Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 22018 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 22018 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
Poli COGNOME nato a SASSUOLO il 01/04/1972
COGNOME NOME nato a MEZZOLOMBARDO il 14/09/1964
avverso la sentenza del 27/09/2024 della Corte d’appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che, riportandosi alla requisitoria scritta, ha chiesto la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi;
udito per i ricorrenti l’avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’Appello di Brescia ha confermato la condanna dei ricorrenti per il delitto di furto in abitazione.
Avverso la richiamata pronuncia hanno proposto ricorsi per cassazione gli imputati, con il difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME articolando tre motivi d’impugnazione, di seguito ripercorsi nei limiti previsti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo deducono, in riferimento all’art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede la querela a procedibilità della persona offesa anche per il delitto di cui all’art. 624-bis cod. pen., pur a fronte della scelta del legislatore delegato di contemplare la procedibilità a querela sia del delitto di furto, sia di quello di violazione domicilio, nonché di un reato gravissimo come quello di violenza sessuale.
Soggiungono che, sebbene il criterio di delega di cui all’art. 1, comma 15, della legge 27 settembre 2021 n. 134 non consentisse di annoverare tra i delitti procedibili a querela quelli per i quali, come il furto in abitazione, è prevista una pena edittale detentiva superiore nel minimo a due anni, il rispetto dell’art. 76 Cost. non può condurre a una violazione del principio di eguaglianza.
2.2. Mediante il secondo motivo i ricorrenti denunciano manifesta illogicità della motivazione delle conformi decisioni di merito rispetto al decisivo rilievo attribuito all’irrituale riconoscimento fotografico degli stessi quali autori del furt operato dalla persona offesa.
2.3. Con l’ultimo motivo gli imputati censurano la pronuncia impugnata laddove non ha ritenuto di riconoscere la continuazione con un fatto commesso pochi mesi prima espressione, pur trattandosi di rapina c.d. impropria, dell’unitario disegno criminoso volto alla commissione di delitti contro il patrimonio.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Con riguardo alle questioni di legittimità costituzionale sottese al primo motivo occorre osservare quanto segue.
Per come prospettate dalle parti dette questioni sono inammissibili poiché i ricorrenti non hanno censurato tutte le norme che avrebbero dovuto essere attinte dal lamentato vizio di illegittimità costituzionale.
Invero, considerato il vincolo del legislatore delegato a rispettare i principi e i criteri direttivi, sarebbe stato necessario censurare, contestualmente, la relativa previsione della legge delega espressa, peraltro in modo puntuale, dall’art. 1, comma 15, della legge n. 134 del 2021.
Vi è infatti che, in forza di tale disposizione, è contemplata l’estensione del regime di procedibilità a querela di parte per ulteriori specifici reati contro la persona o contro il patrimonio nell’ambito esclusivo di quelli puniti con pena edittale detentiva non superiore nel minimo a due anni.
Di conseguenza, atteso che per il delitto di furto in abitazione la pena edittale minima è pari a quattro anni di reclusione, non sarebbe stato possibile per il legislatore delegato, salvo incorrere nel vizio di eccesso di delega legislativa ex art. 76 Cost., ricomprendere tale delitto nell’ambito di quelli procedibili a querela di parte.
Sicché le doglianze dei ricorrenti avrebbero dovuto dirigersi anche nei confronti del predetto criterio di delega espresso dal richiamato art. 1, comma 15, della legge n. 134 del 2021.
E’ senza dubbio possibile per questa Corte, al di là dell’erronea prospettazione della questione di legittimità costituzionale ad opera della parte, formularla in maniera corretta, ove effettivamente sussista un dubbio di compatibilità della disciplina normativa con l’assetto costituzionale, essendo nel nostro ordinamento rimessa la decisione sulla proposizione dell’incidente di legittimità costituzionale all’autorità giudiziaria dinanzi alla quale si svolge il c.d processo presupposto cui è demandato un autonomo vaglio sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza.
Occorre, dunque, interrogarsi sul se il combinato disposto degli artt. 1, comma 15, della legge n. 134 del 2021 e dell’art. 624-bis cod. pen., laddove contempla la procedibilità d’ufficio del delitto di furto in abitazione, si ponga in contrasto con l’art. 3 Cost., sia sotto il profilo della violazione del principio eguaglianza che di quello di ragionevolezza espresso dallo stesso parametro.
3.1. Innanzi tutto, la questione è manifestamente infondata con riferimento al principio di eguaglianza rispetto ai tertia comparationis costituiti dal delitto di furto c.d. semplice e da quello di violazione di domicilio, che, a differenza di quello di furto in abitazione, sono procedibili, a seguito della riforma realizzata dal d.lgs. n. 150 del 2022, a querela di parte.
Se, infatti, il delitto di cui all’art. 624-bis cod. pen. aggredis contestualmente i beni giuridici del patrimonio e del domicilio della persona, tuttavia non costituisce, come sembrano assumere le parti ricorrenti, una sorta “sommatoria” tra i predetti reati di furto e di violazione di domicilio, atteso che, ove si volesse accedere a tale prospettazione, finirebbe con il risultare incomprensibile la scelta del legislatore di configurare un’autonoma fattispecie di reato (e, in precedenza, una circostanza aggravante del delitto di furto) e non già un concorso di reati. Vero è, invece, che il delitto di furto in abitazione si caratterizza per una spiccata aggressione ai beni giuridici tutelati, tanto del patrimonio quanto dell’intimità della persona nella sua proiezione spaziale dell’abitazione, aggressione che può sfociare, in alcune ipotesi, nella violenza alle persone che vivono nell’abitazione e che vi si trovino nel momento nel quale il reato è commesso.
L’eterogeneità delle fattispecie poste a confronto rende dunque manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale con riferimento all’art. 3 Cost. in relazione al principio di eguaglianza.
A tal riguardo, occorre rammentare, difatti, che, come più volte sottolineato dalla Corte Costituzionale, il principio di eguaglianza esprime un giudizio di relazione in virtù del quale a situazioni eguali deve corrispondere un’identica disciplina e, all’inverso, discipline differenziate devono essere coniugate a situazioni differenti (Corte Cost. sent. n. 7 del 2024). Il che comporta che la disamina della conformità di una norma a quel principio deve svilupparsi secondo un modello dinamico, incentrandosi sul “perché” una determinata disciplina operi, all’interno del tessuto egualitario dell’ordinamento, quella specifica distinzione, e quindi trarne le debite conclusioni in punto di corretto uso del potere normativo (ex aliis, Corte Cost. sent. n. 7 del 2024; n. 43 del 2022; n. 276 del 2020).
3.2. La questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, comma 15, della legge n. 134 del 2021 e dell’art. 624-bis cod. pen., laddove contempla la procedibilità d’ufficio del delitto di furto in abitazione, con riferimento al principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. rispetto al reato di violenza sessuale è, del pari, manifestamente infondata.
Vi è, infatti, che la previsione del regime di procedibilità a querela per il delitto di violenza sessuale trova ragionevole fondamento nella tutela della
libertà di autodeterminazione della vittima rispetto al possibile perpetuarsi, nel caso di celebrazione del processo, del dolore per la violazione della propria sfera più intima determinato dal fatto di reato.
3.3. Peraltro, la scelta del legislatore neppure si pone in contrasto con il principio di ragionevolezza, che trova anch’esso fondamento nel medesimo art. 3 Cost.
Occorre GLYPH premettere, GLYPH al GLYPH riguardo, GLYPH che GLYPH la GLYPH scelta GLYPH dei GLYPH modi di procedibilità coinvolge la politica legislativa e deve quindi rimanere affidata a valutazioni discrezionali del legislatore, presupponendo bilanciamenti di interessi e opzioni di politica criminale spesso assai complessi, e sindacabili in sede di giudizio di legittimità costituzionale solo per vizio di manifesta irrazionalità (ex ceteris, Corte Cost. sent. n. 274 del 1997; ord. n. 392 del 2008).
Tale limite non appare superato nella fattispecie considerata.
Occorre invero considerare che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 117 del 2021 – chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 624-bis cod. pen., introdotto dall’art. 2, comma 2, della legge 26 marzo 2001, n. 128, come modificato dall’art. 1, comma 6, della legge 23 giugno 2017, n. 103, successivamente modificato dall’art. 5, comma 1, della legge 26 aprile 2019, n. 36, «nella parte in cui, limitando la discrezionalità del iudice, non consente, anche attraverso adeguato bilanciamento delle circostanze concorrenti, ovvero la previsione di una ipotesi lieve autonomamente sanzionata, di calibrare la sanzione penale alla effettiva gravità del reato», con riferimento agli artt. 3 e 27 Cost. – ha disatteso la questione sottolineando che la scelta del legislatore di assegnare una tutela rafforzata «all’intimità della persona raccolta nella sua abitazione» non è irragionevole. In motivazione, la Corte Costituzionale ha osservato, a riguardo, che nel furto in abitazione l’offensività patrimoniale assume una peculiare connotazione personalistica, in ragione dell’aggancio con l’inviolabilità del domicilio assicurata dall’art. 14 Cost., inteso come «proiezione spaziale della persona».
Del resto, anche le Sezioni Unite, nella pronuncia “COGNOME“, hanno fornito una nozione restrittiva del concetto di privata dimora ricomprendendovi soltanto i luoghi aventi le caratteristiche proprie dell’abitazione ed escluderne viceversa i luoghi di lavoro, «salvo che il fatto sia avvenuto all’interno di un’area riservata alla sfera privata della persona offesa» (Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, COGNOME, Rv. 270076).
Né si può trascurare che la medesima Corte Costituzionale nella più recente ordinanza n. 14 del 2024 – ponendosi peraltro nel solco della precedente sentenza n. 216 del 2019 e dell’ordinanza n. 67 del 2020 – ha ritenuto manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 656,
comma 9, lett. a), cod. proc. pen., nella parte in cui stabilisce che la sospensione dell’esecuzione della pena non può essere disposta nei confronti dei condannati per il delitto di furto in abitazione di cui all’art. 624-bis cod. pen., sia riferimento all’art. 3 Cost. laddove riserva a tale delitto, caratterizzato da un’aggressione puramente patrimoniale, un trattamento di più intenso rigore afflittivo rispetto al secondo, nel quale vi è altresì un’aggressione consumata al bene incolumità individuale, e all’art. 27 Cost., per l’automatismo incompatibile con la necessità di valutazioni flessibili e individualizzate in considerazione della funzione rieducativa della pena. Nella richiamata ordinanza n. 14 del 2024, la Corte Costituzionale ha sottolineato che la previsione trova fondamento nella non irragionevole presunzione del legislatore relativa alla particolare gravità del fatto di chi, per commettere il furto, entri in un’abitazione altrui, e nella spiccata pericolosità soggettiva così manifestata dall’autore di un simile reato, attestata dall’ingresso non autorizzato nei predetti luoghi al fine di commettervi un furto. Presunzione che non viene meno per il solo fatto che l’autore non abbia in concreto usato violenza nei confronti di alcuno.
Pertanto, è manifestamente infondata, in riferimento al principio di ragionevolezza ritraibile dall’art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, comma 15, della legge n. 134 del 2021 e dell’art. 624-bis cod. pen., laddove prevede la procedibilità d’ufficio del delitto di furto in abitazione, atteso che non è manifestamente irrazionale la scelta del legislatore nel senso della perseguibilità d’ufficio di una condotta di particolare gravità, idonea a denotare una peculiare spregiudicatezza nel reo, come l’introduzione in una privata abitazione allo scopo di commettere un furto, che viola l’intimità delle persone che vi abitano ed è suscettibile di porne in pericolo l’incolumità.
Il secondo motivo è inammissibile poiché con esso, a fronte di una congrua motivazione della decisione di merito, si tende ad ottenere un inammissibile rinnovato vaglio delle prove in sede di legittimità (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944).
Invero, nel disattendere l’analogo motivo di appello, la Corte territoriale ha spiegato in modo logico che il riconoscimento degli imputati da parte della persona offesa è stato compiuto in forza delle fotografie estrapolate di dai filmati delle telecamere di un negozio nel quale essi si erano recati poco prima, fotografie molto nitide che consentivano di riprendere i ricorrenti da due diversi angolazioni.
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Ha soggiunto ulteriormente la decisione impugnata che la vittima li aveva riconosciuti in termini di certezza, corrispondendo peraltro le loro descrizioni a
quelle dettagliatamente effettuate dalla stessa al momento della denuncia.
3.11 terzo motivo non è fondato.
Su un piano generale, occorre rammentare che, in tema di reato continuato, l’esistenza del medesimo disegno criminoso va desunta da elementi indizianti
quali l’unitarietà del contesto e della spinta a delinquere, la brevità del lasso temporale che separa i diversi episodi, l’identica natura dei reati, l’analogia del
modus operandi”
e la costante compartecipazione dei medesimi soggetti, essendo sufficiente la ricorrenza anche di alcuni soltanto di tali indici, purché
Sez. 2, n. 10539 del 10/02/2023, COGNOME, Rv. 284652;
significativi
(ex aliis,
Sez. 5, n. 1766 del 06/07/2015, dep. 2016, Esposti, Rv. 266413).
Ciò posto, la pronuncia censurata ha congruamente evidenziato, nel solco dei predetti principi, che i due fatti di reato sono stati commessi ad oltre cinque
mesi di distanza, in concorso con soggetti diversi, in un altro luogo e con modalità differenti (ossia facendo ricorso alla violenza fisica).
In tale contesto, è stato sottolineato che l’unico comune denominatore tra i fatti era costituito dall’abitualità nel reato dei due imputati.
E, al riguardo, va ribadito che, ai fini della configurabilità dell’istituto del continuazione è necessaria la prova che i reati siano stati concepiti e portati ad esecuzione nell’ambito di un unico programma criminoso, il quale non deve tuttavia essere confuso con la sussistenza di una concezione di vita improntata al crimine e dipendente dagli illeciti guadagni che da esso possono scaturire, poiché in tal caso la reiterazione della condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntata al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordinato al favor rei (Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950).
4.Pertanto i ricorsi devono essere rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 13 maggio 2025
Il Consigliere COGNOME
Il Presidente