Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26137 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26137 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME i NOMENOME NOME a Foggia il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, NOME a Foggia il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Foggia il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Foggia il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 13/07/2022 della Corte di appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi; lette le richieste del difensore del ricorrente NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Bari ha parzialmente riformato la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Foggia del 23 ottobre 2018 che, per quanto di interesse in questa sede, all’esito del giudizio abbreviato, aveva affermato la penale responsabilità di
NOME COGNOME per un reato di furto aggravato ex arrt. 625, n. 5, e 61, n. 5, cod. pen. (capo a), di NOME COGNOME per il reato di ricettazione (capo d), di NOME COGNOME per il reato di evasione aggravato ex art. 6.1, n. 2, cod. pen. (capo e), di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di furto in abitazione aggravato perché commesso da tre persone, con abuso di prestazione d’opera, e nei confronti di persona affetta da minorazione psichica (capo f) e di NOME COGNOME e NOME COGNOME per il delitto di calunnia aggraval:a ai sensi dell’art. 61, n. 2, cod. pen. (capo g) e, applicata a NOME COGNOME la recidiva reiterata specifica, ad NOME COGNOME e NOME COGNOME la recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale e ad NOME COGNOME la recidiva semplice, ritenuta la continuazione in relazione ai reati rispettivamente ascritti a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, li aveva condannati alla pena ritenuta di giustizia.
In particolare, la Corte di appello ha escluso la recidiva applicata ad NOME e ha rideterminato la pena inflitta agli imputati.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME, a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente si duole della contraddittorietà e della mancanza di motivazione in ordine alla sua partecipazione al furto contestato al capo a).
Sostiene che la Corte di appello, affermando che egli non avrebbe spiegato perché tra i possibili furti che egli stava organizzando non rientrerebbe quello per il quale è stata pronunciata la sua condanna nonostante la convergenza in tal senso delle emergenze processuali, avrebbe illegittimamente invertito l’onere probatorio ponendolo a carico dell’imputato e che comunque l’onere di argomentare l’affermazione di penale responsabilità gravava sulla stessa Corte di appello.
La Corte di merito, in relazione alla conversazione telefonica in cui egli aveva chiesto a sua madre di consegnargli due pacchi di fazzolettini e che per la difesa dell’imputato avrebbe dovuto condurre ad affermare che i due interlocutori si trovassero nello stesso luogo, aveva invece ritenuto che essa, in quanto captata sull’utenza telefonica in uso al COGNOME, dimostrasse la presenza dell’imputato nel cantiere ove era stato commesso il furto, non considerando, però che l’abitazione dell’imputato ed il cantiere erano distanti pochi metri; era quindi ben possibile che egli si trovasse nella propria abitazione al momento del furto; su tale circostanza la Corte di appello non ha motivato e ha comunque posto a carico del COGNOME l’onere di dimostrare che egli non si trovasse nel cantiere, producendo documentazione idonea ad attestare il raggio di copertura della cella agganciata dall’utenza di telefonia mobile in uso all’imputato, mentre
era onere dell’accusa provare la sua presenza nel cantiere.
La questione relativa al dubbio circa la presenza del COGNOME nel cantiere non era una mera deduzione difensiva, ma una questione sulla quale la Corte di merito avrebbe dovuto pronunciarsi e in relazione ad essa, a causa del lacunoso materiale probatorio, aveva preteso di addossare sull’imputato l’onere di provare la propria innocenza.
Inoltre, la Corte di appello ha ritenuto che i mattoni rinvenuti nella disponibilità dei coimputati COGNOME COGNOME COGNOME fossero quelli sottratti al derubato, mentre trattandosi di beni fungibili e non essendo state indicate le caratteristiche specifiche dei mattoni trafugati, non poteva ritenersi superato il dubbio in ordine alla attendibilità del loro riconoscimento ad opera della vittima.
Anche su tale punto vi sarebbe, per il ricorrente, una carenza motivazionale.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 99 cod. pen. e la carenza di motivazione in ordine all’applicazione della recidiva, avendo la Corte di merito motivato la sua applicazione attraverso un generico richiamo ai precedenti penali del COGNOME, occorrendo, invece, una valutazione della personalità criminale del reo, anche alla luce del fatto compiuto e delle risultanze del casellario giudiziale.
All’epoca del furto il COGNOME era stato già condannato per fatti risalenti al 2009 ed ad epoca ancora precedente, cosicché la recidiva ben avrebbe potuto essere esclusa, con conseguente applicazione di un più mite trattamento sanzionatorio.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso anche COGNOME NOME, a mezzo del suo difensore, invocando il suo annullamento ed articolando due motivi.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe violato il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio attraverso una motivazione illogica e carente, non avendo fornito alcuna risposta alle censure concernenti l’identificazione del COGNOME, non essendo egli stato intercettato ed essendo dubbia l’identificazione dell’interlocutore dell’altra persona intercettata, NOME COGNOME; nessun approfondimento era stato effettuato per individuare l’intestatario e utilizzatore dell’utenza n. 3664056277.
Neppure poteva affermarsi che il COGNOME avesse partecipato al furto, essendo egli intervenuto post factum, dopo che il delitto era già stato consumato, e potendo al massimo ipotizzarsi una condotta di favoreggiamento; né risulta provato che la condotta attuata dal COGNOME fosse stata preventivamente concordata con coloro che avevano commesso il furto.
Quanto al delitto di evasione, esso è stato ritenuto sussistente sebbene egli
fosse stato sorpreso in una pertinenza della sua abitazione e il ricorrente segnala che questa Corte di cassazione ha affermato che la misura degli arresti donniciliari deve svolgersi, per quanto possibile, secondo modalità analoghe rispetto a quelle proprie della misura intramuraria, dovendosi, pertanto, dare esclusiva rilevanza allo spazio fisico delimitato dall’unità abitativa (domicilio) indicata dall’interessato ed autorizzata dal giudice, che comprende quegli ambiti parzialmente aperti (balconi, terrazzi) o scoperti (cortili interni, chiostrine simili) costituenti parte integrante dell’unità immobiliare di riferimento (Sez. 6, n. 16098 del 18/03/2016, Trani, non massimata).
In ogni caso non era chiaro il motivo dell’omessa applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., considerato che egli era stato sorpreso a pochi metri dalla sua abitazione mentre stava rientrando nella stessa.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia carenza di motivazione, per non avere la Corte di merito dato risposta alle doglianze contenute nel gravame e sostiene che risulta violato anche l’art. 133 cod. pen., essendo la pena stata fissata in misura eccessiva.
Ha proposto ricorso anche NOME COGNOME, a mezzo del suo difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza ed articolando tre motivi.
4.1. Con il primo motivo la ricorrente si duole della qualificazione del reato per il quale è stata condanNOME (capo f) quale furto in abitazione, evidenziando che in qualità di collaboratrice domestica della vittima aveva, al pari della coimputata NOME COGNOME, la disponibilità delle chiavi dell’abitazione ove era stato commesso il delitto, tanto che le era stata contestata l’aggravante di cui all’art. 61, n. 11, cod. pen.
Poiché il furto in abitazione è configurabile solo se vi sia stata violazione di domicilio, mentre le due imputate erano autorizzate ad entrare nell’abitazione della persona offesa, il delitto non sarebbe configurabile; nel caso in cui l’ingresso nell’abitazione della vittima sia avvenuta con il consenso di questa, potrà ritenersi sussistente il furto in abitazione solo nel caso in cui il consenso sia stato carpito con l’inganno (Sez. 5, Sentenza n. 41149 del 10/06/2014, COGNOME, Rv. 261030; Sez. 5, n. 13582 del 02/03/2010, Torre, Rv. 246902).
Nel caso di specie, le due imputate avevano la disponibilità delle chiavi del box ove era stato commesso il furto e potevano accedervi per svolgere le loro attività di collaboratrici domestiche e ciononostante era stato ritenuto sussistente il furto in abitazione poiché nel giorno del furto non era previsto che le stesse svolgessero le loro attività all’interno del box ed il loro ingresso al suo interno doveva ritenersi arbitrario ed abusivo. Tale motivazione era il risultato del travisamento della denuncia sporta dalla persona offesa, che non aveva mai
affermato con quale frequenza le due donne potessero introdursi nel box per svolgere le loro attività; peraltro, proprio la disponibilità delle chiavi da parte lo non consentiva di ritenere abusivo il loro accesso al box.
4.2. Con il secondo motivo la ricorrente invoca la riqualificazione del reato come tentato furto, evidenziando che dalla informativa redatta dai carabinieri risulta che questi intervennero presso il box mentre il COGNOME era intento ad uscirne e si stava dirigendo verso la sua abitazione, tanto che la stessa persona offesa gli chiese spiegazioni in ordine alla somma di denaro che egli aveva tra le mani; il COGNOME, quindi, non aveva ancora conseguito un’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza del soggetto passivo.
4.3. Con il terzo motivo il ricorrente evidenzia che il giudice di primo grado ha errato nel calcolo della pena, applicando la pena di anni tre di reclusione ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 624-bis cod. pen. e poi aumentando la pena per effetto dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 11, cod. pen. e della recidiva e dell’aggravante di cui all’art. 36 della legge n. 104 del 1992.
Tali errori nel calcolo della pena erano stati denunciati da altro appellante i cui motivi erano stati accolti dalla Corte di merito, che aveva anche esteso alla ricorrente gli effetti dell’accoglimento dell’impugnazione del coimputato, trattandosi di motivo oggettivo; tuttavia, la Corte territoriale, applicando l’art 63, comma 4, cod. pen., aveva determinato in misura pari ad un terzo l’aumento di pena per la recidiva, ossia nella misura massima, senza motivare in ordine alla scelta di applicare l’aumento e alla misura di questo.
Ha proposto ricorso anche NOME COGNOME, a mezzo del suo difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza impugNOME ed articolando quattro motivi.
5.1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine all’affermazione della sua penale responsabilità per il delitto di ricettazione contestato al capo d) ed avente ad oggetto i buoni benzina sottratti a NOME COGNOME in occasione del furto commesso all’interno del suo distributore di benzina.
Con l’atto di appello era stata sostenuta la mancanza del dolo, essendo l’imputata la convivente di NOME COGNOME, imputato del furto presso il distributore di carburanti e la Corte territoriale ha risposto che non vi era prova che il COGNOME fosse autore del furto e che comunque tale ipotesi avvalorava, invece di escludere, il dolo in capo alla COGNOME.
La motivazione risulta illogica, anche perché fondata su un’interpretazione distorta di una conversazione ambientale intercettata, secondo la quale NOME
NOME, chiedendo ad NOME se il benzinaio avesse preso i buoni, avrebbe espresso il timore che colui che aveva ricevuto i buoni potesse rilevarne l’ingiustificato possesso da parte sua. In realtà l’espressione «se li è presi?» era stata pronunciata dalla COGNOME NOME ed era riferita al difficoltoso inserimento dei buoni all’interno dell’apparecchiatura per l’erogazione del carburante.
Quanto alla attribuzione del furto al COGNOME, essa emergeva dall’informativa conclusiva redatta dai carabinieri, in cui egli veniva indicato quale autore del delitto. Anche il rinvenimento dei buoni presso l’abitazione coniugale avvalorava l’insussistenza del dolo in capo all’imputata.
5.2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, in relazione al reato di cui al capo f), la violazione dell’art. 624-bis cod. pen. e il difetto e la manifest illogicità della motivazione.
Il motivo è sostanzialmente sovrapponibile al primo motivo del ricorso di NOME COGNOME
5.3. Con il terzo motivo la ricorrente invoca la riqualificazione del reato come tentato furto. Esso è identico al secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME.
5.4. Con il quarto motivo la ricorrente si duole, in relazione al delitto di ricettazione contestato al capo d), dell’omessa applicazione del secondo comma dell’art. 648 cod. pen. e dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen..
Sostiene che l’attenuante di cui al secondo comma dell’art. 648 cod. pen. non concerne solo il valore economico del bene oggetto di ricettazione, ma tutti gli elementi, di natura oggettiva e soggettiva, che caratterizzano il reato.
Pertanto, alla Corte di merito era stato chiesto di analizzare le modalità della condotta, il valore contenuto del bene oggetto del reato e l’effettiva entità dello stesso.
Inoltre, era stata chiesta la applicazione dell’art. 62 n. 4 cod. pen., per la quale rilevava solo il valore economico del bene, che nel caso di specie era estremamente ridotto.
La Corte di merito ha rigettato entrambe le istanze, considerando non irrisorio il valore del buono benzina, nonostante questo avesse un valore di soli euro 20,00.
Inoltre, aveva ritenuto grave la condotta perché reiterata, mentre si trattava solo della spendita di due buoni benzina per un valore complessivo di soli euro 40,00.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
1.1. Il primo motivo appare generico, poiché il ricorrente non si confronta
con i molteplici elementi indicati dalla Corte di appello a sostegno della partecipazione dell’imputato allo specifico reato di furto a lui contestato, ribadendo il medesimo argomento sollevato con l’atto di appello e mostrando di ignorare la risposta della Corte di merito.
Quanto alla inversione dell’onere probatorio, essa non sussiste, poiché la Corte di appello ha indicato molteplici prove che dimostrano la sua partecipazione al delitto e si è limitata ad evidenziare che rispetto ad esse il COGNOME non ha fornito elementi di prova idonei a contrastarle.
Relativamente alla circostanza che la cella agganciata dal telefono del COGNOME coprisse una zona comprendente sia il cantiere ove è avvenuto il furto, sia l’abitazione dell’imputato, essa, anche ove dimostrata, non sarebbe in grado di escludere la partecipazione dell’odierno ricorrente al furto, già provata sulla base dei molteplici elementi indicati nella sentenza di secondo grado.
In ordine alla identificazione dei mattoni rinvenuti presso l’abitazione del ricettatore, essi, sulla base di quanto emerge dalle due sentenze di merito, erano identici a quelli sottratti nel cantiere e la Corte territoriale indica la conversazio intercettate dalle quali risulta che si tratta dei mattoni oggetto del furt realizzato nel cantiere. Anche in questo caso, l’identificazione della refurtiva da parte del derubato non appare una prova decisiva, in quanto la provenienza dei mattoni dal furto si ricava anche aliunde.
1.2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte di merito non si è limitata a fare generico riferimento ai precedenti penali del COGNOME, ma ha osservato che questi sono specifici e che il nuovo reato rende evidente la maggiore sua pericolosità. La motivazione appare, quindi, adeguata, completa e priva di contraddizioni o manifeste illogicità ed è preclusa a questa Corte di cassazione una rivalutazione della decisione nel merito.
2. Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
2.1. Inammissibile per genericità è il primo motivo di ric:orso, atteso che il ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza impugNOME, in cui si fa riferimento ad una conversazione intercettata in cui il COGNOME ha invitato la sua compagna, NOME COGNOME, ad impossessarsi della somma di diecimila euro rinvenuta nel box adibito ad abitazione della persona offesa. Nella sentenza di secondo grado si afferma che proprio il COGNOME è l’interlocutore della COGNOME nella conversazione intercettata, poiché proprio lui si reca poco dopo nel box per agevolare la condotta delittuosa della sua compagna, che da lui viene telefonicamente istigata ad impossessarsi del denaro.
Il COGNOME è stato poco dopo sorpreso dai carabinieri mentre si stava
allontanando dal box del COGNOME con indosso la somma sottratta. Sulla base della ricostruzione fattuale operata dalla Corte di appello non è sostenibile che il COGNOME non abbia partecipato al furto.
Quanto al delitto di evasione, la Corte di appello ha motivatamente escluso che il box adibito ad abitazione del COGNOME fosse pertinenza dell’abitazione della COGNOME e del COGNOME, cosicché il motivo di impugnazione risulta manifestamente infondato, al pari della censura sull’omessa applicazione della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., avendo la Corte territoriale motivato correttamente sul punto evidenziando che il reato di evasione è particolarmente grave in quanto commesso allo scopo di partecipare ad un furto in abitazione.
Peraltro, in tema di evasione dagli arresti domiciliari, agli effetti dell’art. 38 cod. pen. deve intendersi per abitazione il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata con esclusione di ogni altra appartenenza (aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non sia di stretta pertinenza dell’abitazione e non ne costituisca parte integrante, al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell’imputato, che devono avere i carattere della prontezza e della non aleatorietà (Sez. 6, n. 3212 del 18/12/2007, dep. 2008, Perrone, Rv. 238413) e nel caso di specie il COGNOME è stato sorpreso dalla polizia giudiziaria mentre stava in un cortile condominiale.
2.2. Inammissibile per la sua estrema genericità è il secondo motivo di ricorso, con il quale in realtà il ricorrente invoca una rivalutazione della congruità della pena non consentita in questa sede di legittimità.
3. Il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME è fondato.
Effettivamente risulta dal confronto della motivazione della sentenza di appello con la trascrizione della conversazione intercettata in data 17 novembre 2015 alle ore 17,12 che la Corte di merito ha confuso NOME COGNOME e NOME COGNOME attribuendo a questa la frase “Li Ha presi?” che invece viene pronunciata da NOME COGNOME.
Trattasi di travisamento su una prova decisiva, poiché, secondo la motivazione della sentenza di secondo grado, proprio dalla circ:ostanza che NOME COGNOME avrebbe rivolto ad NOME COGNOME la frase «Se li è presi?» dovrebbe ricavarsi la preoccupazione della COGNOME che il benzinaio potesse avvedersi della provenienza delittuosa dei buoni benzina e quindi la consapevolezza in capo alla stessa di tale provenienza; poiché, invece, la frase è stata rivolta da NOME COGNOME alla COGNOME tale conclusione poggia su una circostanza insussistente e quindi viene a cadere il ragionamento utilizzato dalla Corte territoriale per contrastare l’argomento difensivo secondo il quale la COGNOME aveva utilizzato i
buoni che si trovavano nella disponibilità del suo compagno, NOME COGNOME, senza sapere che essi fossero di provenienza furtiva.
Conseguentemente, la sentenza impugNOME deve essere annullata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al capo d), con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bari per nuovo giudizio su tale capo. H quarto motivo del ricorso di NOME COGNOME è assorbito.
Il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME ed il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME sono manifestamente infondati.
È ben vero che il delitto di furto in abitazione richiede che l’ingresso dell’autore del delitto nell’altrui abitazione sia avvenuto senza il consenso del titolare dello ius excludendi o in virtù di un consenso carpito con l’inganno; tuttavia, deve ritenersi parificato all’ingresso avvenuto senza il consenso dell’avente diritto l’ingresso avvenuto in virtù di un consenso prestato subordiNOMEmente al rispetto, da parte dell’agente, di determinati limiti o condizioni laddove questi non siano stati rispettati.
La Corte di appello ha affermato che nel giorno del furto NOME COGNOME ed NOME COGNOME, sulla base delle modalità che regolavano il loro rapporto di collaborazione domestica con il COGNOME, non avrebbero potuto entrare nell’abitazione di quest’ultimo, non essendo prevista l’effettuazione delle loro prestazioni lavorative in favore del COGNOME nel giorno in cui il furto è sta effettuato; né il COGNOME ha prestato il suo consenso in occasione del loro ingresso nella sua abitazione, in quanto egli, in tale momento, non era presente ed era tornato al box destinato a sua abitazione solo dopo che le due donne si erano già introdotte al suo interno.
In contrario, le ricorrenti hanno sostenuto che la Corte di appello avrebbe travisato il contenuto della denuncia del COGNOME, in cui non si afferma che le due donne potessero entrare solo in determinati orari, e che comunque il possesso delle chiavi da parte loro dimostrerebbe di per se stesso il consenso del COGNOME a che esse entrassero nella sua abitazione.
Quanto al dedotto travisamento, dalla denuncia di furto sporta dal COGNOME risulta che quest’ultimo ha affermato di conoscere solo di vista le due donne e che saltuariamente provvedevano ad effettuare le pulizie del suo box.
Dal tenore della denuncia non emerge che le due donne fossero stabilmente autorizzate ad accedere nella abitazione del denunciante e al contrario emerge che solo saltuariamente le stesse avevano provveduto a ripulire il box.
Appare quindi manifestamente infondato il motivo di impugnazione volto a denunciare il travisamento della denuncia.
Quanto al possesso delle chiavi, le ricorrenti invocano una valutazione di
merito non consentita in questa sede di legittimità.
Anche il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME ed il terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME sono manifestamente infondati, atteso che il denaro sottratto al COGNOME è stato rinvenuto nel possesso del COGNOME che già si stava allontanando dal box del COGNOME. Peraltro, il COGNOME ha affermato che le due donne gli avevano sottratto la somma di denaro e solo grazie alle dichiarazioni di NOME COGNOME è stato possibile accertare che la somma era stata da lei consegNOME al COGNOME, che pertanto ne aveva già acquisito una disponibilità autonoma, non essendo il COGNOME stato in grado di riferire agli appartenenti alle forze dell’ordine all’atto del loro intervento, chi avesse il possesso della refurtiva.
È, invece, fondato il terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME.
La Corte di appello ha applicato l’art. 63, quarto comma, cod. pen., ma non ha motivato onde giustificare la determinazione dell’aumento di pena per detta recidiva nella misura pari al massimo.
In tema di concorso di circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o di circostanze ad effetto speciale, è richiesto al giudice uno specifico dovere di motivazione sia ove egli escluda la rilevanza della circostanza concorrente meno grave, sia ove la ritenga, dovendo essere indicate, in quest’ultimo caso, le ragioni che hanno indotto alla quantificazione dell’aumento (Sez. 2, n. 5622 del 12/11/2021, dep. 2022, Carbone, Rv. 282594; Sez. 2, n. 5911 del 22/11/2012, dep. 2013, Bonaccorsi, Rv. 254527).
Concludendo, la sentenza impugNOME deve essere annullata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al capo d) e nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bari. I ricorsi di NOME COGNOME ed NOME COGNOME devono nel resto essere dichiarati inammissibili.
I ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME devono essere dichiarati inammissibili.
NOME COGNOME e NOME COGNOME devono essere condannati al pagamento delle spese processuali e al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro tremila.
P.Q.M.
Annulla l’impugNOME sentenza nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al
capo d) con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bari e dichiara inammissibile nel resto il ricorso di COGNOME NOME.
Annulla altresì l’impugNOME sentenza nei confronti di RAGIONE_SOCIALE limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bari per il giudizio. Dichiara inammissibile il ricorso della COGNOME i nel resto.
Dichiara inammissibili i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 08/04/2024.