Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 43824 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 43824 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato a Battipaglia il 10/03/1962 COGNOME NOME nato ad Avellino il 27/01/1988
NOME nato ad Avellino il 04/05/1980
avverso la sentenza del 21/3/2024 della Corte di appello di Napoli udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, emessa all’esito di annullamento con rinvio disposto da questa Corte, sezione Quinta penale, con sentenza n. 25069 – 23, in data 3 maggio 2023, la Corte di appello di Napoli ha parzialmente riformato la condanna, resa dal Tribunale di Avellino, in data 23 dicembre 2021, nei confronti, tra gli altri, di NOME e NOME COGNOME nonché NOME COGNOME escludendo la circostanza aggravante di cui all’art. 625 n. 2, prima parte, cod. pen., confermando, nel resto, la sentenza di primo grado.
1.1. Il primo giudice aveva condannato gli imputati, all’esito di rito abbreviato, alla pena di anni uno mesi dieci di reclusione ed euro 412,00 di multa, in relazione al reato contestato, di cui agli artt. 110, 624-bis, 625 n. 2, 5 e 7 cod. pen., per
essersi impossessati di plurimi utensili, all’interno di una struttura ricettiva, con esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 625 n. 7 cod. pen., concesse agli imputati le circostanze attenuanti generiche reputate prevalenti su quelle aggravanti, con la diminuente del rito, nonché con il beneficio della sospensione condizionale della pena per NOME COGNOME.
1.2. La prima sentenza di appello aveva escluso la circostanza aggravante di cui all’art. 625 n. 2 cod. pen. e confermato, nel resto, la condanna di primo grado.
1.3. Con la sentenza rescindente, la Corte di cassazione, secondo il dispositivo della pronuncia e, parte della motivazione, si è rilevata la fondatezza dei ricorsi, in relazione alla qualificazione della condotta, richiamando la pronuncia Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, COGNOME, Rv. 270076, affermando: l’ampliamento dell’ambito di applicabílità della “nuova” fattispecie anche a luoghi che non possano considerarsi abitazione in senso stretto risulta dettato, da un lato, dalla necessità di superare le incertezze manifestatesi in giurisprudenza in ordine alla definizione della nozione di abitazione e, dall’altro, di tutelare l’individuo anche nel caso in cui compia atti della sua vita privata al di fuori dell’abitazione. Deve, però, trattarsi, come si evince dalla ratio della norma, di luoghi che abbiano le stesse caratteristiche dell’abitazione, in termini di riservatezza e, conseguentemente, di non accessibilità, da parte di terzi, senza il consenso dell’avente diritto. Abrogazione con la L. n. 128 del 2001 del n. 1) dell’art. 625 c.p. “Ai fini della configurabilità del delitto previsto dall’art. 624-bis cod. pen., i luoghi di lavoro non rientrano nella nozione di privata dimora, salvo che il fatto sia avvenuto all’interno di un’area riservata alla sfera privata della persona offesa. Rientrano nella nozione di privata dimora di cui all’art. 624-bis cod. pen. esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.4. La sentenza impugnata, resa in sede di rinvio, ha confermato l’affermazione di responsabilità degli imputati, escludendo la circostanza aggravante di cui all’art. 625 n. 2 cod. pen., confermando, nel resto la pronuncia di primo grado, dopo aver riscontrato che la sentenza rescindente, ad onta del contenuto del dispositivo, aveva, in sostanza, disatteso espressamente, in motivazione, tutti i motivi di ricorso proposti dagli imputati, ritenendoli infondati e generici, pur concludendo nel senso dell’annullamento con rinvio.
La sentenza impugnata, uniformandosi a tale parte della motivazione della sentenza della Corte di legittimità, ha, poi, integralmente condiviso la prima sentenza di appello, addivenendo alla riforma della sentenza di primo grado, escludendo soltanto la circostanza aggravante di cui all’art. 625, primo comma, n. 2 cod. pen., con conferma, nel resto della condanna.
2.Avverso la descritta sentenza hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione gli imputati.
2.1. COGNOME per il tramite del difensore, avv. R. COGNOME si affida a due motivi, di seguito riassunti ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1.1. Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 156, 420-ter, 178 lett. c) cod. proc. pen.
La Corte d’appello ha emesso la sentenza in violazione delle norme che disciplinano l’intervento dell’imputato detenuto per altro, come si rileva dal verbale dell’udienza del 21 marzo 2024.
La Corte territoriale ha disposto procedersi a giudizio in assenza dell’imputato, mentre questi era in esecuzione di pena detentiva per altra causa e non era stato tradotto.
Si tratta di impedimento che risultava dagli atti come emerge, a parere del ricorrente, dai verbali delle udienze del 19 gennaio e del 21 marzo 2024.
La citazione dell’imputato, detenuto per altra causa, doveva avvenire senza che si potesse procedere in sua assenza, non risultando dagli atti espressa rinuncia a presenziare al processo.
All’udienza del 21 marzo 2024, dunque, COGNOME era in stato di legittimo impedimento non essendone stata ordinata la traduzione pur essendo l’Autorità giudiziaria procedente a conoscenza dello stato di detenzione per altra causa.
Di qui la nullità del provvedimento adottato all’esito dell’udienza ai sensi dell’art. 178 lett c) cod. proc. pen. (si richiama Sez. U, n. 7635 del 30 settembre 2021, dep. 2022).
2.1.2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione circa la ritenuta infondatezza delle doglianze prospettate dall’appellante, con violazione degli artt. 627 cod. proc. pen. e 624-bis cod. pen.
La Corte di appello, a seguito di annullamento con rinvio, ha confermato la pronuncia di condanna senza rivalutare la fondatezza dei motivi di gravame, limitandosi ad affermare che si uniformava ai principi enunciati dalla Corte di cassazione nella motivazione; così giungendo alla conferma della . sentenza di primo grado, con esclusione della sola circostanza aggravante della violenza sulle cose, facendo richiamo espresso alle medesime ragioni di cui alla motivazione contenuta nella sentenza di secondo grado annullata con rinvio, in quanto ragioni condivise dalla Corte di cassazione.
Dunque, il giudizio di rinvio si è limitato a una mera presa d’atto senza considerare che, con l’atto di gravame, era stato dedotto che vi era una mancata, effettiva adesione di COGNOME a concorrere nello sviluppo dell’azione, posta in
essere da COGNOME e da COGNOME, stante anche l’assenza di qualsiasi riscontro alla concreta configurabilità del delitto di furto in abitazione.
Si deduce, quindi, un evidente vizio di motivazione della sentenza perché non sono state prese in esame le argomentazioni contenute nell’atto di appello.
2.2. Con il ricorso dell’avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME e NOME COGNOME si denunciano tre vizi, di seguito riassunti nei limiti necessari a mente dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.2.1. Con il primo motivo si denuncia inosservanza dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen.
La Corte di appello non si è uniformata alla decisione della Corte di cassazione che ha annullato con rinvio in ordine alla questione di diritto riguardante la qualificazione giuridica del fatto, ai sensi dell’art. 624-bis cod. pen.
La sentenza rescindente, nel pronunciare l’annullamento con rinvio, ha reputato, espressamente, anche in motivazione, la fondatezza dei ricorsi nella parte in cui contestavano la qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’art. 624bis cod. pen.
Invece, secondo la Corte di appello, la sentenza rescindente, pur annullando con rinvio la sentenza di secondo grado, aveva disatteso in motivazione tutti i motivi di ricorso ritenendoli infondati o generici.
La difesa riscontra un contrasto, all’interno della sentenza della sezione Quinta penale, tra dispositivo e motivazione per il quale vi è logica prevalenza dell’elemento decisionale su quello giustificativo, prevalenza che avrebbe dovuto tenere in considerazione il Giudice del rinvio, ai sensi dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen., prendendo atto dell’annullamento con riferimento alla qualificazione giuridica.
L’obbligo del giudice del rinvio di uniformarsi alla sentenza di annullamento della Corte di cassazione riguarda le questioni di diritto decise non le affermazioni esplicative della ratio decidendi. Quindi, il giudice del rinvio avrebbe dovuto, in primo luogo, affrontare il tema della sussistenza della fattispecie di cui all’art. 624bis cod. pen. oggetto di annullamento e, in secondo luogo, avrebbe dovuto esporre ragioni differenti, rispetto a quelle ritenute dalla Corte d’appello la cui sentenza era stata annullata.
Si segnala che al Giudice del rinvio è vietato fondare la decisione solo sulle argomentazioni già spese dal giudice cui la sentenza è stata annullata dalla Corte di cassazione.
Invece, la Corte di appello in piena violazione di tali principi, fa riferimento espresso alle stesse argomentazioni della Corte d’appello rese nella sentenza annullata a pagine 10 e 11. Per i ricorrenti, dunque, la mera ripetizione dell’argomentazione determina vizio di mancanza di motivazione perché manca
l’illustrazione di ulteriori ragioni in virtù delle quali il fatto può essere qualificato sensi dell’art. 624-bis cod. pen.
Dunque, la Corte di appello non si è uniformata alla Corte di cassazione e non ha rispettato il dispositivo della pronuncia che si sarebbe dovuto ritenere prevalente.
2.2.2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione e violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen.
La prima sentenza della Corte d’appello aveva ritenuto che il delitto integrasse furto in abitazione; invece, la Corte di cassazione nella motivazione ha espresso che non vi è dubbio che il fatto descritto integra il reato di cui all’art. 624-bis cod. pen., in quanto consumato in luogo di privata dimora.
La Corte di cassazione ha premesso l’applicabilità della nuova fattispecie anche a luoghi che non possono considerarsi abitazioni in senso stretto, in tal modo evidenziando la diversità delle due fattispecie incriminatrici.
Invece, la Corte d’appello di Napoli ha erroneamente ritenuto che la Corte di cassazione avesse argomentato nel senso che il furto in abitazione è equiparato al furto di privata dimora, laddove, invece, si richiama soltanto la stessa cornice sanzionatoria, mentre il fatto ha dei connotati differenti.
La Corte di appello, dunque, sarebbe incorsa in una motivazione contraddittoria in quanto, da un lato, dichiara di uniformarsi ai principi della Corte di legittimità, ma dall’altro, qualifica il furto commesso quale furto in abitazione, reiterando lo stesso errore in cui era incorsa la Corte di appello con la sentenza annullata con la sentenza rescindente, avendo, invece, la Corte di legittimità ritenuto che nel caso di specie ricorresse il delitto di furto in privata dimora.
Inoltre, la Corte di appello, in – sede di rinvio, ha reiterato lo stesso ragionamento della sentenza della Corte di appello annullata con rinvio dalla Corte di cassazione, senza offrire ragioni, diverse ed ulteriori, onde addivenire alla conferma della sentenza di primo grado sul punto della qualificazione giuridica del fatto.
Non sono stati, infatti, indicati gli elementi per i quali la struttura alloggiativa ove è avvenuto il furto, pur non rientrando nel concetto di abitazione, avesse le stesse caratteristiche di tale luogo, in termini di riservatezza e di non accessibilità da parte di terzi, senza il consenso dell’avente diritto. Non viene specificato se essa fosse abitualmente destinata allo svolgimento di atti della vita privata, secondo le direttive tracciate dalla sentenza di annullamento al fine di ritenere configurato il delitto di furto in privata dimora.
2.2.3. Con il terzo motivo si denuncia erronea applicazione dell’art. 624-bis cod. pen. e vizio di motivazione.
La sentenza impugnata non ha svolto approfondita motivazione sulla natura del luogo oggetto di furto.
Il Giudice del rinvio non ha tenuto conto dell’orientamento di legittimità, richiamato nella sentenza di annullamento, secondo il quale rientrano nella nozione di privata dimora i luoghi nei quali si svolgono, non occasionalmente, atti della vita privata e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi, senza il consenso del titolare.
Non è stata considerata l’abituale destinazione del luogo allo svolgimento di atti della vita privata e la circostanza che tale abitualità deve essere attuale al momento della commissione del fatto.
Anzi, la sentenza di appello, da un lato, ha riconosciuto lo stato di abbandono in cui versava l’immobile al momento del furto ma, dall’altro, ha affermato che la sottrazione era stata perpetrata in una struttura alloggiativa il cui utilizzo era indisponibile solo temporaneamente.
La motivazione, poi, è apparente perché ha richiamato gli orientamenti di legittimità in tema di furto in abitazione, quindi non di privata dimora, posti a fondamento del riconoscimento di tale delitto nella motivazione svolta dalla Corte d’appello della prima sentenza di secondo grado annullata.
La mancanza di motivazione deriva dal fatto che il giudice del rinvio non si è confrontato con la circostanza, data per assodata nella sentenza, secondo cui il furto è risultato commesso in una struttura ricettiva oggetto di pignoramento. Dunque, si tratta di immobile che non era più nella disponibilità del titolare, ma sottoposto a pignoramento e che, quindi, non poteva individuarsi lo svolgimento di atti della vita privata da parte di alcuno in quel luogo.
Per potersi integrare la fattispecie delittuosa, contemplata dall’art. 624-bis cod. pen., devono invece ricorrere tre elementi: l’utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata; la durata apprezzabile del rapporto tra il luogo, non meramente occasionale, e la persona; la non accessibilità del luogo da parte di terzi senza il consenso del titolare.
In definitiva, la Corte d’appello non si è confrontata con il requisito della stabilità della destinazione dell’immobile e, comunque, la sentenza non si sarebbe pronunciata sulla sussistenza dell’elemento psicologico di perpetrare la sottrazione all’interno di un luogo di privata dimora.
3.11 Sostituto Procuratore generale, ha fatto pervenire richieste scritte, chiedendo l’annullamento con rinvio, in assenza di richiesta di trattazione orale delle parti, ai sensi dell’art. 23 del d. I. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, come prorogato, applicabile a impugnazioni proposte sino al 30 giugno 2024, ai sensi dell’art. 94, comma 2,
d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal d. I. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito con modificazioni dalla legge 23 febbraio 2024, n. 18.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso di NOME e NOME COGNOME è fondato, nei limiti di seguito illustrati, per ragioni che si estendono anche al ricorrente COGNOME, ai sensi dell’art. 587 cod. proc. pen., in quanto relative alla denunciata violazione dell’art. 627 cod. proc. pen. in ordine alla qualificazione giuridica del fatto.
2.Va premesso che senz’altro vi è discrasia tra il dispositivo di annullamento con rinvio e parte della motivazione della Sentenza rescindente. –
Questa, nei § 1. e § 2., invero, si pronuncia nel senso della fondatezza dei motivi di tutti i ricorsi degli imputati, odierni ricorrenti, e nel senso di reputar “fondate in particolare le doglianze, comuni a tutti í ricorsi, relative alla qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’art. 624-bis c.p.” (cfr. p. 2 della sentenza rescindente) richiamando il contenuto di Sez.’ U, n. 31345 del 23/03/2017, COGNOME, Rv. 270076.
Tale parte della motivazione appare in linea con il contenuto del dispositivo che si è pronunciato, dichiarando l’annullamento della sentenza del 6 giugno 2022 della Corte di appello di Napoli, con rinvio ad altra sezione del medesimo Ufficio per nuovo giudizio.
Sicché, concordando con la prospettazione della difesa e del Sostituto Procuratore generale di questa Corte, è a tale parte della sentenza rescindente che deve essere riconosciuta prevalenza onde individuare il dictum vincolante per il giudice del rinvio.
Infatti, non può trascurarsi che, come osservato dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata, nel prosieguo della motivazione della medesima pronuncia di legittimità si rinvengono ulteriori argomentazioni, del tutto discordanti rispetto all’incipit della motivazione e anche al contenuto del dispositivo.
Tuttavia, è alle prime indicazioni che deve attribuirsi rilevanza prevalente, in quanto coerenti con il contenuto del dispositivo, dal quale, peraltro, deriva una statuizione più favorevole per gli imputati, rispetto a quella che risulterebbe attribuendo prevalenza alla motivazione nella parte dissonante con il dispositivo (cfr. Sez. 3, n. 2351 del 18/11/2022, dep. 2023, Rv. 284057 – 04, nel senso che, in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, la regola della prevalenza del dispositivo può essere derogata a condizione che questo sia viziato da un errore materiale obiettivamente rilevabile e che da esso, quale espressione
della volontà decisoria del giudice, non derivi un risultato più favorevole per l’imputato).
Né la discrasia rilevata dal Giudice del rinvio, peraltro relativa soltanto a una parte della motivazione, potrebbe rendere, nel caso al vaglio, il dispositivo recessivo, in quanto manifestazione della volontà decisoria del giudice di legittimità, peraltro conducente a conclusioni più favorevoli per gli imputati ricorrenti.
Ciò posto, si osserva che il Giudice del rinvio non si è attenuto al decisum della sentenza rescindente, così delineato quanto al suo effettivo contenuto, sotto diversi aspetti.
3.1. In primo luogo, la sentenza impugnata si è limitata a ribadire la sussistenza della fattispecie di cui all’art. art. 624-bis cod. pen., poiché il furto venne commesso in una struttura alloggiativa il cui utilizzo era solo temporaneamente indisponibile, così approdando a una conclusione senza conformarsi alla sentenza rescindente, nella parte in cui questa ha richiamato l’orientamento espresso dalla Sez. U, ricorrente COGNOME citata (cfr. p. 2 della sentenza della sezione Quinta penale).
Invero, la richiamata pronuncia della Corte di legittimità, nella sua più autorevole composizione, ha affermato il principio secondo il quale l’ampliamento dell’ambito di applicabilità della “nuova” fattispecie di cui all’art. 624-bis cod. pen., anche a luoghi che non possano considerarsi abitazione in senso stretto risulta dettato, da un lato, dalla necessità di superare le incertezze, manifestatesi in giurisprudenza, in ordine alla definizione della nozione di abitazione e, dall’altro, di tutelare l’individuo anche nel caso in cui compia atti della sua vita privata al di fuori dell’abitazione.
La pronuncia precisa che, comunque, deve trattarsi di luoghi che abbiano le stesse caratteristiche dell’abitazione, in termini di riservatezza e, conseguentemente, di non accessibilità, da parte di terzi, senza il consenso dell’avente diritto, con accertamento da svolgersi, dunque, in concreto, per ciascun caso sottoposto al vaglio del Giudice.
Orbene, di tale accertamento non rende conto la sentenza impugnata che, invece, si limita a descrivere l’immobile come “struttura alloggiativa”, il cui utilizzo era solo momentaneamente indisponibile, senza neppure affrontare, peraltro, i temi introdotti dalle difese con i motivi di gravame.
3.2. In secondo luogo, la sentenza è viziata posto che richiama, espressamente (cfr. p. 3), la motivazione della sentenza della Corte di appello annullata con rinvio, operazione inibita al giudice ex art. 627 cod. proc. pen.
Invero, sia COGNOME che i COGNOME (cfr. p. 1 della sentenza rescindente) avevano censurato la motivazione lamentando il primo, tra l’altro, espressamente vizi di motivazione, i secondi, la qualificazione giuridica del fatto, comunque, contestando la motivazione resa in punto di prova dello svolgimento, all’interno dell’immobile, di atti della vita privata e dell’elemento soggettivo del reato.
Dunque, si richiama il consolidato il principio affermato da questa Corte (tra le altre, Sez. 3, n. 34794 del 19/05/2017, F., Rv. 271345) secondo il quale, a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice del rinvio è chiamato a compiere un nuovo completo esame del materiale probatorio con i medesimi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, salve le sole limitazioni previste dalla legge, consistenti nel non ripetere il percorso logico già censurato, spettandogli il compito esclusivo di ricostruire i dati di fatto, risultanti dall emergenze processuali, nonché di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova (conf. n. 27116 del 2014, Rv. 259811; n. 42814 del 2014, Rv. 261760; n. 36080 del 2015 Rv. 264861).
3.3. La pronuncia resta del tutto carente quanto alla motivazione sulla .qualificazione giuridica della condotta (cfr. p. 3 dove spiega che la struttura era alloggiativa, con un utilizzo solo temporaneamente indisponibile) senza chiarire in che modo l’immobile in questione, originariamente destinato ad attività ricettiva alberghiera, ormai sottoposto a pignoramento e affidato a un custode giudiziario alla data dei fatti, quindi non più a disposizione, continuativa, del proprietario e, comunque, non più destinato ad attività ricettiva, potesse reputarsi luogo di privata dimora, come tale da considerarsi, come l’abitazione, comunque, inviolabile ai sensi dell’art. 624-bis cod. pen.
Tanto, peraltro, recuperando, parzialmente, la motivazione svolta dalla sentenza annullata con rinvio (cfr. p. 10 della prima sentenza di appello, che contiene argomenti ripresi testualmente in sede di rinvio).
Tali considerazioni comportano l’annullamento con rinvio per nuovo esame, statuizione che si estende anche alla posizione di COGNOME con riferimento al punto relativo alla qualificazione della condotta in addebito, assorbita ogni altra questione proposta dal ricorrente.
Segue l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Napoli, altra sezione, per nuovo esame osservando i principi di cui alla parte motiva.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli.
Così deciso, il 18 ottobre 2024
Il Consigliere estensore