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Furto in abitazione: Cassazione su pena e reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6779/2024, si è pronunciata su un caso di furto in abitazione commesso da un soggetto che aveva le chiavi dell’immobile. La Corte ha stabilito che il possesso delle chiavi non esclude il reato, poiché l’introduzione è illegittima se finalizzata a commettere un furto. Inoltre, ha annullato la sentenza d’appello riguardo al calcolo della pena per il reato continuato, affermando che il giudice deve sempre motivare l’aumento di pena per ogni singolo reato satellite, anche se la pena base è già favorevole all’imputato, senza che ciò violi il divieto di ‘reformatio in peius’.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto in abitazione: il possesso delle chiavi non esclude il reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6779 del 2024, ha affrontato un interessante caso di furto in abitazione, fornendo chiarimenti cruciali sulla configurabilità del reato e sulle corrette modalità di calcolo della pena in caso di reato continuato. La decisione sottolinea che anche chi ha legittimamente accesso a un’abitazione può commettere questo grave delitto se vi si introduce con lo scopo di rubare. Analizziamo insieme i dettagli della vicenda e i principi di diritto affermati dalla Suprema Corte.

I fatti del processo

Il caso riguarda un individuo condannato in primo e secondo grado per aver commesso due furti, unificati dal vincolo della continuazione. Nello specifico, l’imputato si era introdotto nell’appartamento di un vicino sottraendo una console per videogiochi e, in un’altra occasione, nella cantina di un altro condomino, da cui aveva rubato due telefoni cellulari e una cover.

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali:
1. Errata qualificazione giuridica: sosteneva che non si potesse parlare di furto in abitazione (art. 624-bis c.p.) perché, nel caso del furto in appartamento, egli era già in possesso delle chiavi. Per il furto in cantina, invece, riteneva irrilevante la circostanza che il locale fosse una pertinenza dell’abitazione.
2. Pena eccessiva: lamentava che l’aumento di pena applicato per il secondo furto, in regime di continuazione, fosse sproporzionato e che la Corte d’Appello non avesse motivato adeguatamente il rigetto della sua richiesta di riduzione.

L’analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato distintamente i due motivi di ricorso, arrivando a conclusioni diverse per ciascuno di essi. Ha dichiarato inammissibile il primo motivo, relativo alla qualificazione del reato, ma ha accolto il secondo, concernente il trattamento sanzionatorio.

Sulla qualificazione del furto in abitazione

La Corte ha rigettato con fermezza la tesi difensiva. Ha chiarito che il reato di furto in abitazione si configura con l’introduzione illegittima in un luogo di privata dimora. Il concetto di ‘introduzione’ non è escluso dal semplice possesso delle chiavi. Anche se una persona ha il permesso di accedere a un immobile, l’accesso diventa illecito nel momento in cui avviene con la finalità specifica di commettere un reato.

In altre parole, la concessione in uso di un appartamento non autorizza il proprietario o chiunque altro abbia le chiavi a violare la sfera privata dell’utilizzatore. La possibilità materiale di entrare non equivale alla liceità giuridica di farlo per sottrarre beni. Questo principio vale anche per le pertinenze, come la cantina, che sono considerate parte integrante della privata dimora, indipendentemente dal fatto che siano chiuse a chiave o meno.

Sul calcolo della pena per il reato continuato

Su questo punto, la Cassazione ha dato ragione al ricorrente. La Corte d’Appello aveva respinto la richiesta di ridurre l’aumento di pena per il secondo furto, sostenendo che la pena complessiva fosse già bassa. Questo perché il giudice di primo grado aveva applicato una pena base illegale, in quanto inferiore al minimo previsto dalla legge. Secondo i giudici d’appello, questa ‘pena di favore’ non poteva essere ulteriormente ridotta.

La Cassazione ha censurato questo ragionamento, affermando che viola le regole sul calcolo della pena per il reato continuato (art. 81 c.p.) e il principio del divieto di reformatio in peius. Quest’ultimo impedisce di peggiorare la pena dell’imputato quando è solo lui ad aver impugnato la sentenza. Tuttavia, tale principio non può paralizzare il diritto dell’imputato a ottenere una corretta applicazione delle norme sulla continuazione.

Le motivazioni della decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri. Per quanto riguarda la configurabilità del furto in abitazione, la giurisprudenza è consolidata nel definire ‘privata dimora’ qualsiasi luogo in cui si svolgono atti della vita privata, protetto da interferenze esterne. L’introduzione con finalità predatorie costituisce una violazione di questa sfera di riservatezza, rendendo irrilevante il possesso delle chiavi.

Per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, la Corte ha ribadito un principio fondamentale stabilito dalle Sezioni Unite: nel determinare la pena per il reato continuato, il giudice deve individuare il reato più grave, fissare la pena base e poi motivare distintamente l’aumento per ciascun reato satellite. Questo permette di verificare la proporzionalità della pena e il rispetto dei limiti di legge. La Corte d’Appello, rifiutandosi di esaminare il motivo, ha eluso il suo obbligo motivazionale, rendendo la sua decisione illegittima.

Conclusioni

La sentenza in esame offre due importanti lezioni. La prima è che la tutela della privata dimora è molto ampia e il reato di furto in abitazione può essere commesso anche da chi, come un condomino o un proprietario, avrebbe accesso legale ai locali, ma se ne serve per scopi illeciti. La seconda è un monito per i giudici di merito: il calcolo della pena nel reato continuato deve essere trasparente e motivato per ogni singolo aumento, e il divieto di reformatio in peius non può essere usato come scudo per evitare di correggere un trattamento sanzionatorio ritenuto eccessivo dall’imputato. La Cassazione ha quindi annullato la sentenza limitatamente a questo punto, rinviando a un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio sul calcolo della pena.

Commettere un furto usando le chiavi dell’appartamento esclude il reato di furto in abitazione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il reato di furto in abitazione si configura con l’introduzione illegittima finalizzata a commettere un furto. Il possesso delle chiavi non rende lecita un’introduzione avvenuta per scopi criminali, poiché viola la sfera di godimento esclusivo di chi occupa l’immobile.

Un giudice d’appello può rifiutarsi di ricalcolare la pena per un reato continuato se la pena base è già molto bassa?
No. La Corte ha stabilito che il giudice dell’impugnazione ha l’obbligo di esaminare il motivo d’appello relativo alla quantificazione dell’aumento di pena per i reati satellite. Il fatto che la pena base sia già favorevole all’imputato non esenta il giudice dal motivare la congruità dell’aumento applicato, nel rispetto del diritto dell’imputato a una corretta applicazione della legge.

Una cantina non chiusa a chiave è considerata parte della privata dimora ai fini del furto in abitazione?
Sì. La sentenza ribadisce che le pertinenze di un’abitazione, come le cantine, sono considerate parte della privata dimora. Il fatto che il locale non sia chiuso a chiave è irrilevante ai fini della configurabilità del reato, in quanto si tratta comunque di un’area privata in uso alla persona offesa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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