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Furto in abitazione: quando è consumato?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 45064/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di due imputati condannati per furto in abitazione pluriaggravato. I ricorrenti sostenevano si trattasse solo di un tentativo, ma la Corte ha confermato la consumazione del reato, poiché erano stati sorpresi con la refurtiva già occultata in auto, avendone acquisito la piena ed autonoma disponibilità. La Corte ha inoltre ribadito i limiti del proprio sindacato sulla congruità della pena e sui criteri per la negazione delle attenuanti generiche.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto in Abitazione: La Cassazione sulla Differenza tra Tentativo e Consumazione

La distinzione tra reato tentato e reato consumato è uno dei cardini del diritto penale, con conseguenze significative sulla pena applicabile. Nel caso del furto in abitazione, capire quando l’azione criminosa si possa considerare conclusa è fondamentale. Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione torna su questo tema, offrendo chiarimenti importanti sulla base di un caso concreto.

I Fatti di Causa

Due individui venivano condannati in appello per il reato di furto in abitazione pluriaggravato. Gli imputati, dopo essersi introdotti in un’abitazione e aver sottratto diversi beni, venivano fermati dalle forze dell’ordine mentre si trovavano già in possesso della refurtiva, che avevano occultato nel bagagliaio dell’auto usata per la fuga. Ritenendo ingiusta la condanna, proponevano ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso

La difesa degli imputati si basava principalmente su due argomentazioni:

1. Errata qualificazione del reato: Si sosteneva che il delitto dovesse essere derubricato a tentato furto in abitazione, poiché, a loro dire, non si era ancora perfezionata la fase consumativa del reato.
2. Errata determinazione della pena: Si contestava la pena inflitta, la mancata concessione delle attenuanti generiche e la violazione delle norme sul bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti.

L’Analisi della Corte sul Furto in Abitazione Consumato

La Corte di Cassazione ha respinto il primo motivo di ricorso, ritenendolo palesemente infondato. Secondo la Corte, i giudici di merito avevano correttamente qualificato il reato come consumato. Il punto cruciale, ribadito richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale, è che la consumazione del furto avviene nel momento in cui l’agente acquisisce la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva.

Nel caso di specie, gli imputati avevano già sottratto i beni dall’abitazione, li avevano trasportati e nascosti nel bagagliaio della loro auto per allontanarsi. Questo comportamento dimostra inequivocabilmente che avevano conseguito un controllo effettivo e autonomo sulla merce rubata, anche se per un breve lasso di tempo prima di essere fermati. La possibilità di disporre liberamente dei beni sottratti segna il passaggio dal tentativo alla consumazione del reato.

La Valutazione della Pena e delle Attenuanti

Anche il secondo motivo di ricorso è stato rigettato. La Cassazione ha ricordato che la valutazione sulla congruità della pena è un giudizio di merito che non può essere sindacato in sede di legittimità, a meno che non sia frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico. Nel caso in esame, la Corte d’Appello aveva motivato la sua decisione in modo coerente, considerando il valore dei beni, le modalità dell’azione e la personalità degli imputati.

Per quanto riguarda la mancata concessione delle attenuanti generiche, la Suprema Corte ha specificato che il giudice non è obbligato a esaminare tutti gli elementi previsti dall’art. 133 del codice penale. È sufficiente che si concentri su uno solo di essi, ritenuto prevalente, per giustificare la propria decisione. Pertanto, la scelta di negare il beneficio sulla base, ad esempio, della personalità del colpevole o delle modalità esecutive del reato è legittima.

Le Motivazioni

La decisione della Corte si fonda su principi consolidati. Il primo è che la consumazione del reato di furto si perfeziona con l’acquisizione di un potere di fatto autonomo sulla cosa sottratta, al di fuori della sfera di vigilanza del precedente possessore. Aver nascosto la refurtiva nel bagagliaio di un’auto è una chiara manifestazione di tale potere. Il secondo principio riguarda i limiti del giudizio di Cassazione, che non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito sulla determinazione della pena, se questa è sorretta da una motivazione logica e non contraddittoria.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un concetto fondamentale per la difesa e l’accusa nei processi per furto. La linea di demarcazione tra tentativo e consumazione risiede nella concreta disponibilità del bene sottratto. Per gli operatori del diritto, ciò significa che l’analisi deve concentrarsi non solo sull’atto dello spossessamento, ma anche sul momento in cui l’autore del reato ottiene un controllo effettivo sulla refurtiva, rendendo il suo recupero da parte della vittima non più immediato. La decisione conferma inoltre la discrezionalità del giudice di merito nella commisurazione della pena e nella concessione delle attenuanti, un potere ampio ma che deve sempre essere esercitato con una motivazione coerente.

Quando si considera consumato un furto in abitazione e non solo tentato?
Secondo la Corte, il furto è consumato quando l’imputato consegue, anche per breve tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, sottraendola alla sfera di controllo della vittima.

Può la Corte di Cassazione riesaminare l’adeguatezza della pena decisa dal giudice di merito?
No, la censura che mira a una nuova valutazione della congruità della pena è inammissibile in Cassazione, a meno che la determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico.

Per negare le attenuanti generiche, il giudice deve analizzare tutti gli elementi dell’art. 133 del codice penale?
No, il giudice può limitarsi a prendere in esame anche un solo elemento, tra quelli indicati dalla norma (es. la personalità del colpevole o le modalità del reato), se lo ritiene prevalente e sufficiente a giustificare la negazione del beneficio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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