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Furto in abitazione: il consenso con inganno non scusa

La Corte di Cassazione conferma la condanna per furto in abitazione a carico di un soggetto che, dopo un primo ingresso lecito per vendere della merce, si era reintrodotto nell’abitazione della vittima con un pretesto. Secondo la Corte, il consenso ottenuto tramite inganno per il secondo ingresso equivale a un’introduzione illecita, integrando pienamente il reato.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto in Abitazione: Quando il Consenso è Ottenuto con l’Inganno

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di furto in abitazione: l’ingresso in una dimora privata con un consenso ottenuto tramite inganno è giuridicamente equiparabile a un’introduzione abusiva e illecita. Questo caso offre uno spunto cruciale per comprendere come l’astuzia e il raggiro possano trasformare un atto apparentemente lecito in un reato aggravato. La Corte ha chiarito che la volontà della vittima, se viziata da un pretesto fraudolento, non costituisce una valida autorizzazione all’ingresso.

I Fatti del Caso: Dalla Vendita di Frutta al Furto

Il caso esaminato riguarda un uomo condannato nei primi due gradi di giudizio per furto in abitazione. L’imputato si era inizialmente introdotto nell’abitazione della vittima con il consenso di quest’ultima per venderle delle casse di frutta. Durante questa prima visita, del tutto lecita, aveva notato la presenza di una busta contenente delle banconote in una tavernetta.

Successivamente, con il pretesto di consegnare un’ulteriore cassa di merce, l’uomo aveva chiesto e ottenuto di rientrare. Una volta dentro, aveva posto la cassa di frutta proprio sul tavolo dove si trovava il denaro, nonostante l’invito della vittima a lasciarla a terra. Approfittando di un momento di distrazione della persona offesa, che si era allontanata per prendere i soldi per il pagamento, l’imputato si era impossessato della busta con il denaro.

I Motivi del Ricorso e la Tesi Difensiva

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che non sussistessero gli elementi costitutivi del reato di furto in abitazione. Secondo il ricorrente, la vittima aveva sempre acconsentito al suo ingresso nei locali, facendo così venire meno il requisito dell’introduzione illecita, abusiva o ottenuta con l’inganno, previsto dall’art. 624-bis del codice penale. Inoltre, la difesa lamentava una mancanza di motivazione da parte dei giudici di merito riguardo alla scelta dell’imputato di consegnare una terza cassetta di frutta e sull’inattendibilità della versione alternativa dei fatti da lui proposta.

L’Analisi della Corte sul Furto in Abitazione con Inganno

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato e, in parte, inammissibile. I giudici hanno confermato l’orientamento consolidato secondo cui integra il delitto di furto in abitazione la condotta di chi si impossessa di beni mobili dopo essersi introdotto nella dimora della vittima con il suo consenso, qualora tale consenso sia stato “carpito mediante inganno”.

La Distinzione tra Accesso Autorizzato e Accesso Fraudolento

Il punto cruciale della decisione risiede nella netta distinzione tra i due momenti dell’azione. Il primo ingresso era stato liberamente autorizzato e finalizzato alla vendita. Il secondo ingresso, invece, pur avvenendo con un apparente consenso, era viziato alla radice. La richiesta di rientrare in casa è stata interpretata dai giudici come un mero pretesto, un’azione strumentale finalizzata esclusivamente alla sottrazione del denaro che l’imputato aveva precedentemente adocchiato.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ritenuto che le sentenze di merito avessero correttamente e logicamente ricostruito la vicenda. La condotta dell’imputato nel secondo accesso è stata definita “capziosa e fraudolenta”. Il gesto di poggiare la cassa sul tavolo, vicino alla busta con il denaro, e l’abbraccio finale alla vittima sono stati visti come parte di un contegno decettivo volto a distrarre la persona offesa per portare a termine il furto. Il consenso della vittima al secondo ingresso, quindi, non era libero e informato, ma frutto di un inganno orchestrato dall’imputato. Di conseguenza, tale introduzione è stata considerata illecita, facendo scattare l’applicazione della norma sul furto in abitazione.

Le Conclusioni

Con questa sentenza, la Suprema Corte ha rafforzato un principio di diritto di grande rilevanza pratica: la protezione della dimora privata non viene meno solo perché la porta viene aperta volontariamente. Se tale volontà è manipolata da un raggiro, l’inviolabilità del domicilio è comunque compromessa. L’imputato è stato quindi condannato in via definitiva, con l’obbligo di pagare le spese processuali. La decisione sottolinea che l’astuzia non paga e che il consenso viziato dall’inganno non può mai fungere da scudo contro una giusta accusa di furto in abitazione.

Entrare in casa di qualcuno con il suo permesso, ma ottenuto con una scusa, può essere considerato furto in abitazione?
Sì. Secondo la sentenza, se il consenso all’ingresso è stato ottenuto tramite un inganno o un pretesto (consenso “carpito”), l’introduzione nella dimora è considerata illecita e, se seguita dalla sottrazione di beni, integra il reato di furto in abitazione.

Qual è stato l’elemento decisivo che ha portato alla condanna in questo caso?
L’elemento decisivo è stata la distinzione tra il primo accesso, legittimo e autorizzato per la vendita di frutta, e il secondo accesso. Quest’ultimo è stato considerato un pretesto fraudolento, finalizzato unicamente a commettere il furto del denaro che l’imputato aveva notato durante la prima visita.

Perché la tesi difensiva, basata sul consenso della vittima, è stata respinta?
La tesi è stata respinta perché il consenso per il secondo ingresso non era valido. Era stato ottenuto con “modalità capziose e fraudolente”, ovvero con astuzia e inganno. Un consenso viziato non può escludere l’illiceità dell’introduzione nell’abitazione ai fini della configurazione del reato di furto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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