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Furto in abitazione con inganno: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato che commette il reato di furto in abitazione con inganno chi si introduce nell’altrui dimora con un consenso ottenuto tramite un pretesto per poi sottrarre dei beni. Con l’ordinanza in esame, è stato dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata, la quale sosteneva che il consenso, seppur viziato, escludesse il reato. La Corte ha ribadito che il consenso carpito con l’inganno non ha valore e ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, condannando la ricorrente al pagamento delle spese e di un’ammenda.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto in Abitazione con Inganno: Quando il Consenso Non Basta

L’inviolabilità del domicilio è un principio cardine del nostro ordinamento, ma cosa succede quando l’accesso è consentito sulla base di una menzogna? La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale: il furto in abitazione con inganno si configura anche se la vittima apre volontariamente la porta, qualora il suo consenso sia stato ottenuto con un pretesto. Questo caso offre spunti cruciali sulla differenza tra un consenso valido e uno viziato da dolo.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dalla condanna di una donna, confermata in primo grado e in appello, per il reato di furto in abitazione, aggravato dall’uso della destrezza e dall’aver approfittato di circostanze tali da ostacolare la difesa della vittima. L’imputata, dopo essersi introdotta nell’abitazione della persona offesa, si era impossessata di alcuni beni.

Contro la sentenza della Corte d’Appello, la difesa ha proposto ricorso per Cassazione, basandolo su due motivi principali:
1. L’errata qualificazione giuridica del fatto: secondo la ricorrente, poiché era entrata con il consenso del proprietario, non si poteva parlare di furto in abitazione ai sensi dell’art. 624-bis del codice penale.
2. Il difetto di motivazione riguardo la sussistenza delle due aggravanti contestate.

La Decisione della Corte e il Principio sul furto in abitazione con inganno

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le argomentazioni difensive e confermando la condanna. La decisione si fonda su principi giuridici consolidati e chiarisce in modo netto i contorni del reato.

Il Consenso Viziato dall’Inganno

Il cuore della pronuncia riguarda il primo motivo. I giudici hanno definito la tesi difensiva “manifestamente infondata”. Citando un proprio precedente orientamento, la Corte ha specificato che integra il delitto di furto in abitazione “la condotta di chi si impossessi di beni mobili, sottraendoli al legittimo detentore, dopo essersi introdotto nella dimora di questi con il suo consenso carpito mediante inganno”.

In altre parole, un consenso ottenuto con un pretesto, una bugia o un raggiro non è un consenso valido. Esso è “viziato” alla fonte e, pertanto, l’introduzione nell’abitazione è illegittima ai fini della configurazione del reato. La protezione giuridica del domicilio non viene meno solo perché il malintenzionato è stato abile nel mascherare le proprie reali intenzioni.

La Genericità del Motivo sulle Aggravanti

Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto, ma per una ragione di carattere procedurale. La Corte ha ritenuto l’argomentazione “intrinsecamente generica”, in quanto non specificava in modo puntuale le ragioni di diritto e i riferimenti concreti alla sentenza impugnata che avrebbero dovuto sostenere la tesi difensiva. In ogni caso, i giudici hanno aggiunto che la Corte d’Appello aveva comunque fornito una motivazione adeguata e corretta sulla sussistenza delle aggravanti contestate.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte di Cassazione è chiara e si basa sulla tutela rafforzata del domicilio. Il legislatore, introducendo l’art. 624-bis c.p., ha voluto punire più severamente non solo l’effrazione fisica, ma qualsiasi violazione della sfera privata domestica finalizzata al furto. Il consenso che esclude il reato deve essere pieno, consapevole e libero da ogni forma di condizionamento fraudolento. Quando una persona acconsente all’ingresso di un’altra nella propria casa sulla base di false premesse (es. un finto tecnico, un sedicente operatore di beneficenza), la sua volontà è viziata. L’introduzione, dunque, avviene contro la volontà implicita del proprietario, che non avrebbe mai concesso l’accesso se avesse conosciuto il vero scopo della visita. Questa interpretazione garantisce che la norma penale protegga la sostanza della privacy domestica, e non solo la sua forma esteriore (la porta chiusa).

Le Conclusioni

La decisione in commento consolida un principio di estrema importanza pratica. Essa serve da monito: l’astuzia utilizzata per ottenere l’accesso a un’abitazione non attenua la gravità della condotta, ma la qualifica pienamente come il grave reato di furto in abitazione. Per i cittadini, ciò significa una maggiore tutela contro truffe e raggiri che mirano a violare la sicurezza delle proprie case. Per i professionisti del diritto, ribadisce la necessità di formulare ricorsi specifici e dettagliati, pena la loro inammissibilità. La protezione del domicilio prevale su qualsiasi consenso ottenuto con mezzi fraudolenti.

Se entro in una casa con il permesso del proprietario, ma ottenuto con una scusa per poi rubare, è furto in abitazione?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che integra il delitto di furto in abitazione la condotta di chi si introduce nella dimora altrui con un consenso ottenuto mediante inganno per sottrarre beni. Il consenso viziato non esclude il reato.

Perché il secondo motivo di ricorso sulle aggravanti è stato respinto?
Il motivo è stato giudicato “intrinsecamente generico”, poiché mancava di una puntuale enunciazione delle ragioni di diritto e dei riferimenti specifici alla sentenza impugnata. Un ricorso in Cassazione deve essere formulato in modo specifico e non vago.

Quali sono le conseguenze se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
La sentenza di condanna impugnata diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000,00 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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