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Furto in abitazione: quando l’ufficio è dimora privata

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di due imputati, confermando che un furto in uffici commerciali può essere qualificato come furto in abitazione (art. 624 bis c.p.). La Corte ha stabilito che gli uffici, essendo utilizzati per attività professionali in modo riservato e non aperti al pubblico, rientrano nel concetto di ‘privata dimora’, rendendo infondata la richiesta di diversa qualificazione giuridica del reato.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto in Abitazione: La Cassazione estende il concetto di “Privata Dimora” agli Uffici Commerciali

L’ordinanza in esame affronta un tema di grande rilevanza pratica: la configurabilità del reato di furto in abitazione quando il fatto è commesso all’interno di uffici commerciali. Con una decisione che si allinea alla giurisprudenza consolidata, la Corte di Cassazione ha stabilito che anche un luogo di lavoro, se presenta determinate caratteristiche di privatezza e riservatezza, deve essere considerato ‘privata dimora’ ai fini dell’applicazione della più grave fattispecie prevista dall’art. 624 bis del codice penale.

Il Contesto del Ricorso in Cassazione

Il caso trae origine dal ricorso presentato da due individui condannati in appello per una serie di reati, tra cui un furto commesso all’interno di alcuni uffici commerciali. La Corte di Appello aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado, ma aveva confermato la qualificazione del furto come furto in abitazione.

I ricorrenti hanno impugnato la decisione lamentando due principali violazioni di legge:
1. L’erronea qualificazione giuridica del furto, sostenendo che gli uffici commerciali non potessero essere considerati ‘privata dimora’.
2. Il rigetto della richiesta di rinnovare l’istruzione dibattimentale in appello, ossia di assumere nuove prove.

La Suprema Corte ha dichiarato entrambi i motivi inammissibili, confermando integralmente l’impostazione della corte territoriale.

La Nozione di Privata Dimora e il furto in abitazione

Il punto centrale della decisione riguarda la corretta interpretazione del concetto di ‘privata dimora’. La Corte di Cassazione ribadisce che tale nozione non si limita all’abitazione in senso stretto, ma si estende a tutti quei luoghi in cui si svolgono manifestazioni della vita privata, anche lavorativa.

Secondo l’insegnamento consolidato, i criteri per identificare una privata dimora sono tre:

1. Utilizzo Riservato del Luogo

Il luogo deve essere utilizzato per lo svolgimento di attività della vita privata (riposo, svago, studio, ma anche lavoro) in modo riservato e al riparo da intrusioni esterne.

2. Rapporto Stabile con la Persona

Deve esistere un legame duraturo e non meramente occasionale tra la persona e il luogo.

3. Non Accessibilità a Terzi

Il luogo non deve essere accessibile a terzi senza il consenso del titolare.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che gli uffici commerciali soddisfacessero tutti questi requisiti. Si trattava infatti di locali non aperti al pubblico, dove si svolgeva l’attività professionale della persona offesa, contenenti effetti personali e bagni privati, e situati in stretta adiacenza all’abitazione familiare. Di conseguenza, la qualificazione del reato come furto in abitazione è stata ritenuta corretta.

Il Diniego di Rinnovazione dell’Istruttoria

Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, la Corte ha applicato un altro principio consolidato in materia processuale. Il rigetto di una richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello è legittimo quando il giudice ritiene che le prove già acquisite nel primo grado di giudizio siano sufficienti a fondare la decisione. Trattandosi di una sentenza che confermava la condanna, la Corte ha ritenuto che la struttura argomentativa della motivazione fosse già solida e non necessitasse di ulteriori approfondimenti probatori.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché le argomentazioni degli imputati non hanno scalfito la logicità e la correttezza giuridica della sentenza d’appello. Le motivazioni si fondano su due pilastri: da un lato, la corretta applicazione dei principi giurisprudenziali sulla nozione di ‘privata dimora’, che protegge non solo lo spazio domestico ma ogni luogo in cui si esplica la personalità dell’individuo in modo riservato; dall’altro, la legittimità della decisione processuale di non ammettere nuove prove quando il quadro probatorio è già completo e sufficiente.

Conclusioni

Questa ordinanza conferma un orientamento di fondamentale importanza: la tutela penale rafforzata prevista per il furto in abitazione si applica anche a luoghi come uffici, studi professionali e laboratori, a condizione che questi non siano aperti indiscriminatamente al pubblico e rappresentino uno spazio riservato per l’attività del titolare. La decisione sottolinea come il diritto penale protegga non solo le mura domestiche, ma la sfera di privatezza della persona ovunque essa si manifesti con un carattere di stabilità e riservatezza. Di conseguenza, chi si introduce in tali luoghi per commettere un furto risponderà di un reato più grave, con pene significativamente più severe.

Un furto commesso in un ufficio commerciale può essere considerato furto in abitazione?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, se l’ufficio è utilizzato per svolgere attività professionali al riparo da intrusioni esterne, non è aperto al pubblico e ha un legame stabile con la persona, può essere qualificato come “privata dimora” ai sensi dell’art. 624 bis c.p.

Quali sono i criteri per definire un luogo “privata dimora”?
I criteri indefettibili sono tre: 1) l’utilizzo del luogo per manifestazioni della vita privata in modo riservato; 2) una durata apprezzabile e stabile del rapporto tra la persona e il luogo; 3) la non accessibilità a terzi senza il consenso del titolare.

È sempre possibile presentare nuove prove durante un processo d’appello?
No. La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello non è un diritto. Il giudice può respingere la richiesta se ritiene che gli elementi già raccolti nel primo grado di giudizio siano sufficienti per decidere, specialmente quando la sentenza di appello conferma quella precedente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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