Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34611 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7   Num. 34611  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/05/2025 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
RAGIONE_SOCIALE ricorre, a mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo tre motivi: a. eccezione di illegittimità costituzionale dell’art.624-bis, comma 1, cod. pen.; b. violazione di legge e vizio motivazionale in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche; c. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’art.235 cod. pen. rispetto alla mancata revoca dell’espulsione ex art. 15 d.lgs. 25 luglio 1998 n.286.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Il 27 settembre 2025 è stata depositata memoria difensiva a firma dell’AVV_NOTAIO nell’interesse del ricorrente con la quale si è insistito per l’ammissibilità del ricorso chiedendo la rimessione della questione alla Corte costituzionale.
Il primo motivo è manifestamente infondato, in quanto prospetta un enunciato ermeneutico in palese contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità.
Il secondo ed il terzo motivo non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e sono privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, de. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il primo motivo è manifestamente infondato, in quanto prospetta un enunciato ermeneutico in palese contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo la quale non è previsto, per il reato di furto in abitazione di cui all’art.624-bis, un’ipotesi attenuata per i casi di liev entità.
Ed invero, la Corte costituzionale, si è già espressa in merito, dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale – sollevata dal Tribunale di Lecce in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost. – dell’art. 624-bis cod. pen. (Corte costituzionale, n.117/2021; RV. 286250-01).
In tale occasione ciò che ebbe a sottolineare la Consulta è che, nel denunciare l’eccessività del minimo edittale di pena detentiva del furto in aoitazione rispetto ad altri reati contro il patrimonio, analogamente a quanto fa oggi l’odierno ricorrente, il giudice a quo non indicò una grandezza preesistente, che potesse essere trasposta “per linee interne” nella disposizione censurata, finendo così per chiedere alla Corte non di rettificare una deviazione delle scelte legislative, bensì di sostituirsi ad esse; inoltre, nessuno dei tertia comparationis esprime un’offensività omogenea a quella del delitto in esame, caratterizzata dalla lesione dell’inviolabilità del domicilio assicurata dall’art. 14 Cost.
Come già evidenziato nella sentenza n. 190 del 2020, tuttavia, l’incremento dei valori edittali dei reati contro il patrimonio – e fra questi del furto in abitazione segnala una pressione punitiva ormai estremamente rilevante e richiede perciò una attenta considerazione da parte del legislatore, alla luce di una valutazione, complessiva e comparativa, dei beni giuridici tutelati dal diritto penale e del livello di protezione loro assicurato.
Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso, in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della Corte di appello di Firenze che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto e pertanto immune da vizi di legittimità.
I giudici del gravame di merito hanno adeguatamente motivato circa il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, indicando l’assenza di elementi idonei a giustificarne la concessione. A tal fine rilevando che non può assumere rilievo l’età dell’imputato, il quale, già all’epoca dei fatti, non poteva qualificarsi come soggetto particolarmente giovane e risultava certamente in grado di cogliere il disvalore della propria condotta; né può attribuirsi valenza alla confessione resa, avendo il ricorrente ammesso circostanze già inconfutabilmente emerse, non aggiungendo alcun elemento utile (fol.3 della sentenza impugnata). Parimenti, non è ravvisabile una particolare tenuità dei tatti, dovendosi al contrario rimarcare: l’uso di violenza sulle cose; la consumazione del reate in ora notturna; la pluralità delle azioni criminose poste in essere nel medesimo contesto; il valore non trascurabile della refurtiva; nonché l’atteggiamento minaccioso serbato nei confronti del condomino che lo aveva colto sul fatto. Guardando al profilo soggettivo di cui all’art. 133 cod. pen., il giudizio risulta parimenti negativo, atteso che l’imputato, lungi dal potersi considerare incensurato, risultava già gravato da precedente condanna per i reati di tentato furto e porto abusivo d’armi (fol.4 della sentenza impugnata).
Alla luce di tali considerazioni, la Corte territoriale ha, dunque, correttamente escluso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
In proposito, il provvedimento impugnato appare, pertanto, collocarsi nell’alveo del costante dictum di questa Corte di legittimità, che ha più volte chiarito che, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagl atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti uecisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, RAGIONE_SOCIALE e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generi-che motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell’imputato, nonché a suo negativo comportamento processuale).
Quanto al terzo motivo di ricorso, concernente l’art. 235 cod. pen. in relazione alla mancata revoca della misura dell’espulsione prevista dall’art. 15 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, la Corte di appello di Firenze ha reso adeguata e puntuale motivazione, fondando la propria decisione sulla perdurante pericolosità sociale del ricorrente.
Tale valutazione trova la sua ratio non soltanto nei precedenti penali gravanti sull’imputato, già di per sé indicativi di una consolidata inclinazione alla commissione di condotte antisociali e criminose, ma anche, e soprattutto, nella violazione di una misura cautelare obbligatoria applicata proprio nell’ambito del presente procedimento.
L’inosservanza di tale vincolo cautelare, che avrebbe dovuto fungere da presidio preventivo, si rivela infatti sintomatica della perdurante inclinazione dell’imputato alla commissione di trasgressioni delle prescrizioni dell’ordinamento e costituisce elemento idoneo a confermare sia la consistenza sia l’attualità della pericolosità sociale, ostativa al riconoscimento della revoca dell’espulsione.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 07/10/2025