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Furto in esercizio commerciale: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso di un individuo condannato per un furto commesso in un negozio dopo l’orario di chiusura. La difesa sosteneva l’errata qualificazione del reato come furto in abitazione e la conseguente prescrizione. La Corte ha riqualificato il fatto come furto aggravato, specificando che un esercizio commerciale non costituisce ‘privata dimora’. Tuttavia, ha rigettato il ricorso, poiché, ricalcolando i termini sulla base della recidiva e degli atti interruttivi, la prescrizione non era maturata. Respinti anche i motivi relativi all’uso delle prove dattiloscopiche e alla mancata applicazione del reato continuato.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto in Esercizio Commerciale: Quando si Applica l’Aggravante della Privata Dimora?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7401/2025, è tornata a pronunciarsi su un tema di grande rilevanza pratica: la corretta qualificazione giuridica del furto in esercizio commerciale commesso al di fuori dell’orario di apertura. La pronuncia offre spunti cruciali per distinguere questa fattispecie dal più grave reato di furto in abitazione, con importanti conseguenze anche in materia di prescrizione.

I Fatti del Caso

Un soggetto veniva condannato in primo e secondo grado per un furto commesso nel 2010 all’interno di un negozio a Rovigo. Il reato era stato perpetrato forzando la porta d’ingresso in orario di chiusura. La condanna si basava, tra l’altro, sulla comparazione di impronte papillari rinvenute sulla scena del crimine. L’imputato decideva di ricorrere in Cassazione, sollevando tre questioni principali: una di carattere procedurale e due di diritto sostanziale.

Le Argomentazioni sul furto in un esercizio commerciale

La difesa ha articolato il ricorso su tre motivi distinti:

1. Inutilizzabilità della prova dattiloscopica: Secondo il ricorrente, la deposizione testimoniale dell’operatore di polizia giudiziaria sulla comparazione delle impronte non sarebbe stata sufficiente a fondare un giudizio di colpevolezza, in assenza dell’acquisizione agli atti della relazione scritta.
2. Mancata applicazione del reato continuato: L’imputato chiedeva il riconoscimento della continuazione tra il furto in questione e una rapina commessa sei mesi prima, al fine di ottenere un trattamento sanzionatorio più mite.
3. Errata qualificazione giuridica e prescrizione: Il punto centrale del ricorso. La difesa sosteneva che il furto in un negozio chiuso non potesse essere qualificato come furto in privata dimora (art. 624-bis c.p.), ma come furto aggravato (art. 624 e 625 c.p.). Tale riqualificazione, a suo dire, avrebbe comportato la prescrizione del reato.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, pur accogliendo parzialmente una delle argomentazioni difensive. Vediamo nel dettaglio il ragionamento seguito dai giudici.

Sull’Utilizzabilità delle Impronte Digitali

La Corte ha ribadito un principio consolidato: il rilevamento e l’individuazione di impronte digitali sono considerati ‘rilievi’ urgenti e non ripetibili, di natura puramente materiale. Non costituiscono ‘accertamenti tecnici’ che richiedono il rispetto del contraddittorio e delle garanzie difensive previste dagli artt. 359 e 360 c.p.p. Di conseguenza, la testimonianza dell’agente che ha effettuato i rilievi e la comparazione è una prova pienamente utilizzabile nel processo.

Sul Reato Continuato

Anche questo motivo è stato respinto. La Corte ha ricordato che l’onere di provare l’esistenza di un ‘medesimo disegno criminoso’ grava su chi lo allega. Nel caso di specie, la difesa non ha fornito elementi concreti a sostegno di tale tesi, limitandosi a evidenziare una generica vicinanza temporale (peraltro di sette mesi) e la tipologia di reato. Per i giudici, questi elementi non sono sufficienti a dimostrare un’unica programmazione criminosa, potendo al più indicare una generica ‘indole al crimine’.

Sulla Qualificazione del Fatto e la Prescrizione

Questo è il punto più interessante della sentenza. La Corte ha dato ragione al ricorrente sulla qualificazione giuridica: un furto in esercizio commerciale, anche se commesso in orario di chiusura, non integra il reato di furto in privata dimora (art. 624-bis c.p.). Citando le Sezioni Unite (sent. n. 31345/2017), i giudici hanno chiarito che la nozione di ‘privata dimora’ presuppone che in quel luogo si svolgano, in modo non occasionale, atti della vita privata e che non sia accessibile a terzi senza il consenso del titolare. Un negozio, per sua natura, non possiede tali caratteristiche.

Il fatto doveva quindi essere riqualificato come furto aggravato dalla violenza sulle cose (artt. 624 e 625 n. 2 c.p.). Tuttavia, questa corretta riqualificazione non ha portato all’estinzione del reato per prescrizione. La Corte ha infatti proceduto a un nuovo calcolo dei termini, tenendo conto della recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale contestata all’imputato. In presenza di tale circostanza aggravante ad effetto speciale, il termine massimo di prescrizione, comprese le interruzioni, è stato esteso a 16 anni, 6 mesi e 20 giorni, un periodo non ancora trascorso alla data della decisione.

Le Conclusioni

La sentenza conferma la condanna dell’imputato, rigettando il suo ricorso. Pur riconoscendo l’errore nella qualificazione giuridica del fatto operata nei gradi di merito, la Corte Suprema ha concluso che tale errore non ha avuto effetti pratici né sulla pena (già calcolata sulla base delle cornici edittali del furto aggravato) né sulla prescrizione. La pronuncia ribadisce due principi fondamentali: la netta distinzione tra un luogo di privata dimora e un esercizio commerciale ai fini della configurabilità del reato di furto, e l’impatto decisivo della recidiva qualificata sul calcolo dei termini di prescrizione del reato.

Un esercizio commerciale chiuso è considerato ‘privata dimora’ ai fini del reato di furto?
No. La Corte di Cassazione, richiamando una precedente pronuncia delle Sezioni Unite, ha stabilito che un esercizio commerciale non rientra nella nozione di privata dimora di cui all’art. 624-bis c.p., poiché non è un luogo destinato allo svolgimento di manifestazioni della vita privata in modo riservato e stabile.

La testimonianza di un poliziotto sulle impronte digitali è una prova valida anche senza una perizia scritta?
Sì. Secondo la giurisprudenza costante, il rilevamento e la comparazione delle impronte digitali sono attività di polizia giudiziaria urgenti e non ripetibili (rilievi), non accertamenti tecnici. Pertanto, la deposizione testimoniale dell’operatore che ha svolto tali attività è pienamente valida come prova nel processo.

Come si calcola la prescrizione in caso di furto aggravato e recidiva qualificata?
In caso di recidiva reiterata (art. 99, comma 4, c.p.), il termine ordinario di prescrizione viene aumentato e il termine massimo, in presenza di atti interruttivi, può essere esteso fino a un massimo di due terzi, anziché di un quarto. Nel caso specifico, questo ha portato il termine di prescrizione a oltre 16 anni, impedendo l’estinzione del reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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