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Furto in abitazione: Cassazione su recidiva e prescrizione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato condannato per furto in abitazione, avvenuto nel magazzino privato di un locale pubblico. La Corte ha confermato che tale luogo rientra nella nozione di ‘privata dimora’ ai fini del reato. Inoltre, ha ribadito un importante principio in materia di recidiva qualificata, stabilendo che i limiti all’aumento di pena non incidono sul calcolo dei termini di prescrizione, che seguono parametri oggettivi. La sentenza ha quindi escluso l’estinzione del reato.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto in abitazione: Cassazione su recidiva e prescrizione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione torna ad affrontare temi cruciali del diritto penale, offrendo chiarimenti sulla nozione di privata dimora nel contesto del furto in abitazione e sul complesso rapporto tra recidiva qualificata e calcolo della prescrizione. La decisione conferma un orientamento consolidato, ribadendo principi fondamentali per la corretta qualificazione del reato e la determinazione della sua estinzione nel tempo.

I fatti di causa

Il caso riguarda un uomo condannato in primo e secondo grado per concorso in furto consumato in abitazione. L’imputato era stato ritenuto responsabile di aver sottratto un portafoglio, contenente denaro e documenti, da uno zaino riposto nel magazzino privato di un esercizio pubblico. Il furto era avvenuto nell’agosto del 2011. La Corte d’Appello aveva confermato integralmente la sentenza di primo grado, riconoscendo l’attenuante del danno di lieve entità ma bilanciandola come equivalente alla recidiva qualificata contestata.

I motivi del ricorso: dal furto in abitazione alla prescrizione

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su cinque motivi principali:

1. Mancanza di motivazione: La difesa lamentava che la Corte d’Appello si fosse limitata a richiamare la sentenza di primo grado (per relationem), senza affrontare specificamente le critiche mosse riguardo al luogo del furto, all’uso del bagno da parte del solo imputato e al momento esatto della sottrazione.
2. Inidoneità del riconoscimento fotografico: Si contestava la validità probatoria del riconoscimento fotografico avvenuto durante le indagini, sostenendo che gli album non erano mai stati mostrati ai testimoni in dibattimento, i quali si erano limitati a confermare un precedente riconoscimento generico.
3. Errata qualificazione del reato: Il ricorrente chiedeva di riqualificare il fatto da furto in abitazione (art. 624-bis c.p.) a furto semplice (art. 624 c.p.). Si sosteneva che mancasse il nesso di strumentalità tra l’introduzione nel luogo di privata dimora e la commissione del reato, in quanto l’imputato si sarebbe limitato a sfruttare un’occasione propizia (la porta del magazzino trovata aperta).
4. Diniego delle sanzioni sostitutive: Si criticava il mancato accoglimento della richiesta di sostituire la pena detentiva con i lavori di pubblica utilità, nonostante la tenuità del danno e le modalità del fatto.
5. Prescrizione del reato: La difesa, pur consapevole dell’orientamento delle Sezioni Unite, sosteneva una tesi minoritaria secondo cui il limite all’aumento di pena previsto per la recidiva (art. 99, comma 6, c.p.) dovesse applicarsi anche al calcolo dei termini di prescrizione, portando all’estinzione del reato.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo integralmente. Vediamo nel dettaglio le ragioni della decisione.

Sui primi due motivi, relativi alla motivazione e al riconoscimento fotografico, la Corte ha osservato che, sebbene la motivazione della sentenza d’appello fosse sintetica, quella di primo grado era adeguata. Inoltre, il ricorso non teneva conto di un elemento probatorio decisivo: l’imputato e la sua co-imputata erano stati fermati insieme undici giorni dopo il furto e la donna era stata trovata in possesso dei documenti della vittima. Questo dato, unito ai riconoscimenti, formava un quadro probatorio solido.

Sul terzo motivo, cuore della vicenda, la Corte ha liquidato la questione in modo netto, affermando che la qualificazione del delitto come furto in abitazione è corretta, poiché il ripostiglio, luogo in cui è avvenuto il furto, deve essere ricompreso nel concetto di luogo di privata dimora. Il ricorso su questo punto è stato giudicato meramente avversativo e basato su una ricostruzione dei fatti non consentita in sede di legittimità.

Anche il quarto motivo è stato respinto. Il diniego delle sanzioni sostitutive è stato ritenuto giustificato dalla prognosi negativa sulla futura condotta dell’imputato, basata sulla sua abitualità a commettere reati e sulla recidiva qualificata, oltre al fatto che avesse già beneficiato in passato della sospensione condizionale della pena.

Infine, riguardo alla prescrizione, la Cassazione ha aderito pienamente al principio stabilito dalle Sezioni Unite (sent. n. 30046/2022). Ha chiarito che il limite all’aumento di pena per la recidiva previsto dall’art. 99 c.p. è una regola che riguarda solo la commisurazione della sanzione e non influisce sul calcolo dei termini di prescrizione. Questi ultimi sono determinati sulla base di parametri oggettivi, generali e astratti, ai sensi degli artt. 157 e 161 c.p. Di conseguenza, tenendo conto dell’incidenza della recidiva qualificata, il reato non era ancora prescritto e si sarebbe prescritto solo nel 2028.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce due principi di notevole importanza pratica. In primo luogo, consolida l’interpretazione estensiva della nozione di “privata dimora”, includendovi anche le pertinenze come magazzini e ripostigli di esercizi pubblici, quando siano luoghi non aperti al pubblico e destinati a un’attività che si svolge al riparo da ingerenze esterne. In secondo luogo, chiude definitivamente la porta a interpretazioni alternative sul calcolo della prescrizione in presenza di recidiva, confermando che le regole sulla determinazione della pena non si estendono automaticamente a quelle sull’estinzione del reato. La decisione, pertanto, offre un chiaro monito sulla severità con cui l’ordinamento tratta il furto in abitazione e sulla limitata influenza delle norme sulla commisurazione della pena rispetto ai termini oggettivi della prescrizione.

Il magazzino di un ristorante può essere considerato ‘privata dimora’ ai fini del reato di furto in abitazione?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, un ripostiglio o magazzino privato di un esercizio pubblico, in cui si svolge un’attività che richiede riservatezza, rientra nel concetto di luogo di privata dimora. Pertanto, un furto commesso al suo interno viene qualificato come furto in abitazione ai sensi dell’art. 624-bis del codice penale.

La recidiva qualificata influisce sul calcolo dei termini di prescrizione di un reato?
No. La Corte ha confermato il principio delle Sezioni Unite secondo cui il limite all’aumento di pena previsto per la recidiva dall’art. 99, sesto comma, c.p., non si applica al calcolo del termine di prescrizione. La prescrizione si calcola sulla base di parametri oggettivi e astratti previsti dagli articoli 157 e 161 c.p., e la recidiva qualificata rileva solo come circostanza che allunga tali termini, senza essere mitigata dai limiti previsti per la pena.

Un riconoscimento fotografico effettuato solo durante le indagini preliminari ha valore di prova?
Sì, può avere valore di prova, specialmente se corroborato da altri elementi. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che il riconoscimento, unito ad altre circostanze emerse (come il ritrovamento dei documenti della vittima in possesso della co-imputata fermata insieme al ricorrente), costituisse un quadro probatorio sufficiente a fondare l’affermazione di responsabilità, anche senza una formale ricognizione in dibattimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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