Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 2760 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 2760 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BASSANO DEL GRAPPA il 15/10/1975
avverso la sentenza del 22/01/2024 della CORTE APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso riportandosi alla memoria scritta già depositata e conclude per il rigetto del ricorso.
udito il Difensore: è presente l’Avv. NOME COGNOME del Foro di TREVISO, in difesa di COGNOME NOMECOGNOME che insiste nei motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Venezia con sentenza del 22 gennaio 2024, per quanto in questa sede rileva, ha integralmente confermato la decisione, appellata dall’imputato, con cui il Tribunale di Treviso il 28 novembre 2014, all’esito del dibattimento, ha riconosciuto NOME COGNOME responsabile del reato di concorso in furto consumato in abitazione, per avere sottratto ad NOME COGNOME un portafoglio contenente denaro, documenti ed altro, prelevandolo da uno zaino riposto nel magazzino privato dell’esercizio pubblico “RAGIONE_SOCIALE“, il 15 agosto 2011, e, riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen. stimata equivalente alla recidiva qualificata contestata e ritenuta sussistente, lo ha condannato alla pena di giustizia.
Ricorre per la cassazione della sentenza l’imputato, tramite Difensore di fiducia, affidandosi a cinque motivi con i quali denuncia violazione di legge (il primo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo) e’vizio di motivazione (il secondo, i terzo ed il quarto motivo).
2.1.Con il primo motivo censura mancanza di motivazione (violazione dell’art. 125 cod. proc. pen.) in relazione all’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, essendosi la Corte di appello “accontentata”, ad avviso del ricorrente, di affermare apoditticamente la gravità, la precisione e concordanza degli indizi e a richiamare la motivazione di primo grado sul punto, benchè specificamente contestata ai punti nn. 3), 4) e 5) dell’atto di appello, ove si era eccepito il travisamento della prova quanto al luogo ove si trovava il portamonete sottratto, quanto all’utilizzo del bagno del locale da parte del solo imputato e quanto al momento temporale in cui la sottrazione sarebbe avvenuta.
Ne discenderebbe la nullità della sentenza, atteso la mancanza fisica della motivazione, non essendo legittimo il richiamo per relatíonem ove siano state mosse, come nel caso di specie, puntuali doglianze.
2.2. Con il secondo motivo lamenta ulteriore mancanza di motivazione, con violazione dell’art. 125 cod. proc. pen., e, comunque, contraddittorietà della stessa con riferimento al tema della idoneità del riconoscimento fotografico effettuato nel corso delle indagini a costituire prova della identificazione dell’imputato quale autore del fatto. Infatti, dove la Corte di appello scrive, alla p. 8, che i testi COGNOME e COGNOME, sentiti a dibattimento, hanno confermato il riconoscimento da loro precedentemente operato, commetterebbe un errore di diritto, in quanto gli album fotografici legittimamente impiegati nelle indagini non sono mai stati mostrati ai testi né sono confluiti nel fascicolo, essendosi i due
testimoni limitati a dichiarare in udienza di non conoscere gli imputati e di avere a suo tempo riconosciuto nella fotografie che erano stata a suo tempo sottoposte loro dagli investigatori due. soggetti avventori del locale, e nulla più. In conseguenza, sarebbero stati violati i seguenti principi di diritto fissati dalla S.C.:
«L’individuazione fotografica effettuata dal teste, nel giudizio, mediante le fotografie contenute nei verbali di individuazione fotografica redatti nella fase delle indagini preliminari costituisce attività del tutto legittima, in quanto fascicoli fotografici conservano una loro sostanziale autonomia e possono, essere successivamente mostrati ai testimoni chiamati ad effettuare detto riconoscimento in sede di istruttoria dibattimentale, essendo del tutto superfluo sottoporre a questi ultimi altro e diverso fascicolo fotografico; né, d’altro canto, vi è alcuna norma processuale che prescriva l’utilizzo di fascicoli fotografici diversi nelle due fasi in questione» (Sez. 5, n. 19638 del 06/04/2011, COGNOME, Rv. 250193);
«Sono inseribili nel fascicolo per il dibattimento le fotografie utilizzate per l’individuazione fotografica svolta nel corso delle indagini preliminari, mentre le dichiarazioni di individuazione possono ivi trasmigrare una volta che siano state utilizzate per le contestazioni nel corso dell’esame dibattimentale» (Sez. 5, n. 43363 del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248951);
«L’individuazione in dibattimento dell’autore del reato costituisce una prova atipica la cui affidabilità non deriva dal riconoscimento in sè, ma dalla credibilità della deposizione di chi si dica certo della identificazione» (Sez. 5, n. 28972 del 28/05/2013, COGNOME, Rv. 257393).
2.3. Con il terzo motivo la Difesa si duole promiscuamente della violazione dell’art. 624-bis cod. pen. e di difetto di motivazione, che sarebbe mancante e, comunque, erronea, anche per assenza del rapporto di strumentalità.
Rammentato che la Corte territoriale, nel disattendere il sesto motivo di appello, afferma che il ripostiglio, luogo in cui è avvenuto il furto, deve essere ricompreso nel concetto di luogo di privata dimora, si assume avere trascurato le censure difensive circa la carenza di prova del luogo ove era collocato il portafoglio e, soprattutto, avere sorvolato, come, già del resto, in precedenza il Tribunale, sulla circostanza che difetterebbe il nesso di strumentalità tra introduzione nel luogo di privata dimora e commissione del reato, essendosi invece in presenza di un mero collegamento occasionale, avendo, in realtà, l’imputato solo sfruttato una occasione propizia; non emergendo prova che lo stesso fosse già stato prima nel locale, essendo andato in bagno ed avendo trovato occasionalmente aperta la porta che era, di regola, chiusa, ne aveva approfittato. Si richiama giurisprudenza di legittimità stimata pertinente.
Il reato andrebbe riqualificato in furto semplice ex art. 624 cod. pen.
2.4. Oggetto del quarto motivo è violazione degli artt. 53, 56-bis, 58 e 59 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e, nel contempo, mancanza e contraddittorietà della motivazione quanto al diniego delle sanzioni sostitutive dei lavori di pubblica utilità. La motivazione che si rinviene al riguardo alla p. 9 della sentenza impugnata, infatti, richiama le ragioni del dinego della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., integrata dall’esito negativo della prognosi sul futuro comportamento dell’imputato, attesi i precedenti penali, peraltro datati, disattendendo – si stima, erroneamente ed illegittimamente – gli elementi che la Difesa aveva evidenziato nel corso dell’udienza del 22 gennaio 2024, ossia le modalità del fatto, i.e. sfruttamento di un’occasione propizia (porta lasciata aperta), la tenuità del danno (soli 65,00 euro) e la condotta di vita successiva, elementi che avrebbero consentito e, anzi, imposto, la sostituzione della pena detentiva con i lavori di pubblica utilità.
2.5. Con l’ultimo motivo l’imputato denuncia la violazione della disciplina in tema di prescrizione, poiché, preso atto che è stata riconosciuta la recidiva reiterata specifica infraquinquennale, pur consapevole del principio di diritto fissato da Sez. U, n. 30046 del 23/06/2022, COGNOME, Rv. 283328 («In tema di recidiva, il limite all’aumento di pena previsto dall’art. 99, sesto comma, cod. pen. non rileva in ordine alla qualificazione della recidiva, prevista dal secondo e dal quarto comma del predetto articolo, come circostanza ad effetto speciale, né influisce sui termini di prescrizione, determinati ai sensi degli artt. 157 e 161 cod. pen., come modificati dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, il cui computo è da effettuarsi secondo parametri oggettivi, generali e astratti»), la Difesa ritiene di aderire, tuttavia, in quanto stimata maggiormente persuasiva, alla interpretazione che si era affermata in precedenza, ossia che il tetto alla commisurazione della pena posto dall’art. 99, comma 6, cod. pen. si applica anche al computo del termine di prescrizione.
Il reato sarebbe, dunque, estinto per prescrizione; e lo sarebbe, e a maggior ragione, ove, come si auspica, il fatto fosse riqualificato in furto semplice.
Si chiede, dunque, l’annullamento della sentenza impugnata.
E’ stata chiesto tempestivamente dalla Difesa dell’imputato (1’11 settembre 2024) la trattazione orale del processo.
Il P.G. di legittimità nella requisitoria scritta del 3 novembre 2024 ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato e deve essere rigettato, per le seguenti ragioni.
2.Primo e secondo motivo (rispettivamente: mancanza di motivazione sull’affermazione di penale responsabilità, si sarebbe richiamata solo la sentenza di primo grado e si sarebbero ignorate le censure svolte in appello; e ritenuta illegittimità della valutazione di una ricognizione fotografica non svolta in dibattimento) vanno affrontati insieme, per una migliore intelligenza del ricorso.
Seppure, in effetti, la parte della motivazione dedicata all’an della responsabilità (p. 8) è stringata ed è incentrata nel richiamo alla sentenza di primo grado, quest’ultima, in effetti, alle pp. 4 e 5, motiva adeguatamente.
In ogni caso, trascura, il ricorrente di confrontarsi con una emergenza istruttoria, valorizzata dal Tribunale insieme ai riconoscimenti fotografici: l’essere stati cioè gli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME controllati dalla p.g., mentre erano insieme in auto undici giorni dopo il furto ed essere stata in tale occasione la donna (nei cui confronti è stata dichiarato non doversi procedere per prescrizione in appello) trovata nel possesso materiale della carta d’identità della carta di identità e della tessera sanitaria del derubato, NOME COGNOME.
Quanto al terzo motivo (con il quale si lamenta la mancanza del nesso di strumentalità, in quanto l’imputato non si sarebbe introdotto in un luogo privato per rubare, essendo già dentro il locale e, andato in bagno, si sarebbe solo limitato a “sfruttare” un’occasione propizia), la risposta che si rinviene alla p. 8, particolarmente stringata, è la seguente: «delitto la cui qualificazione è corretta, atteso che il ripostiglio, luogo in cui è avvenuto il furto, deve essere ricompreso quale luogo di privata dimora». Il ricorso, però, risulta sul punto meramente avversativo, apodittico e costruito in fatto.
In relazione al quarto motivo (in tema di diniego delle sanzioni sostitutive), alle pp. 8-9 della decisione si fa succintamente riferimento alla prognosi negativa circa la futura condotta dell’imputato, prognosi basata sulla abitualità della commissione di reati da parte di imputato nei cui confronti è stata riconosciuta ed applicata la recidiva qualificata. Dalla lettura della sentenze di primo grado emerge anche (p. 6) che COGNOME ha già beneficiato per due volte della sospensione condizionale della pena, circostanza questa con cui l’impugnazione non si confronta.
Quanto all’ultimo motivo, la Difesa dichiara di aderire convintamente ad un orientamento in passato in effetti presente ma che è stato ormai definitivamente superato dalla pronunzia di Sez. U, n. 30046 del 23/06/2022, COGNOME, Rv. 283328, cui il Collegio aderisce, secondo la quale «In tema di recidiva, il limite all’aumento di pena previsto dall’art. 99, sesto comma, cod. pen. non rileva in ordine alla qualificazione della recidiva, prevista dal secondo e dal quarto comma del predetto articolo, come circostanza ad effetto speciale, né influisce sui termini di prescrizione, determinati ai sensi degli artt. 157 e 161 cod. pen., come modificati dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, il cui computo è da effettuarsi secondo parametri oggettivi, generali e astratti». La prescrizione, dunque, nel caso di specie maturerà, tenuto conto della incidenza nel caso di specie della recidiva qualificata, il 15 aprile 2028, conformemente a quanto indicato nella scheda ex art. 165-bis cod. proc. pen.
Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, per legge (art. 616 cod. proc. pen.), al pagamento dele spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20/11/2024.