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Furto in abitazione: quando una villa è privata dimora

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per tentato furto in abitazione. La Corte conferma che una villa, anche se temporaneamente disabitata ma con il cancello chiuso a chiave, costituisce privata dimora, giustificando l’aggravante. La pena superiore al minimo è stata ritenuta congrua data la gravità dei fatti e i precedenti dell’imputato.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto in Abitazione: Anche una Villa Vuota è Protetta? La Cassazione Chiarisce

Il reato di furto in abitazione, disciplinato dall’articolo 624-bis del codice penale, rappresenta una delle figure criminose che destano maggiore allarme sociale, poiché viola non solo il patrimonio ma anche la sfera privata e la sicurezza personale della vittima. Ma cosa si intende esattamente per ‘privata dimora’? E una casa momentaneamente disabitata rientra in questa categoria? Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione torna su questi interrogativi, offrendo chiarimenti cruciali sulla portata della norma e sui requisiti per la sua applicazione.

Il Caso: Tentato Furto in una Villa Disabitata

I fatti alla base della vicenda riguardano un tentativo di furto ai danni di una villa. L’imputato, insieme ad alcuni complici, veniva sorpreso in flagranza di reato mentre era intento a smontare porte e finestre dell’edificio. Al momento dell’arrivo delle forze dell’ordine, i malviventi avevano già accatastato suppellettili e attrezzi, pronti per essere caricati su un’auto parcheggiata nelle vicinanze e utilizzata per la fuga. La Corte d’Appello di Catanzaro aveva confermato la condanna di primo grado per il reato di tentato furto aggravato in abitazione. L’imputato, non rassegnato alla decisione, proponeva ricorso per Cassazione.

I Motivi del Ricorso e la Difesa dell’Imputato

La difesa dell’imputato si articolava su tre motivi principali:
1. Genericità della motivazione d’appello: Si lamentava che la Corte territoriale non avesse adeguatamente risposto alle censure mosse contro la sentenza di primo grado.
2. Errata qualificazione giuridica: Il punto centrale del ricorso. La difesa sosteneva che la villa non potesse essere qualificata come ‘privata dimora’ ai sensi dell’art. 624-bis c.p., in quanto disabitata. Di conseguenza, non si sarebbe dovuto configurare il reato di furto in abitazione.
3. Eccessività della pena: Si contestava l’applicazione di una sanzione superiore al minimo edittale senza un’adeguata motivazione.

L’Analisi della Cassazione sul Furto in Abitazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando tutte le argomentazioni difensive. Innanzitutto, il primo motivo è stato giudicato generico, poiché l’imputato non aveva specificato quali doglianze fossero state ignorate dalla Corte d’Appello, omettendo un confronto puntuale con le argomentazioni della sentenza impugnata.

Sul punto cruciale, la qualificazione della villa come privata dimora, i giudici di legittimità hanno confermato la valutazione della Corte territoriale. Hanno evidenziato un dettaglio decisivo: il cancello antistante la villa era chiuso a chiave. Questo elemento, secondo la Corte, dimostrava in modo inequivocabile che l’immobile non era abbandonato. La chiusura a chiave manifesta la volontà del proprietario di escludere terzi e di proteggere quello spazio come espressione della propria sfera privata, anche in sua assenza.

Infine, anche la censura relativa alla pena è stata respinta. La Cassazione ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse correttamente motivato la scelta di una pena superiore al minimo, basandosi sulla gravità concreta dei fatti e sulla personalità dell’imputato, desunta dai certificati aggiornati del casellario giudiziale.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione su principi consolidati. La genericità del primo motivo di ricorso lo ha reso inammissibile, in linea con l’orientamento secondo cui il ricorrente ha l’onere di confrontarsi specificamente con la decisione impugnata. La questione centrale, relativa alla nozione di privata dimora, è stata risolta valorizzando la volontà del titolare del diritto di escludere l’intrusione di terzi (ius excludendi alios). Un immobile, anche se non abitato stabilmente, rimane una privata dimora finché non versi in uno stato di totale abbandono. La presenza di una chiusura, come un cancello serrato, è un indice chiaro di tale volontà. Infine, la motivazione sulla pena è stata giudicata congrua perché ancorata a parametri oggettivi, quali la gravità del reato e i precedenti penali dell’imputato, che giustificano un trattamento sanzionatorio più severo del minimo.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio di fondamentale importanza pratica: la tutela offerta dalla norma sul furto in abitazione è ampia e non si limita ai soli luoghi di residenza stabile. Qualsiasi spazio in cui si esplica la vita privata di una persona, anche in modo non continuativo, merita protezione rafforzata. La decisione insegna che elementi esteriori, come un cancello chiuso, sono sufficienti a qualificare un luogo come privata dimora, rendendo irrilevante che esso sia temporaneamente disabitato. Per i cittadini, ciò significa una maggiore sicurezza per le seconde case o gli immobili non utilizzati stabilmente; per gli operatori del diritto, è una conferma della necessità di analizzare la situazione di fatto per determinare lo status di un immobile ai fini della legge penale.

Una villa momentaneamente disabitata può essere considerata ‘privata dimora’ ai fini del reato di furto in abitazione?
Sì. Secondo la Corte, se la villa non è in stato di abbandono e presenta elementi che manifestano la volontà del proprietario di escludere terzi (come un cancello chiuso a chiave), essa è considerata privata dimora, anche se disabitata al momento del fatto.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente per la genericità dei motivi. L’imputato non ha specificato quali censure non fossero state considerate dalla Corte d’Appello e non si è confrontato puntualmente con le motivazioni della sentenza impugnata.

È possibile applicare una pena superiore al minimo edittale senza una motivazione specifica?
No, una motivazione è necessaria. In questo caso, la Corte ha ritenuto che la decisione di applicare una pena superiore al minimo fosse adeguatamente motivata dalla gravità dei fatti e dalla personalità dell’imputato, come risultava dal suo casellario giudiziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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