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Furto in abitazione: quando è consumato il reato?

Tre individui ricorrono in Cassazione contro una condanna per furto in abitazione, sostenendo che il reato fosse solo tentato o al più una violazione di domicilio, dato che la refurtiva non è stata ritrovata. La Corte Suprema dichiara i ricorsi inammissibili, ribadendo che il furto in abitazione si considera consumato nel momento in cui i ladri acquisiscono il controllo dei beni, anche solo per un breve istante, rendendo irrilevante il successivo mancato recupero della merce rubata per qualificare il reato.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto in abitazione: reato consumato anche senza refurtiva

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 46573 del 2024, torna su un tema cruciale per il reato di furto in abitazione: la distinzione tra reato tentato e consumato. La pronuncia chiarisce che il delitto si perfeziona nel momento in cui l’autore si impossessa dei beni, anche solo per un breve lasso di tempo, rendendo irrilevante il fatto che la refurtiva non venga successivamente ritrovata addosso ai colpevoli.

I fatti del caso

Tre individui venivano condannati in primo grado e in appello per il reato di furto in abitazione. Secondo la ricostruzione, due di loro si erano introdotti in un’abitazione infrangendo il vetro di una finestra, mentre il terzo complice li attendeva in auto per garantire la fuga. Poco dopo essersi allontanati, i tre venivano fermati dalle forze dell’ordine, ma la perquisizione dava esito negativo: nessun oggetto rubato veniva rinvenuto.

Nei loro ricorsi per cassazione, gli imputati sostenevano tesi difensive convergenti. La principale argomentazione era che il reato dovesse essere riqualificato come tentato furto, proprio in virtù del mancato ritrovamento della refurtiva. In subordine, chiedevano la derubricazione a semplice violazione di domicilio, ipotizzando di essere entrati nell’appartamento, di averlo trovato già svaligiato da altri e di essersi quindi allontanati senza sottrarre nulla. Venivano inoltre contestati il diniego delle attenuanti generiche e la valutazione della recidiva.

L’analisi della Corte di Cassazione sul furto in abitazione

La Suprema Corte ha dichiarato tutti i ricorsi inammissibili, confermando la solidità della decisione dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno smontato punto per punto le argomentazioni difensive, offrendo importanti precisazioni sulla configurazione del furto in abitazione.

Il cuore della decisione risiede nella distinzione tra tentativo e consumazione. Secondo la Corte, il furto si considera consumato non quando il ladro riesce a portare la refurtiva in un luogo sicuro, ma nel momento stesso in cui acquisisce un’autonoma disponibilità del bene sottratto, anche se per un periodo di tempo molto breve e in un luogo precario. L’uscita dall’abitazione con i beni rubati è sufficiente a integrare l’impossessamento richiesto dalla norma.

Le prove del furto consumato

La Corte ha sottolineato come la motivazione dei giudici di merito fosse logica e coerente. Diversi elementi provavano la consumazione del reato:

1. Modalità di ingresso: Gli imputati avevano rotto una finestra per entrare, un’azione superflua se, come da loro sostenuto, avessero trovato la porta principale già forzata da altri.
2. Tracce ematiche: Il ritrovamento di una traccia di sangue di uno degli imputati su una porta interna della casa (quella della camera da letto) dimostrava la loro piena operatività all’interno dei locali.
3. Testimonianza oculare: Un testimone aveva visto due persone uscire dall’abitazione e salire sull’auto guidata dal terzo complice.

Il fatto che la refurtiva non sia stata trovata durante il controllo di polizia, avvenuto a breve distanza di tempo e luogo, non è stato ritenuto un elemento decisivo. I giudici hanno logicamente presunto che i colpevoli avessero avuto il tempo e il modo di disfarsi dei beni rubati prima di essere fermati.

Le motivazioni

La Corte ha ritenuto le motivazioni dei giudici di merito immuni da vizi logici. La “doppia conforme” (sentenze di primo e secondo grado che giungono alla stessa conclusione) era basata su un’analisi probatoria completa e razionale. L’ipotesi alternativa proposta dalla difesa (abitazione già svaligiata) è stata scartata perché illogica e priva di riscontri. Inoltre, la Corte ha confermato la corretta valutazione della recidiva e il diniego delle attenuanti generiche, basati sui numerosi e specifici precedenti penali degli imputati, che denotavano una spiccata capacità a delinquere e una particolare pericolosità sociale. È stato ribadito che, ai fini della valutazione della recidiva, il giudice deve compiere un’analisi concreta della condotta e della personalità del reo, non limitandosi a un mero riscontro formale dei precedenti.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di reati contro il patrimonio: il furto in abitazione è un reato di evento che si consuma con l’impossessamento della cosa mobile altrui. Tale impossessamento si realizza quando l’agente acquisisce sulla refurtiva un potere di fatto autonomo e indipendente dalla sfera di controllo del precedente detentore. L’aver portato i beni al di fuori dell’abitazione è sufficiente per integrare la consumazione, e il successivo mancato ritrovamento della refurtiva non è in grado, da solo, di degradare il fatto a mero tentativo.

Quando si considera consumato un furto in abitazione?
Il furto in abitazione si considera consumato nel momento in cui l’autore del reato acquisisce un’autonoma disponibilità dei beni rubati, sottraendoli alla sfera di controllo del proprietario. Secondo la sentenza, è sufficiente che l’agente esca dall’abitazione con la refurtiva per integrare la consumazione, anche se il controllo sul bene è solo temporaneo e precario.

Il mancato ritrovamento della refurtiva esclude il reato di furto in abitazione?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il mancato ritrovamento della refurtiva addosso ai colpevoli non è un elemento sufficiente per escludere la consumazione del reato o per qualificarlo come mero tentativo. La consumazione dipende dall’avvenuto impossessamento, che può essere provato anche attraverso altri elementi logici e indiziari, come testimonianze o tracce rinvenute sul luogo del delitto.

Come influiscono i precedenti penali sulla concessione delle attenuanti generiche?
I precedenti penali, soprattutto se numerosi, gravi e specifici per lo stesso tipo di reato, sono un elemento decisivo che il giudice valuta per concedere o negare le circostanze attenuanti generiche. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che i numerosi precedenti degli imputati per furto in abitazione dimostrassero una spiccata pericolosità sociale e l’assenza di elementi positivi meritevoli di una mitigazione della pena.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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