Furto in Abitazione: la Cassazione Definisce i Confini della Privata Dimora
Il reato di furto in abitazione, disciplinato dall’articolo 624-bis del Codice Penale, rappresenta una delle figure criminose che maggiormente incide sulla percezione di sicurezza dei cittadini. Ma cosa si intende esattamente per ‘privata dimora’? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo concetto, estendendolo anche a spazi specifici come una stanza chiusa, a patto che in essa si svolgano atti della vita privata. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.
I Fatti del Caso
Il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte riguardava un ricorso presentato da un individuo condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello di Bologna per una serie di reati, tra cui furto, furto in abitazione aggravato e indebito utilizzo di strumenti di pagamento. Il ricorrente contestava, in particolare, la configurazione del reato di furto in abitazione, sostenendo che il luogo in cui era stato commesso uno dei furti – una stanza specifica – non potesse essere qualificato come ‘privata dimora’.
La Decisione della Corte di Cassazione sul Furto in Abitazione
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile per manifesta infondatezza. Secondo i giudici, il ricorrente non è riuscito a scalfire la logicità e la correttezza giuridica della motivazione della Corte d’Appello. Quest’ultima aveva infatti sottolineato come la stanza in questione fosse debitamente chiusa a chiave e non accessibile a persone terze. Elemento ancora più rilevante, in quella stanza si svolgevano in maniera non occasionale atti della vita privata della persona offesa.
Le Motivazioni
La Corte ha fondato la propria decisione richiamando un principio di diritto fondamentale, consolidato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 31345 del 2017. Secondo tale orientamento, la nozione di ‘privata dimora’ include esclusivamente i luoghi in cui si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non sono aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare. Questa definizione non si limita all’abitazione in senso stretto, ma si estende anche a luoghi destinati ad attività lavorativa o professionale, purché vi si esplichino, anche solo in parte, atti della sfera privata dell’individuo.
La stanza oggetto del furto, essendo chiusa e utilizzata per attività private in modo stabile, rientrava a pieno titolo in questa definizione, giustificando così l’applicazione dell’aggravante prevista per il furto in abitazione.
Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un’interpretazione estensiva e protettiva del concetto di privata dimora. La decisione chiarisce che la tutela penale non si ferma alla porta d’ingresso di una casa, ma si estende a ogni spazio riservato e protetto in cui un individuo svolge la propria vita privata, anche se si tratta di una singola stanza all’interno di una struttura più ampia. Di conseguenza, l’intrusione in tali spazi per commettere un furto configura il più grave reato di furto in abitazione, con pene più severe, garantendo così una maggiore protezione alla sfera personale e intima della vittima.
Quando una stanza può essere considerata ‘privata dimora’ ai fini del reato di furto in abitazione?
Secondo la Corte, una stanza è ‘privata dimora’ quando è destinata allo svolgimento non occasionale di atti della vita privata e non è aperta al pubblico né accessibile a terzi senza il consenso del titolare. Il fatto che sia debitamente chiusa rafforza questa qualifica.
Il reato di furto in abitazione si applica solo alle case tradizionali?
No. La nozione di privata dimora, come chiarito dalla sentenza, include tutti i luoghi, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale, in cui si svolgono atti della vita privata in modo non occasionale e che sono protetti dall’accesso di terzi.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto manifestamente infondato. L’appellante non ha contestato efficacemente la motivazione del giudice di merito, il quale aveva correttamente applicato i principi di diritto stabiliti dalle Sezioni Unite della Cassazione sulla nozione di privata dimora.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6036 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6036 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 15/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato al 06/06/1990
avverso la sentenza del 27/05/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna che ha confermato la condanna dell’imputato per plurimi reati di furto, furto in abitazione aggravato e indebito utilizzo e falsificazione di strumenti di pagamento diversi dai contanti (artt. 81, 624, 624-bis, 625 n.2, 493ter, 61 n.11-sexies cod. pen).
Considerato che il primo ed unico motivo- con cui il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla configurazione dell’art. 624-bis cod. pen., limitatamente al capo a) dell’imputazione – è manifestamente infondato perché non si confronta con la motivazione esente dai descritti vizi logici con la quale il giudice di merito ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si veda, in particolare, pag. 4) facendo applicazione di corretti argomenti giuridici ai fini dell’affermazione della responsabilità, avendo sottolineato come la stanza in cui era stato commesso il furto era debitamente chiusa e non accessibile a terze persone e che in essa si svolgessero in maniera non occasionale atti di privata; la motivazione ha fatto buon governo del principio fisato da questa Corte a Sezioni unite secondo cui ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624 bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale (Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, COGNOME, Rv. 270076-01).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
GrazL Roa NOME COGNOME
Così deciso il 15 gennaio 2025
Il consigliere estepsore
Il Presidente
NOME COGNOME