Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 26292 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 26292 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 31/10/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Brescia, a seguito di annullamento senza rinvio disposto da Sez. 4 n. 16016 del 23 marzo 2023 con trasmissione degli atti per l’ulteriore corso, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia con la quale, il 18/12/2014, il Tribunale di Cremona, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato NOME responsabile del reato di cui agli artt. 110, 624 bis e 625 n.2 cod. pen. commesso in Crema il 15 gennaio 2013.
Ad avviso della Corte territoriale, la sentenza di primo grado aveva ritenuto la responsabilità dell’imputato sulla base di idonee valutazioni logico deduttive, posto che la commissione da parte dell’imputato del furto in abitazione contestato poteva trarsi dal rinvenimento di un cellulare, con utenza sim intestata al medesimo e contenente sue immagini, sul luogo del delitto. Del cellulare l’imputato non aveva denunciato il furto o lo smarrimento, né la sim risultava bloccata o sostituita. Inoltre, secondo l’analisi ispettiva effettuata, era risultato che il telefo era stato in uso all’imputato con traffico telefonico effettuato sino a tutto il 1 gennaio 2013, verso gli stessi numeri telefonici usuali. Dopo la presumibile ora del furto, avvenuto tra le ore 15 del 15 gennaio 2013 ed il 16 gennaio 2013, il telefono era rimasto localizzato nello stesso luogo del rinvenimento ed aveva ricevuto tentativi di chiamate dallo stesso numero, interpretabili come un tentativo di localizzare il telefono smarrito durante il furto.
L’ipotesi alternativa offerta dall’imputato rimaneva così del tutto inverosimile e sfornita di alcun elemento a supporto. Anche l’applicazione dell’art. 131 bis cod.pen., sollecitata in appello, doveva escludersi in considerazione della pena minima edittale prevista per il delitto contestato.
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione censurando la sentenza con due motivi, sintetizzati come segue.
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc.pen., vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle prove ex art. 192 cod.proc.pen., in ragione dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, che sarebbe stata fondata su unico elemento indiziario, asseritamente privo dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
In particolare, si assume che il rinvenimento del cellulare sul luogo del delitto sarebbe inidoneo a fugare il ragionevole dubbio sulla sua partecipazione al delitto.
Con il secondo motivo di ricorso, la parte deduce ex art. 606 lett. b) violazione di legge per il mancato riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131bis cod.pen. La difesa contesta l’erronea applicazione dei principi in tema di
successione delle leggi penali nel tempo rispetto al mancato riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131 bis cod.pen. per particolare tenuità del fatto, considerato che l’esclusione era stata motivata sulla base del minimo edittale di pena previsto, con ciò negandosi l’applicazione della normativa più favorevole applicabile ratione temporis.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, con la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non supera il vaglio di inammissibilità.
2.11 primo motivo è inammissibile in quanto orientato ad ottenere la rivalutazione del fatto come accertato dai giudici del merito, come tale non consentito in sede di legittimità.
In sede di legittimità, il vizio di motivazione relativo alla prova indiziaria deve basarsi su censure, che, per essere ammissibili, debbono riferirsi non al valore di ogni singolo indizio, considerato isolatamente, ma alla valutazione che degli indizi ha fatto il giudice di merito nel loro complesso e nella loro coordinazione logica. (Sez.2, n. 10652 del 17/05/1983 Rv. 161658 – 01).
Come è noto, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a sostegno della decisione, il cu apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. Pen. Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207945). Per giurisprudenza costante, il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, introdotto nell’art. 533 cod. proc. pen. dalla L. n. 46 del 2006, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza, che non può essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello.
4.La Corte di legittimità, infatti, è chiamata ad un controllo sull’esistenza di una motivazione effettiva, che deve compiere attraverso una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, ma la sua
valutazione non può mai sconfinare nel merito (fra le tante, Cass. Pen. Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, COGNOME, Rv. 270519; Cass. Pen. Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, COGNOME, Rv. 261600). Non sono pertanto deducibili, in sede di ricorso per cassazione, censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante) su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo. E sono inammissibili doglianze che sollecitano una differente comparazione dei significati da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spesso della valenza probatoria del singolo elemento (in tal senso, di recente, Cass. Pen. Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Cass. Pen. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601).
Il ricorrente non si confronta con l’iter logico-giuridico seguito dai giudici di merito per affermare la responsabilità penale dell’imputato. Nell’ipotesi in esame, il provvedimento impugnato ha reso argomentazioni, sia sotto il profilo logico che della coerenza rispetto alle risultanze probatorie, prive di anomalie. In particolare, anche attraverso il richiamo al provvedimento di primo grado, nella sentenza di appello si fa riferimento: alle circostanze oggettive che ‘legano’ l’imputato al cellulare rinvenuto; agli elementi incompatibili con la ricostruzione alternativa, ossia l’assenza di qualsiasi denuncia per smarrimento o furto; al traffico telefonico riscontrato; all’ontologica GLYPH implausibilità della tesi difensiva GLYPH prospettata (smarrimento del cellulare, di cui altro soggetto si sarebbe impossessato), priva di qualsivoglia elemento di riscontro fattuale o logico.
Non si tratta, dunque, di un unico equivoco elemento posto a base della motivazione, ma di un complesso e plurimo compendio.
Con il secondo motivo di ricorso, la difesa si duole della mancata applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen.
Il motivo è manifestamente infondato. A seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, tale disposizione opera “nei reati puniti con pena detentiva non superiore nel minimo a due anni” ovvero con pena pecuniaria, sola o congiunta alla già menzionata pena detentiva.
7.11 reato per cui si procede, non rientra oggi come in precedenza entro i limiti di pena che consentono di valutarne la non punibilità ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. Tale disciplina, sebbene più favorevole rispetto a quella previgente, in quanto di carattere sostanziale e per questo applicabile, ai sensi dell’art. 2 cod. pen.,
anche ai reati precedentemente commessi (Cass. Pen. Sez. 1, n. 30515 del 02/05/2023, COGNOME, Rv. 284975; sull’argomento: Cass. Pen. Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, COGNOME, Rv. 266593; Cass. Pen. Sez. 3, n. 20279 del 21/03/2023, COGNOME, Rv. 284617; Cass. Pen. Sez. 3, n. 18029 del 04/04/2023, COGNOME Quinglian, Rv. 284497), resta esclusa per i reati per i quali è prevista una pena nel minimo superiore ai due anni.
La fattispecie contestata (cod.pen. art. 624-bis. Furto in abitazione e furto con strappo) prevede la pena della reclusione da quattro a sette anni e con la multa da euro 927 a euro 1.500. La pena è della reclusione da cinque a dieci anni e della multa da euro 1.000 a euro 2.500 se il reato è aggravato da una o più delle circostanze previste nel primo comma dell’articolo 625 ovvero se ricorre una o più delle circostanze indicate all’articolo 61. Il terzo comma è stato modificato dall’art. 1, comma 6, lett. b), L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017, ai sensi di quanto disposto dall’art. 1, comma 95 della medesima Legge n. 103/2017. Successivamente, il medesimo comma è stato così modificato dall’art. 5, comma 1, lett. b), L. 26 aprile 2019, n. 36, a decorrere dal 18 maggio 2019.
Il testo precedente la modifica disposta dalla citata Legge n. 36/2019 era il seguente: «La pena è della reclusione da quattro a dieci anni e della multa da euro 927 a euro 2.000 se il reato è aggravato da una o più delle circostanze previste nel primo comma dell’articolo 625 ovvero se ricorre una o più delle circostanze indicate all’articolo 61.».
Il testo ancora precedente la modifica disposta dalla suddetta Legge n. 103/2017 era il seguente: «La pena è della reclusione da tre a dieci anni e della multa da euro 206 a euro 1.549 se il reato è aggravato da una o più delle circostanze previste nel primo comma dell’articolo 625 ovvero se ricorre una o più delle circostanze indicate all’articolo 6.
Nel caso di specie, la Corte di appello, dunque, correttamente ha escluso la possibilità di applicare la causa di non punibilità di cui si tratta facendo esclusivo riferimento all’entità della pena edittale (che precludeva l’applicazione del beneficio), posto che il reato è stato commesso il 15 gennaio 2013 e la pena all’epoca prevista, considerata l’aggravante contestata ex art. 625 nr. 2) cod.pen., era fissata nella misura da tre a dieci anni di reclusione: essa, all’evidenza, preclude il beneficio di cui all’art. 131 bis cod. pen.
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.
All’inammissibilità segue, a norma dell’art. 616, cod.proc.pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila
ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2024.