Furto in Privata Dimora: Anche il Magazzino di un Locale è Protetto
Il concetto di furto in privata dimora si estende oltre le mura domestiche. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: anche le aree di un luogo di lavoro non aperte al pubblico, come una cucina o un magazzino, rientrano nella nozione di ‘privata dimora’. Questa decisione conferma una tutela rafforzata per tutti quegli spazi in cui si svolge, anche se non in via esclusiva, la vita privata di un individuo. Analizziamo insieme questo interessante caso giurisprudenziale.
I Fatti di Causa
Il caso ha origine dalla condanna di un uomo per il reato di tentato furto aggravato. L’imputato si era introdotto nella cucina e nel magazzino di un locale commerciale, aree private e non accessibili al pubblico. La sua colpevolezza era stata accertata sia in primo grado dal Tribunale sia in secondo grado dalla Corte d’Appello, basandosi su prove solide, tra cui il riconoscimento immediato da parte di una testimone oculare.
Nonostante le due sentenze conformi, l’imputato ha deciso di presentare ricorso per Cassazione, contestando la decisione dei giudici di merito su due fronti principali.
I Motivi del Ricorso e il Concetto di Privata Dimora
L’imputato ha basato il suo ricorso su due argomenti:
1. Violazione del principio ‘al di là di ogni ragionevole dubbio’: Sosteneva che la sua colpevolezza non fosse stata provata con la certezza richiesta dalla legge.
2. Errata applicazione della nozione di ‘privata dimora’: A suo avviso, la cucina e il magazzino di un locale commerciale non potevano essere qualificati come ‘privata dimora’ ai sensi dell’art. 624-bis del codice penale, che punisce più severamente il furto commesso in tali luoghi.
In sostanza, la difesa mirava a derubricare il reato da tentato furto in privata dimora a tentato furto semplice, con una pena significativamente inferiore.
Le Motivazioni della Cassazione sul Furto in Privata Dimora
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo categoricamente entrambe le doglianze. I giudici hanno ritenuto i motivi del ricorso generici e manifestamente infondati.
In primo luogo, la Corte ha osservato che le argomentazioni sulla presunta assenza di prove erano una mera e sterile ripetizione di quanto già esaminato e respinto con motivazioni logiche e coerenti dalla Corte d’Appello. Il ricorso non presentava una critica argomentata alla sentenza impugnata, ma si limitava a riproporre le stesse tesi, rendendolo così non specifico e, di conseguenza, inammissibile.
Il punto cruciale della decisione, tuttavia, riguarda la definizione di furto in privata dimora. La Cassazione ha confermato il proprio orientamento consolidato, secondo cui la nozione di ‘privata dimora’ è ampia e include tutti i luoghi, anche di lavoro, in cui si compiono atti della vita privata in modo riservato e precluso all’accesso di terzi. La cucina e il magazzino di un ristorante o di un negozio, essendo aree riservate al personale dove si svolgono attività private non aperte al pubblico, rientrano a pieno titolo in questa categoria. L’introduzione in tali spazi integra quindi la circostanza aggravante prevista dalla legge.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame rafforza un importante principio di diritto: la tutela della sfera privata non si ferma alla porta di casa. Qualsiasi luogo chiuso al pubblico, dove una persona svolge attività personali, anche se lavorative, gode della protezione rafforzata contro le intrusioni illecite. Per i titolari di attività commerciali, questa decisione conferma che aree come magazzini, uffici privati o cucine sono legalmente protette allo stesso modo di un’abitazione privata ai fini del reato di furto. La sentenza serve da monito: l’introduzione non autorizzata in queste zone non è un furto semplice, ma un più grave furto in privata dimora, con conseguenze penali molto più severe.
Un magazzino o una cucina di un locale commerciale possono essere considerati ‘privata dimora’ ai fini del reato di furto?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, rientrano nella nozione di privata dimora anche i luoghi di lavoro preclusi all’accesso di terzi, come la cucina o il magazzino di un locale, in cui si compiono atti della vita privata in modo riservato.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati sono stati ritenuti generici, in quanto si limitavano a riproporre le stesse argomentazioni già discusse e respinte dalla Corte d’Appello, senza formulare una critica specifica e argomentata alla sentenza impugnata.
Cosa significa che un motivo di ricorso è ‘generico’?
Significa che il motivo non è specifico, ovvero non contesta in modo puntuale e argomentato le ragioni della decisione del giudice precedente, ma si limita a ripetere doglianze già esaminate o a sollevare questioni vaghe, senza assolvere alla funzione tipica di una critica costruttiva della sentenza.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10049 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10049 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a SAN DANIELE DEL FRIULI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/04/2023 della CORTE APPELLO di TRIESTE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
-Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte di Appello di Trieste del 19 aprile 2023 ha confermato la pronuncia di condanna del Tribunale di Udine in ordine al reato di tentato furto in abitazione (artt.56 e 624 bis cod. pen.);
-Ritenuto che il primo motivo di ricorso – con cui il ricorrente lamenta vizio di motivazione per il mancato rispetto del canone di giudizio “al di là di ogni ragionevole dubbio” ex art 533 cod. proc. pen., nonché violazione di legge quanto al requisito della privata dimora-:
– quanto alla prima doglianza è fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso ( pag.3 dove si chiarisce che in ragione della convergenza delle dichiarazioni rese dalle persone offese, del riconoscimento prontamente effettuato nell’immediatezza del fatto dalla COGNOME, non sussiste alcun ragionevole dubbio sulla penale responsabilità dell’imputato in merito alle condotte poste in essere);
-quanto al concetto di “privata dimora” è manifestamente infondato avendo la sentenza impugnata operato buon governo della giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di furto in abitazione, rientrano nella nozione di privata dimora i luoghi di lavoro preclusi all’accesso di terzi, nei quali si compiano, in maniera non occasionale, atti della vita privata in modo riservato (Sez. 5 n. 35677 del 10/06/2022, Rv. 283593); i luoghi di lavoro non possono considerarsi privata dimora, a meno che non si tratti di aree riservate alla sfera privata della persona offesa. Nel presente caso l’imputato si è introdotto nella cucina e nel magazzino del locale, aree non aperte al pubblico ma private.
-Ritenuto che il secondo motivo di ricorso – con cui il ricorrente denunzia vizio di motivazione in ordine alle risultanze probatorie a fondamento del giudizio di responsabilità – è generico perché fondato su argomenti che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame e, pertanto, non specifici ( pag.3 : sufficienti le prove assunte per via dei testi oculari; NOME COGNOME ha riconosciuto, nell’immediatezza del fatto, nell’imputato l’uomo che aveva poco prima sorpreso all’interno del locale adibito a magazzino).
Rilevato pertanto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 7/2/2024