Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 27570 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 27570 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a Caserta il 22/09/1971
avverso la sentenza del 09/12/2024 della Corte d’appello di Napoli
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette:
la requisitoria presentata dal Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
le conclusioni rassegnate dall’avvocato NOME COGNOME che, nell’interesse della parte civil NOME COGNOME ha chiesto di dichiarare inammissibile o rigettare il ricorso e di condannare l’imputato al pagamento delle spese per il presente grado di giudizio (come da nota);
la memoria presentata dall’avvocato NOME COGNOME che, nell’interesse del ricorrente, ha ribadito la fondatezza dei motivi di impugnazione, contestando la fondatezza di quanto esposto dal Procuratore Generale, insistito per l’accoglimento di essi;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9 dicembre 2024 la Corte di appello di Napoli ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME che aveva interposto appello, per il delitto di fur in abitazione perché estinto per prescrizione, confermando agli effetti civili la pronuncia in dat 27 marzo 2019, che aveva condannato l’imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile NOME COGNOME (da liquidarsi in separata sede).
Avverso la sentenza di appello il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, articolando due motivi (di seguito esposti nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, att. cod. proc. pen.).
2.1. Con il primo motivo ha denunciato la violazione dell’art. 624-bis cod. pen. e il vizio d motivazione, in quanto:
la stessa ricostruzione del fatto compiuta dai Giudici di merito (secondo cui l’imputato, proprietario del garage già dato in locazione alla persona offesa, si sarebbe limitato a consegnare le chiavi ai nuovi conduttori e, dunque, un’impresa «che lavorava nei locali mercatini aveva preso tutto quanto vi aveva lasciato il Sagliocco»; tanto che, come esposto nella sentenza impugnata, «Nessun furto si verifico, è emerso con certezza che il Tranquillo incaricò COGNOME NOME svuotare il garage, sicché questi chiamò una ditta che lavorava al mercatino dell’usato») dimostra il difetto dell’elemento oggettivo del delitto (non essendo stato attribuito all’imputa il materiale impossessamento dei beni, di cui egli non ha mai avuto neppure per un breve !asso di tempo il dominio esclusivo ed anzi con i quali non è mai entrato in contatto); e del prescritt dolo specifico (il fine di trarne profitto) che, pur potendo essere ravvisato a prescindere da carattere patrimoniale dell’utilità perseguita, non può che avere una derivazione immediata e diretta rispetto al bene oggetto materiale della sottrazione, trasferito nella sfera di dominio d reo (e non invece discendere in maniera indiretta e mediata dalla situazione complessiva che consegue alla spoliazione), come si trarrebbe pure da quanto da ultimo chiarito da Sez. U, n. 41570 del 12/10/2023, C., Rv. 285145 – 01);
la motivazione sarebbe illogica e contraddittoria poiché incentrata sulla riferibil all’imputato della condotta (poiché egli decise di svuotare il garage, disponendo dei beni ivi depositati) ed avrebbe affermato la corretta qualificazione giuridica del fatto pur avendo escluso a chiare lettere che nella specie abbia avuto luogo un furto.
2.2. Con il secondo motivo è stato dedotto il vizio di motivazione in ordine alla riqualificazione del fatto sub specie dell’art. 392 cod. pen., richiesta in via subordinata con l’atto di appello. Difatti, il Tribunale aveva negato tale riqualificazione nel presupposto che la persona offesa avesse regolarmente corrisposto i canoni di locazione del garage all’imputato (e, dunque, quest’ultimo non avesse alcuna pretesa tutelabile in giudizio), dato questo contestato con l’atto di appello (richiamando il compendio probatorio in atti e, in particolare, le dichiarazio dell’imputato e della stessa parte civile); tuttavia, la Corte territoriale avrebbe ribadito la cor qualificazione giuridica del fatto senza argomentare in alcun modo, e dunque senza disattendere
la prospettazione difensiva (quantunque ciò fosse necessario per comprendere la finalità perseguita dall’imputato con la consegna delle chiavi ai nuovi conduttori e l’autorizzazione a svuotare il locale).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso infondato e deve essere rigettato.
1. Il primo motivo è infondato.
All’imputato è stato contestato il delitto di cui all’art. 624-bis cod. pen. perché, al fi trarne profitto, si è impossessato dei beni custoditi in un locale (adibito a garage) di cui egli era proprietario (disponendo di copia delle chiavi), ivi collocati dal suo conduttore. E la Cor territoriale ne ha affermato la responsabilità per il delitto in imputazione, così ricostruendo fatto: in particolare, la persona offesa – cessata la locazione di un appartamento di proprietà del Tranquillo – aveva mantenuto verso corrispettivo la disponibilità del garage; tuttavia, è emerso che l’imputato aveva dato ad altri in locazione il garage, che era stato svuotato dei beni i discorso, consegnando le chiavi a NOME COGNOME e NOME COGNOME; e un’impresa «che lavorava nei locali mercatini aveva preso tutto»; era stato l’imputato a decidere di svuotare il garage incaricando il COGNOME che, a sua volta, contattò l’impresa.
Tale ricostruzione non risulta oggetto di censura, non potendo essa dirsi contraddittoria sol perché nel corpo della motivazione si afferma che «nessun furto si verificò» e, tuttavia, in un contesto argomentativo in cui si è attribuito all’imputato la decisione di svuotare il garage e confermata la qualificazione giuridica del fatto, che è l’effettivo oggetto delle censure difensi (che prospettano l’erronea applicazione della legge penale al caso concreto – e, dunque, l’erronea qualificazione giuridica del fatto o la sussunzione del caso concreto sotto fattispecie astratta non un’erronea applicazione della legge in ragione di una carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, denunciabile sotto l’aspetto del vizio di motivazione: cfr. Sez. 5, 47575 del 07/10/2016, COGNOME, Rv. 268404 – 01).
1.1. Ad avviso del Collegio è corretta detta qualificazione è corretta.
Anzitutto, al fine di escludere il furto in abitazione non rileva la mancata material apprensione dei beni da parte dell’imputato. È pacifico che egli, che aveva la chiave, ne abbia disposto uti dominus impossessandosene e sottraendoli al proprietario, anche solo dando la chiave ad altri e autorizzandoli all’amotio: dunque, la condotta materiale tenuta da altri, secondo quanto disposto dal Tranquillo e impiegando la chiave del locale da lui messa a disposizione, non consente di dubitare della sua responsabilità per il fatto, di cui è concorrente morale (determinatore) e materiale (avendo messo a disposizione il mezzo necessario per accedere nel luogo in cui erano collocati i beni).
Sotto il profilo soggettivo, poi, il profitto perseguito dal ricorrente deve intendersi dir Difatti, «la nozione di profitto non può che essere calibrata sul vantaggio che l’autore intend trarre dall’impossessamento. In altri termini, il profitto rilevante, quale connotato della specif
direzione della volontà che va a svolgere un’ulteriore funzione delimitatrice rispetto al mero profilo oggettivo della condotta di sottrazione e di impossessamento, è quello che, indipendentemente dalla sua idoneità ad essere apprezzato in termini monetari, viene tratto immediatamente dalla costituzione dell’autonoma signoria sulla res e non quello che può derivare attraverso ulteriori passaggi dall’illecito. Peraltro, il profitto discende dall’impossessa quando si correli alla conservazione, all’uso (e in tal senso è significativo che il legisla configuri una species di furto correlato al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa: art. 626, primo comma, n. 1, cod. pen.), al godimento o al compimento di un qualunque atto dispositivo» (Sez. U, n. 41570 del 25/05/2023, C., Rv. 285145 – 01).
Nel caso di specie il fine di profitto deve ravvisarsi nella possibilità di disporre liberamen delle res custodite all’interno del garage, ossia deriva direttamente dall’atto dispositivo, tanto che ci si è adoperati per l’amotio da parte di altri. E il ricorso confonde tale fine di profitto (conforme a quello previsto dal tipo legale) con il diverso fine (che nell’ottica del furto rim un motivo non selezionato come dolo specifico: cfr. Sez. U, n. 41570/2023, cit.) ossia quello di esercitare un preteso diritto, di farsi ragione da sé (ipotesi che, comunque, non ricorre, come si dirà), vale a dire di liberare l’immobile, fine quest’ultimo che però non attiene alla disposizio delle res.
Dunque, al di là del contraddittorio asserto della sentenza impugnata, nella parte in cui nega che vi sia stato un furto e, subito dopo, afferma che le res furono sottratte, consentendo a terzi di prelevarle, il ricorso è infondato.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
L’art. 392 cod. pen. punisce chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo, mediante violenza sulle cose. Per costante giurisprudenza, «in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la pretesa arbitrariamente attuata dall’agente deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato» (Sez. 5, n. 2819 del 24/11/2014 – dep. 2015, COGNOME, Rv. 263589 – 01). Tuttavia, nel caso in esame risulta che l’imputato ha autorizzato i nuovi conduttori a disporre dei beni del precedente conduttore: e ciò non poteva essere il contenuto di una statuizione che avrebbe potuto ottenere azionando la propria pretesa allo sgombero dell’immobile. Il che rende del tutto irrilevante il prospettato vizio di motivazione sul fine da lui perseguito (fermo restando quant rilevato in ordine al primo motivo di ricorso).
3. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
L’imputato deve essere, altresì, condannato alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore della parte civile che appare equo determinare in complessivi euro 3.840,00, oltre
accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3,840,00, oltre
accessori di legge.
Così deciso il 09/04/2025.