terzi ai sensi dell’art. 56, comma 2, cod. pen., è certamente ricompresa entro la soglia di legge: in tal senso, seppur con riferimento al limite vigente prima della novella di cui all’art. 1, comma 1, lett. c), d.lgs. 150/2022, ma con principio evidentemente applicabile anche in questo caso, si veda Sez. 5, n. 17348 del 09/01/2019, Rv. 276629-01.
Tuttavia, la seconda ragione di diniego è stata correttamente rilevata dalla Corte d’appello.
S econdo l’art. 460, comma 5, cod. proc. pen.: « Il reato è estinto se il condannato ha pagato la pena pecuniaria e, nel termine di cinque anni, quando il
decreto concerne un delitto, ovvero di due anni, quando il decreto concerne una contravvenzione, non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale ».
Orbene, nella specie non sussiste certamente uno dei presupposti per poter affermare la verificazione dell’invocata estinzione del reato e di ogni effetto penale: ovvero la mancata commissione di un altro reato della medesima indole nei termini detti. Invero, dalla visura del casellario, allegata da parte ricorrente, si desume che, divenuto irrevocabile il decreto penale il 30/12/2013, in data 18/7/2014 la ricorrente si rendeva nuovamente responsabile di un altro delitto contro il patrimonio (una truffa): sicché è evidente che non si siano determinate tutte le condizioni dell’invocata estinzione del delitto oggetto del menzionato decreto penale, che correttamente il giudice d’appello ha, pertanto, considerato ai fini della valutazione ex art. 131bis cod. pen.
Invero, come già in altre occasioni rilevato, in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto, il presupposto ostativo del comportamento abituale ricorre quando l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, abbia commesso almeno altri due reati della stessa indole, incidentalmente accertabili da parte del giudice procedente (Sez. 6, n. 6551 del 09/01/2020, COGNOME, Rv. 278347-01).
Per giunta , parte ricorrente non si confronta con un’ulteriore ratio decidendi , autonomamente idonea a sorreggere la decisione presa. Infatti, la Corte d’appello richiama anche , al fine di evidenziare l’infondatezza della richiesta di parte ricorrente di proscioglimento ex art. 131bis cod. pen. , le ‘allarmanti modalità del fatto’ (p.8 sentenza d’appello) : motivazione esente da censure e -si ripete -idonea, da sola, a sorreggere l’esclusione dell’istituto invocato dalla Di Guida.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. , alla declaratoria di rigetto segue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 04/06/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente COGNOME
NOME COGNOME