Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 6998 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 6998 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME COGNOME NOME COGNOME nato a MOLFETTA il 10/03/1999 NOME nato a CAIVANO il 28/09/1989
avverso la sentenza del 16/01/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME
COGNOME che ha concluso chiedendo pronunciarsi l’inammissibilità dei ricorsi.
Motivi della decisione
NOME e NOME ricorrono, a mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello di Napoli ha confermato la condanna alla pena di anni uno, meni nove, giorni dieci di reclusione ed euro 534,00 di multa ciascuna in relazione alla ipotesi di cui all’art.624 bis commi 1 e 3 cod.pen.
Le ricorrenti articolano due motivi di ricorso; con il primo lamentano violazione di legge e vizio motivazionale per travisamento della prova in relazione all mancata derubricazione del fatto in delitto tentato, atteso che le due donne erano state fermate da un prossimo congiunto della persona offesa allorquando non erano ancora uscite dallo stabile condominiale, per poi essere tratte in arresto dalle fo dell’ordine prontamente allertate, di talchè non era stata ancora acquisita una signo ria piena ed autonoma sui beni sottratti che erano stati rinvenuti all’interno di busta. Con una seconda articolazione assumono vizio motivazionale in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, laddove le ricorrenti avevano immediatamente ammesso le proprie responsabilità e non si erano sottratte, pur potendo fuggire, alla pretesa punitiva. Evidenziavano altresì un errore di calcol nei passaggi aritmetici che avevano condotto i giudici di merito a fissare la pena f nale.
Chiedono, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Entrambi i motivi di ricorso risultano essere meramente riproduttivi di censure già adeguatamente vagliate e disattese con corretti argomenti dal Giudice di merito e non scanditi da specifica critica delle argomentazioni poste alla base della sentenza impugnata.
La Corte ha ritenuto di condividere le motivazioni del Giudice di prime cure relativamente alla valutazione delle prove da cui emerge la penale responsabilità delle ricorrenti a titolo di delitto consumato. La valutazione appare del tutto coerente con la giurisprudenza di legittimità sul punto la quale ha ravvisato il delitto di furto in abitazione consumato, e non tentato, allorquando l’autore abbia conseguito l’autonoma disponibilità dei beni sottratti, uscendo dall’abitazione, sebbene sia stato poi fermato dalle forze dell’ordine prima di uscire dall’area condominiale (sez.4, n.11683 del 27/11/2018, Arena, Rv.275278; sez.5, n.33605 del
17/06/2022, T., Rv.283544). Nella specie le ricorrenti sono state individuate e fermate da un prossimo congiunto della persona offesa allorquando avevano lasciato l’abitazione depredata e detenevano la refurtiva all’interno di una busta, ove l’avevano riposta e stavano per guadagnare l’uscita dallo stabile condominiale, conservando la signoria sui beni sottratti.
In relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, invece, va osservato che, sul punto, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269, fattispecie nella quali la Corte ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato).
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, infatti, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 7, Ord. n. 39396 del 27/05/2016, Jebali, Rv. 268475; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 259899; Sez. 2, n. 2285 dell’11/10/2004, dep. 2005, Alba, Rv. 230691).
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549).
Tanto premesso sui principi giurisprudenziali operanti in materia, la Corte di appello ha osservato che, nel caso di specie, non ricorrevano i presupposti per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, in assenza di profili di meritevolezza e tenuto conto dei precedenti penal, non ravvisandosi profili di resipiscenza, in quanto le ammissioni di responsabilità erano sostanzialmente necessitate dalla situazione di arresto in flagranza.
A differenza di quanto genericamente afferma* dalla difesa delle ricorrent non si apprezzano errori aritmetici nei passaggi che hanno condotto i giudici di merito a determinare il trattamento sanzionatorio nei confronti delle due imputate.
Per tali ragioni i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili con la conseguente condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., che si determina come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuna in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 15 novembre 2024.