Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 6256 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 6256 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME CUI 06GRAR2 ) nato il 05/12/1992
avverso la sentenza del 22/01/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore. E presente l’avvocato COGNOME del foro di MILANO in difesa di COGNOME ( CUI CODICE_FISCALE ), il quale insiste nei motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Roma ha confermato la decisione del Tribunale di Latina che aveva riconosciuto COGNOME colpevole dei reati di cui agli artt.624 bis cod.pen. e 4 L.110/75, per essersi impossessato di un autoveicolo parcheggiato nel piazzale recintato munito di cancello elettrico adiacente all’abitazione della persona offesa e per avere portato fuori dalla propria abitazione un coltello a serramanico, due cacciaviti a spacco e una sega a serramanico, utilizzabili per l’offesa alle persone.
Il giudice distrettuale, dopo avere escluso la richiesta derubricazione del reato in furto semplice, avendo riconosciuto all’area ove si trovava parcheggiato il veicolo il carattere di pertinenza dell’abitazione della persona offesa in ragione dei requisiti di segregazione e accessorietà, evidenziava altresì che ricorreva l’elemento soggettivo del reato in ragione della stretta correlazione tra l’introduzione dell’imputato nell’area recintata con strumenti atti allo scasso, l’impossessamento del bene e il successivo allontanamento, dovendosi pertanto escludere alternative finalità di riparo e di ricovero, a prescindere dal contenuto delle dichiarazioni rese dall’imputato nella immediatezza dell’arresto, non utilizzabili in quanto non verbalizzate.
Escludeva altresì la tenuità del fatto in relazione al porto di strumenti atti ad offendere, in ragione della natura e del numero delle armi detenute e del contesto criminoso nel quale la detenzione era intervenuta.
Assumeva altresì la adeguatezza del trattamento sanzionatorio, atteso che la pena base per il reato di cui all’art.624 bis cod.pen. era stata determinata nel minimo edittale e che la diminuzione per le circostanze attenuanti era stato fissato in termini congrui.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa di COGNOME la quale ha articolato cinque motivi di ricorso.
Con il primo assume difetto di motivazione sulla prova dell’introduzione dell’imputato nel cortile dell’abitazione ove si trovava l’autovettura sottratta e motivazione contraddittoria e illogica una volta riconosciuta la inutilizzabilità delle dichiarazioni asseritamente confessorie del prevenuto. Assume la difesa del ricorrente che una volta esclusa la valenza probatoria delle dichiarazioni rese dall’indagato in sede di arresto, il giudice di appello non era stato in grado di colmare il deficit probatorio in ordine alla sussistenza del delitto di cui all’art.624 bis cod.pen., in quanto il BIGGAR
era stato fermato a notevole distanza dal luogo di commissione del reato (oltre 120 km) e dopo molte ore dal perpetrato furto, di talchè la motivazione della sentenza impugnata, fondata su una asserita correlazione tra l’introduzione del prevenuto nel cortile dell’abitazione della persona offesa in Sezze e il successivo rinvenimento dello stesso nella disponibilità dell’autovettura, nella giornata successiva, in comune di Minturno, era frutto di una deduzione congetturale e priva di riscontri, tenuto conto altresì delle giustificazioni fornite dall’imputato nell’interrogatorio in sede di convalida.
Con una seconda articolazione deduce violazione di legge per avere il giudice distrettuale escluso la tenuità della ipotesi di porto di oggetti atti ad offendere, ai sensi dell’art.131 bis cod.pen. e dell’art.4 L.110/1975, in particolare per avere utilizzato profili personologici del reo e circostanze successive alla commissione del reato (quali il reato di evasione dal luogo in cui era stato collocato a seguito dell’operato all’arresto), laddove gli elementi circostanziali del fatto (condizione di persona senza fissa dimora, necessità di trovare un ricovero provvisorio, macchina rinvenuta aperta e con le chiavi all’interno, esistenza di un antifurto satellitare che aveva immediatamente segnalato l’intrusione) giustificavano una valutazione giudiziale di particolare tenuità dell’azione e dell’offesa.
Con un terzo motivo di ricorso si deduce violazione del principio di proporzionalità ai sensi dell’art.49 Carta dei diritti fondamentali UE e omessa motivazione in ordine alla proporzione del trattamento sanzionatorio conseguente alla condanna rispetto al fatto.
Assume il ricorrente che, alla luce dei profili oggettivi e soggettivi del reato, che evidenziavano profili di scarso allarme sociale e comunque una condotta e un offesa di non particolare rilevanza e alla stregua della giurisprudenza della Corte di Giustizia della Unione Europea, che aveva sancito la immediata e diretta applicazione negli Stati Nazionali del principio di proporzionalità della pena, il giudizio sul trattamento sanzionatorio avrebbe dovuto fare applicazione del suddetto art.49 della Carta, procedendo ad una attenuazione del regime sanzionatorio che, in relazione all’art.624 bis cod.pen. era stato interessato da una serie di interventi normativi che lo avevano reso particolarmente rigoroso e sproporzionato rispetto alla ipotesi di furto semplice e anche rispetto alle ulteriori fattispecie di furto pluriaggravato, soprattutto con riferimento alla misura della pena minima, in assenza di previsioni attenuate, pure previste per altre fattispecie di reato, anche contro ii patrimonio, tese a limitare il rigore sanzionatorio nel caso concreto.
Con ulteriore articolazione solleva questione di legittimità costituzionale dell’art.624 bis con pen. in relazione agli artt.3, 27 Cost. e 49, comma 3 della Carta dei diritti fondamentali UE di cui deve tenersi conto nell’applicazione della norma, ritenutone il contrasto per le ragioni anzidette.
Con un’ultima articolazione, ai sensi del novellato art.598 bis comma 1 bis cod. pen., introdotto nelle more del giudizio di legittimità, la difesa del ricorrente manifesta il consenso alla sostituzione della pena detentiva con la pesa sostitutiva dei lavori di pubblica utilità evidenziando che, in relazione alla ipotesi di cui all’art.624 bis cod.pen., non è ammessa la sospensione della esecuzione della pena di talchè il ricorrente, per ottenere la sostituzione dal giudice di sorveglianza, avrebbe dovuto attendere in stato di detenzione con violazione degli art.3 e 27 Costituzione; conseguentemente chiedeva la sostituzione della pena detentiva in lavori di pubblica utilità sostitutivi o in detenzione domiciliare sostitutiva, tenuto conto del consenso prestato dall’imputato con procura speciale allegata al ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato e deve essere rigettato.
2. Il primo motivo di ricorso é manifestamente infondato, in quanto teso ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in questa sede, laddove le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell’episodio e dell’attribuzione dello stesso alla persona dell’imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
2.1. Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità in quanto il giudice territoriale ha rappresentato, in termini del tutto coerenti con le risultanze processuali, che il BIGGAR era stato sorpreso in Minturno all’interno dell’autoveicolo sottratto in un’area privata a Sezze, con le chiavi rinvenute all’interno del veicolo in orario del tutto compatibile
con l’orario di impossessamento del veicolo e con il successivo trasferimento nel luogo in cui era poi stato sottoposto ad accertamento, tenuto altresì conto della dotazione di strumenti atti a offendere e della implausibilità delle giustificazioni fornite dall’indagato (di avere trovato il veicolo con la portiera socchiusa e le chiavi inserite nel quadro).
La motivazione si presenta scevra da vizi di contraddittorietà e illogicità evidenti e non è suscettibile di ulteriore sindacato dinanzi al giudice di legittimità.
Il secondo motivo di ricorso è parimenti inammissibile in quanto privo di confronto con la motivazione della sentenza impugnata la quale, nell’escludere il riconoscimento del fatto di lieve entità in relazione al porto di oggetti atti ad offendere, ha valorizzato il numero e la natura delle armi, nonché il contesto antidoveroso in cui il reato di porto di porto in luogo pubblico di oggetti atti all’offesa era maturato evidenziando altresì, per quanto attiene alla esclusione dell’art.131 bis cod.pen. il comportamento successivo, evidentemente elusivo del COGNOME che era evaso dalla misura degli arresti domiciliari.
Quanto al trattamento sanzionatorio, manifestamente infondata è la questione di legittimità costituzionale, sollevata in relazione agli artt. 3 e 27 della Carta costituzionale, con riferimento alla misura della pena minima prevista dal legislatore per il delitto di cui all’art.624 bis cod.pen., in quanto risulta insindacabile la scelta del legislatore, che si è estrinsecata attraverso un graduale percorso di inasprimento sanzionatorio per i reati contro il patrimonio laddove intervengano all’interno di spazi privati adibiti ad abitazione e a pertinenze della stessa, tenuto conto del legittimo esercizio della discrezionalità del legislatore manifestata senza violare il principio rieducativo della sanzione penale, per la disponibilità di una gamma di opzioni sanzionatorie idonee a garantire la personalizzazione della pena, non irragionevoli e, comunque, proporzionate alla maggiore gravità del furto commesso in tali luoghi (Sez.5, n.17954 del 18/02/2020, COGNOME, Rv.279207), a fronte di trattamento sanzionatorio che, ridotto in ragione del rito premiale e per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non può reputarsi contrastare con i principi di adeguatezza e di proporzionalità, pure sanciti a livello sovranazionale, essendo stata applicato, in concreto il trattamento sanzionatorio minimo.
Infondato è l’ultimo motivo di ricorso concernente l’applicazione di pene sostitutive in appello, ai sensi degli artt.545 bis e 598 bis, comma 1 bis cod.proc.pen. in relazione all’art.20 bis cod.pen. Se è vera la premessa del motivo del ricorso, quanto all’applicabilità nel giudizio di appello della
disciplina di favore concernente la sostituzione della pena detentiva con le sanzioni sostitutive, secondo il paradigma declinato dall’art.545 bis cod.proc.pen., introdotto dall’art.31 comma 1 del D.Lgs. 10 Ottobre 2022 n.150 (Riforma Cartabia), è altresì vero che tali sanzioni sostitutive non sono state chieste dall’imputato nel giudizio di appello, sebbene la nuova disciplina sia entrata in vigore prima della instaurazione del giudizio e le stesse non possono essere disposte ufficiosamente, o su richiesta, dal giudice di legittimità.
Invero la disciplina transitoria dettata dall’art.95 dello stesso testo normativo prescrive che “Le norme previste dal Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, se più favorevoli, si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello al momento dell’entrata in vigore del presente decreto. Il condannato a pena detentiva non superiore a quattro anni, all’esito di un procedimento pendente innanzi la Corte di cassazione all’entrata in vigore del presente decreto, può presentare istanza di applicazione di una delle pene sostitutive di cui al Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, al giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’articolo 666 del codice di procedura penale, entro trenta giorni dalla irrevocabilità della sentenza. Nel giudizio di esecuzione si applicano, in quanto compatibili, le norme del Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, e del codice di procedura penale relative alle pene sostitutive. In caso di annullamento con rinvio provvede il giudice del rinvio”. Nella specie il giudizio, alla data di entrata in vigore della novella normativa, era pendente dinanzi alla Corte di appello di Bari e quindi la COGNOME avrebbe potuto beneficiare della disciplina processuale più favorevole concernente le pene sostitutive.
5.1. Infondata risulta pertanto la doglianza sollevata sul punto dinanzi al giudice di legittimità in quanto, a prescindere dalle forme con le quali l’appellante debba esprimere il consenso a vedersi applicata la pena sostitutiva, le sanzioni sostitutive possono trovare applicazione, innanzi tutto, se il relativo tema sia stato devoluto nei motivi di appello (sez.6, n.46013 del 28/09/2023, COGNOME, Rv.285491), ovvero prospettato nel corso del giudizio. D’altro canto, è stato affermato dal giudice di legittimità, con argomenti pienamente condivisibili, che il giudice non deve necessariamente proporre all’imputato l’applicazione di una pena sostitutiva, essendo investito, al riguardo di un potere discrezionale, sicchè l’omessa formulazione subito dopo la lettura del dispositivo, dell’avviso di cui all’art.545 bis comma 1 cod.proc.pen., non determina la nullità della sentenza, risultando una implicita valutazione dell’insussistenza dei
presupposti per accedere alla misura sostitutiva (sez.2, n.43848 del 29/09/2023, D, Rv.285412-01).
In secondo luogo, va rilevato come la difesa dell’imputato non possa dolersi, in sede di ricorso per cassazione, del fatto che non gli sia stato dato l’avviso previsto dall’art.545 bis comma 1 cod.proc.pen., qualora il difensore nelle sue conclusioni o con richiesta formulata subito dopo la lettura del dispositivo, non abbia sollecitato l’esercizio da parte del giudice dei poteri di sostituzione delle pene detentive di cui alla suddetta disposizione (sez.2, n.43848 del 29/09/2023, D., Rv.285412-02). Invero in tema di pene sostitutive, ai sensi della disciplina transitoria contenuta nell’art. 95 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. riforma Cartabia), affinché il giudice di appello sia tenuto a pronunciarsi in merito all’applicabilità o meno delle nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi di cui all’art. 20-bis cod. pen., è necessaria una richiesta in tal senso dell’imputato, da formulare non necessariamente con l’atto di gravame, ma che deve comunque intervenire, al più tardi, nel corso dell’udienza di discussione in appello (sez.6, n. 33027 del 10/05/2023 NOME COGNOME Rv. 285090 01). Nella specie nessuna sollecitazione al riguardo è stata avanzata dalla difesa dell’imputata nel termine assegnato per la formulazione delle conclusioni, sulla base delle regole del processo cartolare di cui all’art.23 D.L. n.137/2020, e quindi la stessa non può essere avanzata, per la prima volta, dinanzi al giudice di legittimità.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato e il ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2024.