Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34591 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34591 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/03/2025 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Per mezzo del difensore di fiducia, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo indicata in epigrafe, con la quale è stata confermata la pronuncia di condanna per violazione degli artt. 110, 624 bis, 525 n. 2 cod. pen. del quale COGNOME è stato ritenuto responsabile per essersi introdotto, previa effrazione, in un box costituente pertinenza di una abitazione impossessandosi di prodotti per l’igiene, di un apparecchio aspirapolvere e di due cacciaviti.
Il ricorrente deduce col primo motivo, violazione di legge quanto alla qualificazione giuridica del fatto, rileva che, per sostenere che un box esterno ad una abitazione sia legato a vincolo pertinenziale con la stessa, sarebbe stato necessario chiarire se quel box era destinato, anche in via transitoria o accessoria, alla esplicazione della vita privata e la motivazione sul punto sarebbe carente. Rileva, inoltre, che l’effrazione della serratura del box è stata ritenuta in assenza di prova in tal senso. Col secondo motivo, deduce violazione di legge e vizi di motivazione rilevando che, ancorché il valore della refurtiva fosse di circa 150 euro, l’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. è stata esclusa ritenendo esistente un danno alla serratura del box che, invece, non è provato. Col terzo motivo deduce violazione dell’art. 133 cod. pen. non essendosi tenuto conto, nel trattamento sanzionatorio della giovanissima età dell’imputato e della confessione. Sostiene, inoltre, che il fatto potrebbe essere valutato di particolare tenuità in ragione della modesta entità del danno e del fatto che COGNOME non ha precedenti specifici.
Rilevato, quanto al primo motivo, che il ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, dalla quale risulta: che il box si trovava nelle immediate adiacenze dell’abitazione; che nello stesso erano custoditi beni da utilizzare nel quotidiano svolgimento della vita privata (prodotti per l’igiene della casa e della persona, un aspirapolvere, attrezzi da lavoro); che il danneggiamento della serratura fu constatato non solo dal proprietario del box (pag. 2 della sentenza impugnata), ma anche dagli operanti (pag. 5 della sentenza di primo grado).
Considerato che «Integra il reato previsto dall’art. 624-bis cod. pen. la condotta di chi si impossessa di beni mobili introducendosi all’interno di un garage mediante la forzatura della porta d’ingresso, trattandosi di luogo che costituisce pertinenza dell’abitazione, ove si compiono in maniera non occasionale atti della vita privata, e che non è accessibile senza il consenso del titolare» (Sez. 4, n. 5789 del 04/12/2019, dep. 2020, Rv. 278446).
Rilevato, quanto al secondo motivo, che l’affermazione secondo la quale il valore delle merci sottratte era «pari a circa 150 euro» si esaurisce in una mera allegazione e la sentenza impugnata fa corretta applicazione dei principi di diritto che regolano la materia quando sostiene che, nel valutare l’entità del danno patrimoniale, si deve tenere conto anche dell’accertato danneggiamento della serratura.
Rilevato, quanto al terzo motivo, che la pena è stata determinata nella misura di anni uno, mesi nove, giorni dieci di reclusione ed C 412,00 di multa, partendo da una pena base corrispondente al minimo edittale, riducendola per la applicazione delle attenuanti generiche e riducendola di 1/3 per la scelta del rito abbreviato sicché gli elementi di favore sono stati valutati.
Rilevato, infine, quanto alla richiesta di applicazione dell’art. 131 bis cod. pen. che questa richiesta non risulta essere mai stata formulata nel giudizio di merito e, nella fase immediatamente successiva all’entrata in vigore di questa norma, la giurisprudenza di questa Corte ha ammesso che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ancorché non dedotta nel corso del giudizio di appello pendente alla data di entrata in vigore dell’art. 131 bis cod. pen. potesse essere rilevata d’ufficio nel giudizio di legittimità, ma solo se si sia in presenza di un ricorso ammissibile (Sez. 6, n. 7606 del 16/12/2016, dep. 2017, Curia, Rv. 269164) e a condizione che i presupposti per l’applicazione
siano immediatamente rilevabili dagli atti e non” siano necessari ulteriori accertamenti in fatto (Sez. 2, n. 49446 del 03/10/2018, COGNOME, Rv. 274476; Sez. 1, n. 27752 del 09/05/2017, COGNOME, Rv. 270271), condizioni che non ricorrono nel caso di specie.
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile e a ciò consegua la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Ritenuto che, in ragione della causa di inammissibilità, il ricorrente debba essere condannato anche al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7 ottobre 2025
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