Furto in Abitazione: La Cassazione estende il concetto di “Privata Dimora” agli Uffici Commerciali
L’ordinanza in esame affronta un tema di grande rilevanza pratica: la configurabilità del reato di furto in abitazione quando il fatto è commesso all’interno di uffici commerciali. Con una decisione che si allinea alla giurisprudenza consolidata, la Corte di Cassazione ha stabilito che anche un luogo di lavoro, se presenta determinate caratteristiche di privatezza e riservatezza, deve essere considerato ‘privata dimora’ ai fini dell’applicazione della più grave fattispecie prevista dall’art. 624 bis del codice penale.
Il Contesto del Ricorso in Cassazione
Il caso trae origine dal ricorso presentato da due individui condannati in appello per una serie di reati, tra cui un furto commesso all’interno di alcuni uffici commerciali. La Corte di Appello aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado, ma aveva confermato la qualificazione del furto come furto in abitazione.
I ricorrenti hanno impugnato la decisione lamentando due principali violazioni di legge:
1. L’erronea qualificazione giuridica del furto, sostenendo che gli uffici commerciali non potessero essere considerati ‘privata dimora’.
2. Il rigetto della richiesta di rinnovare l’istruzione dibattimentale in appello, ossia di assumere nuove prove.
La Suprema Corte ha dichiarato entrambi i motivi inammissibili, confermando integralmente l’impostazione della corte territoriale.
La Nozione di Privata Dimora e il furto in abitazione
Il punto centrale della decisione riguarda la corretta interpretazione del concetto di ‘privata dimora’. La Corte di Cassazione ribadisce che tale nozione non si limita all’abitazione in senso stretto, ma si estende a tutti quei luoghi in cui si svolgono manifestazioni della vita privata, anche lavorativa.
Secondo l’insegnamento consolidato, i criteri per identificare una privata dimora sono tre:
1. Utilizzo Riservato del Luogo
Il luogo deve essere utilizzato per lo svolgimento di attività della vita privata (riposo, svago, studio, ma anche lavoro) in modo riservato e al riparo da intrusioni esterne.
2. Rapporto Stabile con la Persona
Deve esistere un legame duraturo e non meramente occasionale tra la persona e il luogo.
3. Non Accessibilità a Terzi
Il luogo non deve essere accessibile a terzi senza il consenso del titolare.
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che gli uffici commerciali soddisfacessero tutti questi requisiti. Si trattava infatti di locali non aperti al pubblico, dove si svolgeva l’attività professionale della persona offesa, contenenti effetti personali e bagni privati, e situati in stretta adiacenza all’abitazione familiare. Di conseguenza, la qualificazione del reato come furto in abitazione è stata ritenuta corretta.
Il Diniego di Rinnovazione dell’Istruttoria
Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, la Corte ha applicato un altro principio consolidato in materia processuale. Il rigetto di una richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello è legittimo quando il giudice ritiene che le prove già acquisite nel primo grado di giudizio siano sufficienti a fondare la decisione. Trattandosi di una sentenza che confermava la condanna, la Corte ha ritenuto che la struttura argomentativa della motivazione fosse già solida e non necessitasse di ulteriori approfondimenti probatori.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché le argomentazioni degli imputati non hanno scalfito la logicità e la correttezza giuridica della sentenza d’appello. Le motivazioni si fondano su due pilastri: da un lato, la corretta applicazione dei principi giurisprudenziali sulla nozione di ‘privata dimora’, che protegge non solo lo spazio domestico ma ogni luogo in cui si esplica la personalità dell’individuo in modo riservato; dall’altro, la legittimità della decisione processuale di non ammettere nuove prove quando il quadro probatorio è già completo e sufficiente.
Conclusioni
Questa ordinanza conferma un orientamento di fondamentale importanza: la tutela penale rafforzata prevista per il furto in abitazione si applica anche a luoghi come uffici, studi professionali e laboratori, a condizione che questi non siano aperti indiscriminatamente al pubblico e rappresentino uno spazio riservato per l’attività del titolare. La decisione sottolinea come il diritto penale protegga non solo le mura domestiche, ma la sfera di privatezza della persona ovunque essa si manifesti con un carattere di stabilità e riservatezza. Di conseguenza, chi si introduce in tali luoghi per commettere un furto risponderà di un reato più grave, con pene significativamente più severe.
Un furto commesso in un ufficio commerciale può essere considerato furto in abitazione?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, se l’ufficio è utilizzato per svolgere attività professionali al riparo da intrusioni esterne, non è aperto al pubblico e ha un legame stabile con la persona, può essere qualificato come “privata dimora” ai sensi dell’art. 624 bis c.p.
Quali sono i criteri per definire un luogo “privata dimora”?
I criteri indefettibili sono tre: 1) l’utilizzo del luogo per manifestazioni della vita privata in modo riservato; 2) una durata apprezzabile e stabile del rapporto tra la persona e il luogo; 3) la non accessibilità a terzi senza il consenso del titolare.
È sempre possibile presentare nuove prove durante un processo d’appello?
No. La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello non è un diritto. Il giudice può respingere la richiesta se ritiene che gli elementi già raccolti nel primo grado di giudizio siano sufficienti per decidere, specialmente quando la sentenza di appello conferma quella precedente.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35352 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35352 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/09/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a ALGHERO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a SASSARI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/10/2024 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di SASSARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Sassari, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Sassari pronunciata il 09.07.2018, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME in ordine ai reati loro ascritti ai capi B), F) e G) perché l’azione penale non può essere proseguita per mancanza di querela; ha assolto COGNOME NOME dai reati a lui ascritti ai capi H) ed I) perché il fatto non è previst dalla legge come reato; ha rideterminato la pena nei confronti di COGNOME in relazione al capo A) nella misura di anni tre dì reclusione ed euro 900,00 di multa; ha infine rideterminato la pena nei confronti di COGNOME in relazione ai capi A), C), D) ed E), nella misura di anni tre, mesi nove di reclusione ed euro 1120 di multa, confermando nel resto la pronuncia di primo grado.
Gli imputati hanno presentato ricorso avverso la sentenza della Corte di appello lamentando, con un primo motivo, violazione di legge per erronea qualificazione giuridica del fatto di cui al capo A) nell’ipotesi di furto abitazione ex art. 624 bis cod. pen.; con il secondo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale richiesta in sede di appello. Hanno inoltre presentato memoria in ordine alla sussistenza deli estremi del reato di cui all’art. art. 624 bis cod. pen.
Il primo motivo, attinente alla configurabilità del furto in abitazione, è stat già adeguatamente vagliato e disatteso con corretti argomenti giuridici dalla Corte di appello. La riconduzione del fatto nell’ipotesi di cui all’art. 624 bi cod. pen. è conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui si può delineare la nozione di privata dimora sulla base dei seguenti, indefettibili elementi: a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare (Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, COGNOME, Rv. 270076 – 01; Sez.5, n. 34474 del 21/06/2018, Rv. 273633; Sez. 5, n.35677 del 10/06/2022, Rv. 283593; Sez.4, n. 37795 del 21/09/2021, Rv. 281952). Nel caso di specie, la Corte di merito ha considerato gli uffici commerciali ove si è consumato il furto alla stregua di “privata dimora”, poiché
ivi si si esercitava la attività professionale della persona offesa al ri intrusioni esterne, essendo uffici non aperti al pubblico ove erano al presenti abbigliamento, effetti personali, bagni privati ed inoltre erano ub in stretta adiacenza alle abitazioni familiari. Si tratta di affermazioni di pertinenti, non illogiche e conformi ai principi, che si sottraggono al sind di legittimità.
Quanto al diniego druinnovazione istruttoria relativamente alla richiesta audizione di un teste avanzata dal PG, va rilevato che, trattandosi di sent ‘ confermativa della sentenza di condanna di primo grado, secondo il pacific orientamento COGNOME di COGNOME legittimità COGNOME il rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello si sottrae al sin di legittimità quando la struttura argomentativa della motivazione de decisione di secondo grado si fonda su elementi sufficienti per una compiut valutazione in ordine alla responsabilità (Sez. 6 – , n. 2972 del 04/12/20 Rv. 280589 – 01; Sez. 6, n. 30774 del 16/07/2013, Rv. 257741 – 01).
Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, c conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cass delle ammende, determinabile in euro tremila ciascuno, ai sensi dell’art. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle sp processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa del ammende.
Così deciso in Roma, in data 30 settembre 2025.