Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 20088 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 20088 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 11/04/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME
NOME, la quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità dei ricorsi.
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 11 aprile 2023, la Corte d’appello di Roma ha confermato la condanna resa in primo grado, a esito di giudizio abbreviato, nei confronti di NOME e NOME COGNOME e per il reato di cui all’art. 624 bis, primo e terzo comma, cod. pen. Secondo la rubrica, i due imputati, in concorso tra loro e con una terza persona non identificata, introdottisi in una cantina condominiale in uso a due coaffittuari, si erano impossessati di beni -e, in particolare di trofei appartenenti a NOME Rivera- riposti in un armadio, aperto e divelto con fiamma ossidrica.
Nell’interesse degli imputati è stato proposto ricorso per cassazione, con due distinti atti, affidati ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’ 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Ricorso di NOME COGNOME
3.1. Con il primo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione per, non avere la Corte territoriale riqualificato il reato in quello di ricettazione ex art. 648, cod. pen., dal momento che gli imputati sono stati fermati dagli agenti di polizia in un momento successivo rispetto alla consumazione del furto e in un luogo distante alcune centinaia di metri dal iocus commissi deficti. Nella parte motiva dell’impugnata sentenza – si aggiunge – è, del resto, la stessa Corte d’appello a formulare il dubbio circa la opportunità di riqualificare il reato nel senso indicato anche dalla difesa, senza poi trarne le conseguenze. L’errore nella qualificazione del delitto si coglierebbe anche nel mancato rinvenimento, sulle persone degli imputati, di arnesi da scasso o della fiamma ossidrica. Anche la dichiarazione dell’unico testimone oculare sarebbe priva di rilevanza, posto che quest’ultimo non ha fornito alcuna descrizione fisica dei tre individui da lui notati. Infine, le dichiarazioni dell’imputato non sarebbero state sottoposte a un adeguato vaglio di attendibilità e la Corte avrebbe illogicamente escluso la versione dei fatti fornita dall’COGNOME, del tutto compatibile con la condotta di ricettazione. Infatti, posta l’indiscutibilità del dato della illegittima provenienza dei beni rinvenuti nella disponibilità degli imputati, il ricorrente ha fornito una plausibile spiegazione dell’origine del possesso dei beni, che gli sarebbero stati consegnati dal terzo agente rimasto non identificato e poi dileguatosi alla vista dei poliziotti intenti a perquisire i due imputati.
3.2 Col secondo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 131 bis cod. pen. La tenuità del fatto sarebbe confermata dalla mancata querela sporta dal legittimo proprietario dei beni sottratti.
3.3 Col terzo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 4, cod. pen., illogicamente giustificata in vista delle già concesse circostanze attenuanti generiche. La Corte territoriale avrebbe ignorato tanto l’esiguo valore delle cose sottratte, quanto la pronta e integra restituzione dei beni sottratti.
3.4 Col quarto motivo, si lamenta vizio di motivazione per non avere la Corte d’appello espresso né le ragioni poste a base della determinazione della pena, di gran lunga superiore al minimo edittale né i motivi relativi alla mancata concessione di una pena sostitutiva ex art. 20 bis cod. pen.
3.5 Col quinto motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento agli artt. 163 e 175 cod. pen. La determinazione della pena entro i limiti edittali e il riconoscimento dell’invocata circostanza attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 4, cod. pen., avrebbero implicato la possibilità della sospensione condizionale della pena e della non menzione nel certificato del casellario giudiziale.
4. Ricorso di NOME COGNOME
1. Con il primo motivo, variamente articolato si contesta, in premessa, omessa motivazione, per avere la Corte territoriale espresso ragioni giustificatrici dell’impugnata sentenza prive di qualsivoglia notazione autonoma rispetto alle ragioni espresse dal Giudice di primo grado.
La difesa, oltre a porre la questione della riqualificazione del fatto come ricettazione, eccepisce violazione di legge, con riferimento agli artt. 191, commi 1 e 2, 350, comma 6, del codice di rito, posto che le informazioni rese dall’imputato alla Polizia giudiziaria dovevano essere considerate inutilizzabili, poiché acquisite in assenza del difensore. Ciò che vale anche nel caso di giudizio abbreviato. Per inciso, si fa notare come le dichiarazioni rese dai due imputati non siano affatto divergenti, come invece ritenuto dai Giudici di merito. Si contesta, più in generale, il mancato approccio acritico, da parte della Corte territoriale, alla disamina degli atti processuali acquisiti con riferimento, in particolare: 1) all’individuazione degli autori del furto, in realtà mai identificati nei due imputati da parte del testimone oculare 2) alla telefonata del COGNOME ai vigili del fuoco, mai sottoposta al necessario riscontro con altri elementi probatori 3) alla T-shirt della squadra calcistica del Milan in possesso degli imputati, ritenuta illogicamente probante, oltre ogni ragionevole dubbio dai Giudici di merito, dell’ascritto furto 4) alla fiamma ossidrica, il cui utilizzo non è mai stato provato.
La motivazione sarebbe illogica con riferimento all’ipotesi, formulata dalla Corte, sui motivi della mancata comparsa del terzo presunto complice.
4.2 Col secondo motivo, si deduce vizio di motivazione e violazione di legge in riferimento alle contestate circostanze aggravanti d cui agli artt. 625, primo comma, n. 1 (violenza sulle cose) e n. 5 (fatto commesso da tre o più persone) cod. pen.
4.3 Col terzo motivo, si duole di vizio di motivazione e violazione di legge in riferimento all’elemento psicologico del reato, data l’assenza, nel caso di specie, di elementi idonei a provare la sussistenza dello stesso.
4.4 Col quarto motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte d’appello fornito ragioni a sostegno della scelta relativa alla determinazione della pena, del mancato riconoscimento dell’invocata circostanza attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 4, cod. pen. Inoltre, La determinazione della pena entro i limiti edittali e il riconoscimento dell’invocata circostanza attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 4, cod. pen., avrebbero implicato la possibilità della sospensione condizionale della pena e della non menzione nel certificato del casellario giudiziale.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, dl. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, AVV_NOTAIO, la quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità di entrambi ricorsi. L’AVV_NOTAIO ha fatto pervenire memoria di replica alla requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale.
Considerato in diritto
Per ragioni di economia di trattazione e di connessione logica delle questioni, il primo motivo dei due ricorsi può essere esaminato in termini unitari.
Le doglianze sono manifestamente infondate e aspecifiche.
In disparte alcune argomentazioni di tipo concessivo della sentenza impugnata, quanto alla sussistenza comunque di profili di illiceità della condotta degli imputati, ove pure fosse in essa ravvisata la fattispecie della ricettazione, il nucleo fondante della decisione, quale univocamente evincibile dall’esame complessivo della motivazione e dal suo rapporto con la sentenza di primo grado (secondo la prospettiva di integrazione recepita dalla giurisprudenza di questa Corte: v., ad es., Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, RV. 266617 – 0), è quello che coglie nei due ricorrenti e in un terzo soggetto rimasto sconosciuto gli autori del furto in abitazione del quale si tratta: e ciò in ragione del fatto che essi
sono stati sorpresi in possesso della refurtiva a brevissima distanza dal luogo della sottrazione e nella sostanziale immediatezza dei fatti.
Siffatta ricostruzione non ha alcun bisogno, in positivo, di essere rafforzata dalle dichiarazioni rese nell’immediatezza dai ricorrenti, alla luce della univocità delle conclusioni razionalmente tratte dai giudici di merito dai dati sopra ricordati. Non occorre indugiare, pertanto, sull’assertivo rilievo secondo cui siffatte dichiarazioni sarebbero inutilizzabili, ai sensi dell’art. 350, comma 6, cod. proc. pen.; piuttosto, va considerato che, in tema di giudizio abbreviato, le dichiarazioni spontanee rese, nell’immediatezza dei fatti, alla polizia giudiziaria dalla persona sottoposta ad indagini sono pienamente utilizzabili, purché verbalizzate in un atto sottoscritto dal dichiarante, onde consentire al giudicante di verificarne i contenuti ed evitare possibili abusi, o anche solo involontari malintesi, da parte dell’autorità di polizia (Sez. 2, n. 41705 del 28/06/2023, Parisi, Rv. 285110 – 01).
Ciò posto, resta il dato che l’assenza di razionali giustificazioni (e tale non è la spiegazione fornita nel corso dell’interrogatorio, che collide con quanto riferito da colui che aveva visto tre soggetti allontanarsi con la refurtiva, portata da uno di loro dal luogo del delitto), quale ravvisata dai giudici di merito, può assumere il solo significato di dimostrare l’assenza di ragionevoli dubbi idonei a scardinare la ricostruzione operata.
In questa prospettiva, non assume rilievo l’assenza di elementi identificativi tra i due imputati colti con la refurtiva e coloro che erano stati visti allontanarsi dall’abitazione teatro del furto.
La frammentazione dei dati probatori introdotta dai due ricorsi collide con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il giudice, nell’apprezzamento dei risultati probatori, deve esaminare tutti e ciascuno degli elementi processualmente emersi, non in modo parcellizzato e avulso dal generale contesto probatorio, verificando se essi, ricostruiti in sé e posti vicendevolmente in rapporto, possano essere ordinati in una costruzione logica, armonica e consonante, che consenta, attraverso la valutazione unitaria del contesto, di attingere la verità processuale, ossia la verità del caso concreto (Sez. 2, n. 32619 del 24/04/2014, COGNOME, Rv. 260071).
2. Il secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse dello COGNOME, che investe la sussistenza delle due circostanze aggravanti di cui all’art. 625, primo comma, n. 2 e n. 5, cod. pen., è privo di specificità, reiterativo e congetturale. Con riferimento alla prima circostanza aggravante, la difesa insiste sul dato del mancato ritrovamento dello strumento della fiamma ossidrica; argomento, quest’ultimo, già disatteso dai giudici di merito, i quali hanno ragionevolmente ritenuto che, sebbene non ritrovata, la fiamma ossidrica fosse stata usata, alla
luce della rilevata estesa bruciatura con totale rimozione di una serratura. Alla stregua delle risultanze in atti (e al netto della congetturale ipotesi della rimozione della serratura prima del furto, e con altro mezzo), i giudici di merito hanno, dunque, sufficientemente chiarito 1) che l’esercitata violenza sulle cose è stata assolutamente necessaria per riuscire a porre a termine il furto nella pertinenza di un’abitazione, sottraendo beni celati in un armadio chiuso (ciò che implicava la consapevolezza della necessità della violenza stessa); 2) che non decisivo è il mancato ritrovamento della fiamma ossidrica, dato ragionevolrnente giustificato dai giudici d’appello col mancato arresto del terzo complice; a fronte della coerente prospettazione dei giudici di merito, la doglianza è generica, non fornendo la difesa spiegazioni di come altrimenti si sarebbe pensato di impossessarsi dei beni celati in un armadio chiuso, all’interno di una cantina.
Con riferimento alla seconda circostanza aggravante, la difesa prospetta una ricostruzione in fatto diversa da quella logicamente recepita dalla sentenza impugnata. Le frammentarie indicazioni contenute in ricorso aspirano ad una ricostruzione alternativa della vicenda rispetto a quanto proposto dai giudici di merito, ignorando la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta, in maniera logica, nei precedenti gradi di merito (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, COGNOME, Rv. 238215).
Il terzo motivo del ricorso dello COGNOME del tutto genericamente pone la questione dell’elemento soggettivo del reato, trascurando di considerare che, ancora una volta razionalmente, i giudici di merito lo hanno fondato sulle circostanze della condotta, in coerenza con la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la prova dell’elemento soggettivo può desumersi dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell’azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato (Sez. 5, n. 30726 del 09/09/2020, Giunchiglia, Rv. 279908 – 01, in tema di furto, ma con affermazione di principi di carattere generale).
La ritenuta sussistenza del furto in abitazione pluriaggravato rende manifestamente infondate le censure del secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME NOME e nel quarto motivo del ricorso proposto nell’interesse dello COGNOME, tenuto conto del superamento del limite edittale minimo di due anni,
previsto dall’art. 131 bis, primo comma, cod. pen., per l’applicazione della causa di non punibilità.
Il terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME invoca l’applicabilità della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità in termini assolutamente generici e senza neppure considerare le conseguenze dell’effrazione. In ogni caso, non viene neppure dedotto che la questione sarebbe stata sollevata dinanzi al giudice di secondo grado, il quale, nell’incontestata sintesi dei motivi d’appello, non ne dà conto in alcun modo.
Le restanti censure proposte nei due ricorsi quanto alla dosimetria della pena, sono inammissibili, in quanto: a) la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata, nella sentenza impugnata, con motivazione esente da manifesta illogicità (lo svolgimento di attività professionale posta in essere con professionalità), che si sottrae, pertanto, al sindacato di questa Corte (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio, espressione della consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244); b) la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/20:13 – 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre; c) la pena irrogata preclude la sospensione condizionale della pena che, peraltro, unitamente alla non menzione, è oggetto di richiesta assolutamente generica (quinto motivo del ricorso proposto nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE e quarto motivo dell’altro ricorso); d) che del pari assolutamente generica è la doglianza relativa alla mancata considerazione della possibilità di applicare la pena sostitutiva (quarto motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME NOME), che non viene neppur dedotto essere stata richiesta al giudice di secondo grado. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il Collegio dichiara, pertanto, inammissibili i ricorsi. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12/01/2024
Il Consigliere estensore
Il Prelsidente