Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14406 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14406 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Torino il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza del 4 maggio 2023 della Corte d’appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME impugna la sentenza con la quale la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della condanna pronunciata in primo grado (riformata solo in termini di trattamento sanzionatorio inflitto), lo ha ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 624-bis cod. pen., ascrittogli in rubrica.
Il ricorso si compone tre motivi di censura.
2.1. Il primo deduce, sotto í profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, l’omessa valutazione delle questioni poste dal difensore (essendosi limitata la Corte territoriale a richiamare le argomentazioni offerte in primo grado) quanto, in particolare, alla prospettata derubricazione del fatto contestato in furto semplice (non potendosi qualificare il garage quale pertinenza dell’abitazione in mancanza di un evidente contiguità spaziale con essa).
2.2. Il secondo motivo, invece, formulato sotto il profilo del vizio di motivazione, attiene al trattamento sanzionatorio e deduce che non sarebbe stata giustificata la riduzione di pena (conseguente al giudizio di prevalenza delle pur riconosciute circostanze attenuanti generiche) in una misura minore rispetto alla sua massima estensione.
2.3. Il terzo, in ultimo, formulato sotto i profili dell’inosservanza di norma processuale e del connesso vizio di motivazione, deduce che la Corte territoriale avrebbe omesso di avvisare l’imputato, all’esito della lettura del dispositivo, in ordine alla possibilità di richiedere la sostituzione della pena irrogata con una delle sanzioni sostitutive di cui al novellato art. 53 I. 24 novembre 1981 n. 689.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Com’è noto, l’art. 624-bis cod. pen. delinea un concetto di “privata dimora” che non ricomprende le sole “abitazioni”, ma anche quei luoghi che, pur non essendo tali, dell’abitazione hanno le stesse caratteristiche, in termini di riservatezza e, conseguentemente, di accessibilità, preclusa senza il consenso dell’avente diritto.
La norma rappresenta una specifica forma di tutela del domicilio (nella sua dimensione costituzionale di spazio riservato all’interno del quale si manifesta la personalità di ciascun individuo o gruppo collettivo) e del diritto alla riservatezza (inteso come autodeterminazione informativa connessa alla propria sfera privata). Cosicché, perché sia operativa la tutela (ed integrata la fattispecie sanzionatoria), è necessario che si tratti di un luogo in cui sia inibito l’accesso ad estranei e sia tale da garantire la riservatezza, precludendo la possibilità di essere “percepito dall’esterno” (Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, COGNOME, Rv. 270076, in motivazione).
Con riferimento specifico proprio al garage, si è, poi, affermato che, avuto riguardo alla ratio della fattispecie, la nozione di “pertinenza di luogo destinato a privata dimora”, di cui all’art. 624-bis, cod. pen., deve intendersi riferita a ogn bene idoneo ad arrecare una diretta utilità economica ovvero funzionale al bene principale, per essere destinato in modo durevole al servizio o all’ornamento di esso, resa possibile da una contiguità, anche solo di servizio, tra bene principale
e bene pertinenziale (Sez.5, n.27326 del 28/04/2021, COGNOME, non massimata). Cosicché, deve intendersi “pertinenza di luogo destinato a privata dimora” ogni bene idoneo ad arrecare una diretta utilità economica all’immobile principale o, comunque, funzionalmente ad esso asservito e destinato al suo servizio od ornamento in modo durevole, non essendo necessario un rapporto di stretta contiguità fisica tra i beni (Sez. 4, n. 50105 del 05/12/2023, COGNOME, Rv. 285470, in cui la Corte ha riconosciuto natura pertinenziale a un garage, al servizio dell’abitazione principale, seppur ubicato in un diverso complesso condominiale, nell’ambito del medesimo territorio comunale).
Ebbene, la Corte territoriale, facendo corretta applicazione dei principi evidenziati, ha dato atto che il garage, ove era custodita la merce poi rubata, era utilizzato esclusivamente dalla persona offesa, che ad esso non vi si poteva accedere senza il consenso di quest’ultima e che lo stesso era ubicato a 20-30 metri di distanza dall’appartamento al quale era asservito.
Da ciò l’infondatezza dell’assunto difensivo.
2. Il secondo è, invece, inammissibile.
La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 del codice penale. Ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142). E sotto tale profilo, deve ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena allorché siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998, Rv. 211582; Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, dep. 2014, Rv. 258410). E ciò tanto più per il giudizio di bilanciamento, che costituisce esercizio di un potere valutativo riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivato.
Ebbene, la Corte territoriale ha adeguatamente spiegato le ragioni che hanno giustificato la riduzione della pena non nella sua massima estensione evidenziando la gravità della condotta, l’intensità del dolo e i plurimi precedenti penali di cui è gravato il ricorrente. La motivazione è logica e coerente, in difetto di contrarie allegazioni, con i dati processuali richiamati e, in quanto tale, insindacabile in sede di legittimità.
Del resto, non basta che la difesa abbia chiesto le attenuanti con giudizio di prevalenza perché sia necessaria una specifica motivazione, occorrendo anche l’indicazione (in concreto omessa) di circostanze dì fatto tali da legittimare la richiesta stessa (cfr. Sez. 7, n. 11210 del 20/10/2017, dep. 2018, Rv. 272460).
3. Il terzo motivo è inammissibile sotto due distinti profili.
Va premesso che l’avviso della possibilità di sostituzione della pena detentiva con pene sostitutive deve essere dato alle parti solo allorquando il giudice, nell’esercizio di un potere discrezionale a lui attribuito dalla stessa formulazione normativa, ritenga di poter addivenire alla sostituzione (ex multis, Sez. 6 n. 33027 del 10/05/2023). Cosicché, l’omessa formulazione, subito dopo la lettura del dispositivo, dell’avviso di cui all’art. 545-bis, comma 1, cod. proc. pen., non comporta la nullità della sentenza, presupponendo un’implicita valutazione dell’insussistenza dei presupposti per accedere alla misura sostitutiva (Sez. 2, n. 43848 del 29/09/2023, Rv. 285412).
Ebbene, in concreto, non solo la difesa omette, in sede di appello, di formulare istanza di condanna a pena sostituiva e, in sede di ricorso per cassazione, di indicare la sussistenza delle condizioni necessarie a disporre la sostituzione (e tanto rende, di per sé, la censura generica), ma la lettura della motivazione, con cui la Corte d’Appello ha dato conto del disvalore complessivo del fatto di reato, consente ragionevolmente di prevede l’esito negativo della meritevolezza della sostituzione, specie aila luce della operata valorizzazione della gravità della condotta, dell’intensità del dolo e della presenza di plurimi precedenti penali, anche specifici, a carico del ricorrente. E tanto dà conto, implicitamente, della ritenuta inapplicabilità della previsione normativa.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 30 gennaio 2024