LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Furto in abitazione: quando si configura con le chiavi?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11744/2025, ha stabilito che commette il reato di furto in abitazione, e non un semplice furto, chi, pur possedendo le chiavi di un immobile per motivi di lavoro (come un addetto alle pulizie), vi si introduce al di fuori dell’orario e delle finalità consentite con lo scopo specifico di rubare. La Corte ha chiarito che il consenso all’accesso è strettamente legato allo scopo per cui è stato concesso; superare tali limiti costituisce una violazione del domicilio finalizzata al furto, integrando così la fattispecie più grave prevista dall’art. 624-bis del codice penale.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto in Abitazione: Avere le Chiavi non Esclude il Reato

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha affrontato un caso di furto in abitazione commesso da una persona che aveva accesso legittimo ai locali. Questa decisione chiarisce un principio fondamentale: il possesso delle chiavi per motivi di lavoro non costituisce una licenza per entrare a proprio piacimento e, soprattutto, non esclude la configurabilità del reato più grave se l’intento è quello di rubare. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: L’Abuso della Fiducia

Una donna, addetta alle pulizie di uno studio professionale, è stata condannata per essersi introdotta nei locali e aver sottratto agende, assegni e materiale informatico. La particolarità del caso risiede nel fatto che l’imputata possedeva le chiavi dello studio, essendole state affidate per svolgere le sue mansioni lavorative. Tuttavia, l’accesso è avvenuto al di fuori dell’orario di lavoro e con il chiaro obiettivo di commettere il furto.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputata ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi:
1. Errata Qualificazione del Reato: Si sosteneva che il reato dovesse essere qualificato come furto semplice e non come furto in abitazione, dato che l’imputata aveva le chiavi e quindi un accesso autorizzato. Di conseguenza, la remissione della querela da parte della vittima avrebbe dovuto estinguere il reato.
2. Applicazione della Particolare Tenuità del Fatto: Si richiedeva l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., sostenendo la scarsa gravità della condotta, l’assenza di effrazione e la parziale restituzione della refurtiva.
3. Concessione delle Attenuanti Generiche: Si chiedeva di considerare prevalenti le attenuanti generiche, visti i precedenti penali risalenti nel tempo.

La Decisione della Corte sul Furto in Abitazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la condanna per furto in abitazione. La sentenza offre spunti cruciali sulla distinzione tra accesso autorizzato e violazione di domicilio finalizzata al crimine.

L’Accesso Autorizzato non Esclude il Furto in Abitazione

Il punto centrale della decisione è il principio secondo cui il consenso all’accesso in un luogo di privata dimora o di lavoro è sempre finalizzato. Nel caso di specie, il permesso di entrare era limitato allo svolgimento delle pulizie. L’imputata, entrando in un orario diverso e con lo scopo di rubare, ha agito contro la volontà tacita del proprietario, abusando della fiducia in lei riposta.
La Corte ha stabilito che, per configurare il reato di furto in abitazione, è necessario un nesso finalistico tra l’introduzione nell’immobile e l’impossessamento dei beni. L’accesso non deve essere meramente occasionale, ma deve essere il mezzo per realizzare l’azione predatoria. Avere le chiavi per un determinato scopo non conferisce un diritto di accesso incondizionato. Quando tale accesso avviene per fini illeciti, il consenso viene meno e si configura la violazione tutelata dall’art. 624-bis c.p.

L’Esclusione della Particolare Tenuità del Fatto

La Corte ha ritenuto inapplicabile la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La valutazione ha tenuto conto non solo del valore economico dei beni sottratti (incluso il valore dei dati contenuti nel computer professionale), ma anche dei precedenti penali specifici dell’imputata e della sua volontaria sottrazione a un percorso di messa alla prova. Questi elementi, nel loro complesso, delineano una gravità della condotta e una proclività a delinquere che ostacolano il riconoscimento della particolare tenuità.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione ribadendo un principio consolidato: il delitto di furto in abitazione si configura quando l’agente si introduce in un luogo di privata dimora con lo scopo specifico di commettere il furto, anche se dispone delle chiavi per accedervi per altri motivi legittimi. L’autorizzazione a entrare è circoscritta alle finalità per cui è stata concessa. Agire al di fuori di tali limiti, con dolo specifico di furto, significa superare il consenso del titolare dello ius excludendi alios (il diritto di escludere gli altri). Pertanto, il fatto che l’imputata avesse le chiavi per le pulizie è irrilevante, poiché se ne è servita per uno scopo illecito, tradendo la fiducia del datore di lavoro. Di conseguenza, essendo il furto in abitazione un reato procedibile d’ufficio, anche la remissione della querela non ha alcun effetto estintivo.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza riafferma la tutela rafforzata che l’ordinamento accorda ai luoghi di privata dimora e di lavoro. Le implicazioni pratiche sono significative:
* Per i datori di lavoro: È rafforzata la tutela contro i furti commessi da dipendenti o collaboratori infedeli. L’affidamento delle chiavi non riduce la gravità del reato se la fiducia viene tradita.
* Per i lavoratori e collaboratori: La decisione serve come monito. Il possesso di chiavi comporta una responsabilità e il loro uso improprio per commettere reati integra una fattispecie criminosa grave, non un semplice furto.
* Principio giuridico: Viene consolidato il principio che il consenso all’accesso è sempre condizionato allo scopo dichiarato. Qualsiasi deviazione da tale scopo, se finalizzata a commettere un reato contro il patrimonio, fa venir meno il consenso e configura un’introduzione abusiva, elemento costitutivo del reato di furto in abitazione.

Commettere un furto usando le chiavi fornite per lavoro è considerato furto semplice o furto in abitazione?
È considerato furto in abitazione (art. 624-bis c.p.). La sentenza chiarisce che il consenso all’accesso è limitato alle mansioni lavorative. Usare le chiavi al di fuori di tale contesto e con lo scopo di rubare integra la fattispecie più grave, poiché si abusa della fiducia e si viola la volontà del proprietario.

La remissione della querela da parte della vittima estingue il reato di furto in abitazione?
No. A differenza del furto semplice, il furto in abitazione è un reato procedibile d’ufficio. Ciò significa che l’azione penale prosegue indipendentemente dalla volontà della persona offesa. Pertanto, la remissione della querela è giuridicamente irrilevante.

La restituzione dei beni rubati può portare all’applicazione della ‘particolare tenuità del fatto’?
Non necessariamente. La valutazione per l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. è complessa e tiene conto di tutti gli aspetti della vicenda. Come in questo caso, la presenza di precedenti penali specifici, il valore complessivo dei beni (incluso quello immateriale, come i dati su un computer) e il comportamento dell’imputato possono portare il giudice a escludere la particolare tenuità del fatto, anche in caso di parziale restituzione della refurtiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati