Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 8043 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 8043 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME ( cui 050c1vm ) nato a SIENA il 16/03/1998
avverso la sentenza del 09/05/2024 della Corte d’appello di Firenze Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Procuratore generale, COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le conclusioni dell’Avv. NOME COGNOME per il ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata deliberata dalla Corte di appello di Firenze il 9 maggio 2024 ed ha confermato la decisione del Tribunale di Firenze che, all’esito di rito abbreviato, aveva condannato NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia perché ritenuto responsabile dei reati di furto in abitazione aggravato dalla violenza sulle cose e di possesso di arnesi atti allo scasso.
Il furto era avvenuto all’interno della camera di un B & B, ai danni di due turisti stranieri, ai quali erano state sottratte apparecchiature e accessori
elettronici, un orologio, un rasoio elettrico, uno zaino e alcuni capi di abbigliamento.
L’imputato ricorre avverso la sentenza della Corte di appello a mezzo del difensore di fiducia, che ha affidato il ricorso a due motivi.
2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione dell’art. 624-bis cod. pen. e sostiene che la Corte distrettuale avrebbe errato nel confermare la condanna per furto in abitazione, piuttosto che per furto semplice. Partendo dagli insegnamenti di Sezioni Unite COGNOME, il ricorrente assume che contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello – la stanza di un Bed & Breakfast non è luogo di privata dimora perché difetterebbero due dei tre requisiti enucleati al massimo Consesso, vale a dire la stabilità del rapporto che lega l’usuario con la camera e la non accessibilità alla medesima di terzi senza il consenso del titolare.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso, la parte denunzia vizio di motivazione e violazione di legge quanto alla mancata riqualificazione dell’addebito da furto consumato a furto tentato.
Secondo il ricorrente, in questa direzione avrebbe rilievo la circostanza che vi era stata una continuità tra il controllo sugli imputati attuato dalle persone offese e l’inizio del pedinamento della polizia, avvenuto in concomitanza con la segnalazione del furto.
Sarebbero stati travisati, per omissione, due “elementi di prova”. Il primo è costituito dal fatto che le persone offese avevano sorpreso gli imputati appena all’esterno dell’alloggio ed avevano subito allertato le forze dell’ordine. Il secondo è che, se è vero che i Carabinieri passavano lì per caso, essi erano stati avvertiti immediatamente del furto commesso presso la struttura; poco importa se i due militari, essendo fuori servizio, avevano a loro volta dovuto allertare una pattuglia.
Assume, ancora, il ricorrente che la norma sul tentativo non distinguerebbe tra cause impeditive dell’evento volontarie o meno, donde sarebbero errate le argomentazioni della Corte di merito che hanno dato rilievo alla casualità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato e va, pertanto, respinto.
Il primo motivo di ricorso lamenta violazione dell’art. 624-bis cod. pen. dubitando che la stanza di un B & B possa essere ritenuta “luogo di privata dimora”, perché difetterebbero due dei tre presupposti che le Sezioni Unite, nella sentenza n. 31345 del 2017 (ric. COGNOME, Rv. 270076), hanno individuato per
assimilare un luogo diverso dall’abitazione alla “privata dimora” di cui alla disposizione codicistica, vale a dire la stabilità del rapporto che lega l’usuario al sito e lo ius excludendi alios.
Ebbene, la tesi propugnata nel ricorso non può trovare accoglimento, siccome infondata, dal momento che il ricorrente, pur partendo dalla lettura di un precedente di sicuro riferimento per l’interprete, ne trae conseguenze non corrette.
Secondo l’autorevole approdo – concernente la riconducibilità del concetto di privata dimora rilevante ex art. 624-bis cod. pen. ai luoghi di lavoro – gli indici cui ancorare la classificazione di un luogo come di privata dimora sono: «a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità de/luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare».
La difesa dell’imputato contesta che, quando il furto avvenga nella stanza di un B & B, ricorrano i presupposti di cui alle lett. b) e c), ma si tratta di un’opzione ermeneutica che non può essere condivisa.
In particolare – a giudizio del Collegio – non rileva che il luogo teatro dei fatti appartenesse ad una struttura ricettiva e che le persone offese non vi risiedessero o dimorassero stabilmente, non essendo detta delimitazione cronologica indice di un utilizzo del tutto momentaneo, quanto, piuttosto, la naturale conseguenza delle caratteristiche del rapporto che legava le vittime alla struttura e della funzionalità di quest’ultima a costituire il loro alloggio per l vacanze, caratteristiche connaturate alla destinazione del sito. Ciò non toglie che, per il periodo in cui le persone offese utilizzavano la struttura, quest’ultima costituisse il luogo ove le medesime svolgevano atti della propria vita privata, luogo che doveva essere posto al riparo da intrusioni altrui perché integrante un contesto paradomestico. Si reputa, infatti, che il concetto di “mera occasionalità” di cui hanno scritto le Sezioni Unite quale indicatore negativo per la definizione di un luogo come “privata dimora” di chi lo occupa vada riferito a situazioni diverse da quella sub iudice, situazioni nelle quali il rapporto tra l’offeso e il sito si instauri una tantum ed in maniera del tutto transitoria e non quando, sia pure in assenza di una stabilità della collocazione della persona offesa protratta per settimane, mesi o anni, il luogo venga adibito ad alloggio di quest’ultima per il tempo necessario a soddisfare l’esigenza per cui il soggetto se ne è procurato la disponibilità.
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Non è senza rilievo evidenziare, a questo riguardo, due spunti in questa direzione che si colgono nella sentenza COGNOME.
Il primo è che la stabilità viene ravvisata nelle situazioni in cui «un luogo sia stato adibito (in modo apprezzabile sotto il profilo cronologico) allo svolgimento di atti della vita privata» dando, così, spazio ad una valutazione circa il connotato dell'”apprezzabilità” che ben si presta ad essere ravvisato quando si instauri il rapporto tra fruitore della stanza della struttura ricettiva e quest’ultima.
Il secondo indicatore ermeneutico va colto nel fatto che le Sezioni Unite hanno richiamato, nel loro percorso ricostruttivo, altro precedente del massimo Consesso – Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234269 – 01 – che conforta la conclusione cui il Collegio è giunto. Secondo tale arresto, infatti, il concetto di domicilio è collegato allo svolgimento in un determinato luogo di atti della vita privata, anche se per un periodo di tempo limitato, in modo da sottrarre chi lo occupa alle ingerenze esterne, da garantirgli quindi la riservatezza e da rendere meritevole di tutela da intrusioni esterne tale luogo indipendentemente dalla presenza della persona che ne ha la titolarità, perché esso rimane connotato dalla personalità del titolare, sia o meno questi presente. Per acquisire autonomia rispetto alla persona che ne ha la titolarità e per assurgere a luogo meritevole della tutela che il codice penale appresta al domicilio – concludono sul punto le Sezioni Unite – è necessario il requisito della “stabilità”, anche se quest’ultima deve essere intesa in senso relativo ed essere esclusa quando il luogo venga utilizzato dalla persona in maniera del tutto transitoria ed in relazione ad uno specifico e transitorio bisogno o attività.
In conclusione è dunque evidente – ribadisce il Collegio, ispirandosi agli spunti offerti dai precedenti evocati – che il concetto di stabilità debba essere riguardato rispetto al tempo in cui un soggetto ha la disponibilità del sito e che, nel caso di chi fruisca di una stanza di albergo o di struttura ricettiva a quest’ultimo assimilabile, esso vada valutato contestualizzando il rapporto della persona offesa con il iocus commissi delicti nell’ambito del rapporto contrattuale che lo lega all’albergatore e della fruizione del servizio alberghiero cui il pagamento del prezzo del servizio lo legittima. Nel periodo cui si riferisce la conclusione del contratto tra albergatore e cliente, quest’ultimo ottiene la disponibilità di un alloggio all’interno del quale avvengono manifestazioni delle proprie primarie funzioni vitali (si pensi al riposo notturno) e della propria personalità e intimità che esigono l’esclusione di estranei (in termini Sez. 5, n. 19938 del 15/04/21, n.m., quanto ad un bungalow)
E qui veniamo al secondo aspetto rimarcato nel ricorso, vale a dire quello della pretesa inesistenza di uno ius excludendi alios in capo al cliente di una
struttura ricettiva. Sul punto va respinta la tesi sostenuta nel ricorso, secondo la quale la stanza di un B & B non sarebbe privata dimora di chi la adopera perché il personale della struttura può farvi ingresso, dal momento che ciò non può avvenire ad libitum, ma solo previo assenso del cliente. Tale assenso è implicito nella conclusione del contratto di albergo qualora, per restare ad un esempio indicato nel ricorso, tra i servizi offerti dalla struttura per cui il cliente paga, siano anche pulizie, perché la loro esecuzione presuppone necessariamente l’accesso nella stanza; accesso che, tuttavia il cliente può impedire, rinunciando al servizio e non consentendo, così, l’ingresso al personale addetto. Così come, se è vero – come pure sostiene il ricorrente – che il personale della struttura ricettiva normalmente ha un’altra copia delle chiavi della stanza e può farvi ingresso, questo può accadere solo, appunto, per eseguire le pulizie ovvero comunque per l’esecuzione di attività funzionali alla prestazione del servizio o alla manutenzione della struttura e sempre che il cliente, se in stanza, non si opponga all’ingresso ovvero non abbia fin dal principio rinunziato ai servizi complementari offerti dalla struttura.
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato per varie, concorrenti ragioni.
2.1. In primo luogo, esso lamenta il vizio di travisamento della prova al di fuori dei casi consentiti.
A questo riguardo, va ribadito il principio secondo cui tale vizio si configura quando il Giudice utilizzi un’informazione inesistente o ometta la valutazione di una prova e sempre che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nella motivazione; si ricorda altresì che tale vizio, intanto può essere dedotto, in quanto siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate e sempre che il ricorrente non le abbia solo parzialmente considerate a sostegno delle sue ragioni e non ne abbia adottato una lettura atomistica, scevra da un inquadramento di insieme (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, COGNOME, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, COGNOME, Rv. 265053; Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Natale e altri, Rv. 256723; Sez. 5, n. 11910 del 22/01/2010, COGNOME, Rv. 246552).
Ebbene, la fallacia dell’impostazione del ricorrente si coglie già nella circostanza che, quando denunzia il travisamento per omissione, lo fa rispetto a degli “elementi di prova” e non già rispetto a precisi dati istruttori che siano stati oggetto di una dispercezione da parte dei Giudici di merito.
In secondo luogo non si comprende dove allignerebbe l’errore di lettura del dato probatorio addebitato ai Giudici di merito, dal momento che,
dall’annotazione acclusa al ricorso e che costituirebbe l’atto male interpretato, si evincono gli stessi dati fattuali vagliati dalla Corte di merito, ossia che i due Carabinieri, liberi dal servizio e passati per caso fuori dalla struttura, avevano preso a seguire il ricorrente (e il coimputato) solo perché si trattava di soggetti a loro noti per reati analoghi e che recavano in spalla degli zaini, ma che, solo dopo che le persone offese avevano allertato la centrale operativa, che una pattuglia aveva constatato il furto e che vi era stata una comunicazione telefonica tra i Carabinieri in servizio e quelli che stavano seguendo gli imputati, questi ultimi erano stati fermati e perquisiti.
Quanto alla circostanza che le persone offese avevano sorpreso l’imputato e il suo complice fuori dalla stanza, la parte non indica né allega l’atto istruttorio che si assume travisato.
2.2. Il ricorso è inammissibile anche per altre ragioni.
Esso pone a fondamento della tesi liberatoria una distorsione degli eventi funzionale, a sua volta, a dimostrare che il prevenuto (e il concorrente nel reato) si fossero sì appropriati dei beni, ma che non fosse avvenuto lo spossessamento ai danni delle persone offese.
Nel caso di specie, infatti, né il fortuito sopraggiungere delle persone offese, né il pedinamento dei Carabinieri fuori servizio sono fattori in grado di escludere che vi sia stato impossessamento de beni trafugati.
Quanto alle vittime, queste ultime erano giunte per caso sul posto quando i due erano già fuoriusciti dalla stanza e quando, di conseguenza, era avvenuto l’impossessamento e nulla avevano opposto ai due sconosciuti, che si erano allontanati indisturbati appropriandosi dei beni trafugati e sottraendoli alle vittime.
Riguardo ai Carabinieri fuori servizio, la scoperta del reato è stata casuale, donde è opportuno ricordare un precedente di questa sezione (Sez. 5, n. 4868 del 25/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282969) che ha distinto questo caso da quello del monitoraggio costante, precedente e successivo, dell’azione furtiva da parte della polizia giudiziaria. Secondo la sentenza COGNOME, qualora la polizia giudiziaria monitori continuativamente l’azione e gli spostamenti dell’autore del fatto e decida di non interrompere l’attività criminosa in corso di esecuzione, manifestatasi già alla fase del tentativo, scegliendo deliberatamente di attendere la sua evoluzione nella forma consumata per ritenute esigenze investigative, sussiste la fattispecie tentata del reato, in quanto la preordinazione di plurime modalità di accertamento del reato, in una fase d’indagine già attivata e preordinata funzionalmente a tale verifica, consente alla polizia giudiziaria di pianificare gli interventi necessari per scongiurare, in forza dell’obbligo derivante dall’art. 55 cod. proc. pen., la commissione di reati e/o la
o
protrazione delle loro conseguenze ulteriori. Tale caso si distingue – ha tuttavia precisato la Corte – da quello in cui la polizia giudiziaria intervenga del tutto casualmente ed accidentalmente nel corso dell’impossessamento. In questa seconda ipotesi non vi è dubbio che dovrà ritenersi integrata la fattispecie di furto consumato.
Venendo al caso concreto, la vicenda di COGNOME presenta dei tratti ancora più netti di quelli prefigurati nel precedente appena indicato quali indici di consumazione del reato: i due malviventi erano già fuoriusciti dalla stanza teatro del fatto e dalla struttura quando erano stati avvistati dai militari fuori servizio, la scoperta del reato era stata del tutto casuale ed estemporanea ed era avvenuta solo grazie ai sospetti generati dalla pregressa conoscenza del prevenuto da parte dei due Carabinieri e pur sempre dopo che questi ultimi avevano acquisito certezza che fosse stato perpetrato un furto grazie ai contatti con i colleghi intanto allertati dalle persone offese.
Da tanto consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 04/02/2025
Il Consigliere estensore
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Il Presiden COGNOME NO
NOME COGNOME GLYPH
ZAQQA