Furto in Abitazione: Quando lo Spogliatoio di un Cantiere Diventa ‘Casa’
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale in materia di furto in abitazione, stabilendo che la nozione di ‘privata dimora’ si estende anche a luoghi di lavoro come uno spogliatoio. Questa decisione conferma che la tutela penale non si limita alle mura domestiche, ma copre tutti gli spazi in cui un individuo svolge atti della propria vita privata in modo riservato. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da un furto avvenuto all’interno di uno spogliatoio riservato agli operai impegnati nei lavori di ristrutturazione di un edificio. L’imputato, ritenuto responsabile del reato, era stato condannato sia in primo grado che in appello per il reato di furto aggravato ai sensi dell’art. 624-bis del codice penale, ovvero il furto in abitazione.
I Motivi del Ricorso: Semplice Furto o Furto in Abitazione?
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due principali motivi:
1. Erronea applicazione della legge penale: Secondo la difesa, il fatto avrebbe dovuto essere qualificato come furto semplice (art. 624 c.p.) e non come furto in abitazione. La tesi era che uno spogliatoio di cantiere non potesse essere considerato ‘privata dimora’.
2. Illogicità della motivazione: Il ricorrente contestava la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, in particolare per quanto riguarda la valutazione degli orari delle comunicazioni telefoniche utilizzate come prova.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha respinto entrambi i motivi, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su argomentazioni chiare e in linea con la giurisprudenza consolidata.
Lo Spogliatoio come Privata Dimora
La Corte ha definito la prima censura ‘palesemente contraddetta’ dalla sentenza impugnata. I giudici di legittimità hanno ribadito che, ai fini della configurabilità del reato di furto in abitazione, la nozione di ‘privata dimora’ include tutti i luoghi in cui si compiono atti della vita privata in modo riservato, precludendo l’accesso a terzi.
Citando un proprio precedente (sentenza n. 37795/2021), la Corte ha specificato che uno spogliatoio riservato ai lavoratori rientra pienamente in questa categoria. Si tratta infatti di un luogo dove le persone si cambiano, depositano i propri effetti personali e, in generale, godono di un momento di privacy sottratto alla sfera pubblica. Pertanto, la sua violazione integra l’aggravante prevista dall’art. 624-bis c.p.
L’Inammissibilità delle Censure sul Fatto
Per quanto riguarda il secondo motivo, la Cassazione ha sottolineato come le critiche alla ricostruzione dei fatti e alla valutazione delle prove non possano trovare spazio nel giudizio di legittimità. La Corte di Appello aveva fornito una motivazione ‘congrua e adeguata’, esente da vizi logici e basata su corretti criteri di inferenza. Il tentativo del ricorrente di ottenere una nuova valutazione del materiale probatorio è stato quindi respinto, poiché tale compito spetta esclusivamente ai giudici di merito.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame conferma un’interpretazione estensiva e protettiva del concetto di privata dimora. La decisione chiarisce che la tutela penale rafforzata non si arresta sulla soglia di casa, ma si estende a tutti quegli spazi, anche lavorativi, dove le persone hanno una legittima aspettativa di riservatezza. Con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, la condanna per furto in abitazione è divenuta definitiva e il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Un furto commesso in uno spogliatoio può essere considerato furto in abitazione?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la nozione di ‘privata dimora’ (art. 624-bis c.p.) include anche i luoghi di lavoro, come uno spogliatoio, in cui si compiono atti della vita privata in modo riservato e precludendo l’accesso a terzi.
La Corte di Cassazione può riesaminare le prove e la ricostruzione dei fatti decise dalla Corte d’Appello?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la ricostruzione e la valutazione dei fatti, così come l’apprezzamento del materiale probatorio, sono di competenza esclusiva della Corte d’Appello. Il giudizio della Cassazione si limita a verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non a riesaminare il merito.
Qual è stata la decisione finale della Corte sul ricorso?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Di conseguenza, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33494 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33494 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a FRATTAMAGGIORE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/01/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminato il ricorso proposto a mezzo del difensore da COGNOME NOME, ritenuto responsabile nelle conformi sentenze di merito del reato di cui all’art. 624-bis cod. pen.
Rilevato che il ricorrente lamenta: 1. Erronea applicazione della legge penale in relazione alla rubricazione della condotta ai sensi dell’art.624-bis cod. pen., ravvisandosi nei fatti la diversa fattispecie di cui all’art. 624 cod. pen.; Illogicità della motivazione nella parte in cui giustifica l’affermazione d responsabilità dell’imputato sulla base degli orari delle comunicazioni telefoniche indicate in motivazione.
Considerato che la prima censura è palesemente contraddetta dalla giustificazione offerta nella sentenza impugnata, conforme agli orientamenti consolidati di questa Corte di legittimità .
Considerato che la seconda censura, concernendo la ricostruzione e la valutazione del fatto, nonché l’apprezzamento del materiale probatorio, investono profili del giudizio rimessi alla esclusiva competenza della Corte di appello, che ha fornito una congrua e adeguata motivazione, esente da vizi logici, perché basata su corretti criteri di inferenza, espressi in un ragionamento fondato su condivisibili massime di esperienza e convergente con quello del Tribunale.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29 maggio 2024