Furto in abitazione: anche la camera d’albergo è privata dimora
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di furto in abitazione, confermando che tale reato può essere configurato anche quando la sottrazione avviene all’interno di una camera d’albergo. La decisione sottolinea l’ampia accezione del concetto di ‘privata dimora’ nel nostro ordinamento, respingendo le argomentazioni di un imputato che miravano a una derubricazione del reato a furto semplice.
I fatti del caso: la condanna in appello
Il caso nasce dalla condanna di un uomo da parte del Tribunale e, successivamente, della Corte di Appello di Torino per una serie di reati, tra cui furto aggravato, tentato furto, ricettazione e, appunto, furto in abitazione. Quest’ultima accusa si riferiva a un episodio avvenuto all’interno di una stanza d’albergo. La Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado, escludendo alcuni capi d’imputazione ma confermando la responsabilità penale per i reati più gravi, inclusi quelli oggetto del successivo ricorso in Cassazione.
Il ricorso in Cassazione: furto in abitazione e qualificazione giuridica
L’imputato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, sollevando due questioni principali. La prima, e più rilevante, contestava la qualificazione del furto nella camera d’hotel come furto in abitazione. Secondo la difesa, una stanza d’albergo non potrebbe essere considerata ‘privata dimora’, con la conseguenza che il fatto avrebbe dovuto essere qualificato come furto semplice. Il secondo motivo di ricorso riguardava un’altra accusa, che a dire dell’imputato doveva essere qualificata come furto e non come ricettazione.
Le motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, fornendo motivazioni chiare e in linea con il suo consolidato orientamento.
La nozione di privata dimora
Il cuore della decisione risiede nella definizione di ‘privata dimora’. I giudici hanno chiarito che questo concetto non si limita alla sola abitazione principale di una persona. Esso si estende a tutti i luoghi, anche di carattere transitorio, in cui l’individuo svolge atti della propria vita privata, al riparo da ingerenze esterne. Una camera d’albergo, durante il periodo di soggiorno dell’ospite, rientra pienamente in questa categoria. È uno spazio in cui la persona ripone i propri effetti personali, dorme, e compie attività private. Pertanto, introdursi in essa per commettere un furto integra la fattispecie aggravata del furto in abitazione.
La reiterazione dei motivi come causa di inammissibilità
La Corte ha inoltre dichiarato l’inammissibilità dei motivi perché questi erano una semplice riproposizione delle stesse argomentazioni già presentate e respinte con valide motivazioni dalla Corte d’Appello. Il ricorso in Cassazione non può essere una terza istanza di giudizio sul merito dei fatti, ma deve limitarsi a denunciare vizi di legittimità (come la violazione di legge o il vizio di motivazione). Ripetere le stesse censure, già adeguatamente vagliate, senza evidenziare un errore di diritto commesso dal giudice precedente, porta inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità. Questo vale sia per la questione del furto in albergo, sia per quella relativa alla qualificazione del reato di ricettazione.
Le conclusioni: implicazioni pratiche della decisione
L’ordinanza in esame consolida un importante principio giuridico: la tutela della sfera privata non si ferma alla porta di casa. Qualsiasi luogo in cui una persona si stabilisce, anche temporaneamente, per svolgere la propria vita privata gode della protezione rafforzata prevista dalla legge per il reato di furto in abitazione. Questa decisione serve da monito, confermando che la legge penale tutela l’inviolabilità degli spazi personali ovunque essi si trovino. Inoltre, ribadisce un principio processuale cruciale: il ricorso in Cassazione deve basarsi su vizi specifici della sentenza impugnata e non può essere un tentativo di rimettere in discussione la ricostruzione dei fatti già operata dai giudici di merito.
Una camera d’albergo può essere considerata ‘privata dimora’ ai fini del reato di furto in abitazione?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che una camera d’albergo rientra nel concetto di privata dimora, in quanto è un luogo in cui la persona svolge atti della propria vita privata, anche se in modo transitorio.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano una mera ripetizione di argomenti già adeguatamente esaminati e respinti dalla Corte d’Appello, senza sollevare nuove questioni di legittimità.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in denaro, in questo caso fissata in 3.000 euro, in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 1006 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 1006 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a AOSTA il 21/03/1982
avverso la sentenza del 02/05/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Torino ha parzialmente riformato, dichiarando non doversi procedere nei confronti dell’imputato in relazione ai reati di cui ai capi 5) e 6) e al capo relativo al procedimento n. 375/18 r.g.n.r., rideterminando la pena ed escludendo in favor rei il vincolo della continuazione con riferimento al reato di minacce, la sentenza del Tribunale di Aosta del 13 dicembre 2018 che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per i reati di furto aggravato, furto in abitazione, tentato furto aggravato, ricettazione e minacce aggravate e, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva e alle contestate aggravanti e ritenuto il vincolo della continuazione, l’aveva condannato alla pena di giustizia;
– che il primo motivo del ricorso dell’imputato, che lamenta l’inosservanza della legge con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto di cui al capo 3) quale furto in abitazione in luogo di furto semplice, è inammissibile, in quanto reiterativo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi dal giudice di secondo grado (si vedano pagg. 4 e ss. della motivazione del provvedimento impugnato in cui la Corte espressamente afferma come la ricostruzione dei fatti fornita dall’imputato non può essere ritenuta attendibile e che la querela acquisita agli atti delinea perfettamente la vicenda e la camera di albergo, luogo in cui è avvenuto il furto, ben può essere considerato come luogo di privata dimora);
– che il secondo motivo del ricorso dell’imputato, che lamenta l’inosservanza della legge con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto di cui al capo 7) quale ricettazione in luogo di furto semplice, è anch’esso inammissibile, in quanto reiterativo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi dal giudice di secondo grado (si vedano pagg. 4 e ss. della motivazione del provvedimento impugnato) il quale ripercorre la condotta criminosa di cui al capo 7) e la qualifica come ricettazione in forza di solide argomentazioni, senza lasciare alcun dubbio circa la corretta qualificazione giuridica operata;
che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 13/12/2023.