Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 6779 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 6779 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a AOSTA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/04/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME AVV_NOTAIO che ha concluso chiedendo accogliersi il primo motivo, limitatamente alla non configurabilità dell’art.624 bis cod. pen., con assorbimento del secondo motivo ed annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Torino, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia emessa il 17 giugno 2012 dal Tribunale di Aosta nei confronti di NOME COGNOME, in relazione al reato di cui all’art. 81 e 624 bis cod. pen., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso ed al fine di trarne profitto, si introduceva nell’abitazione o comunque nelle pertinenze dei vicini sottraendo alcuni oggetti. I particolare, si introduceva nell’abitazione di NOME COGNOME, sottraendo una consolle X Box con due joystik, e nell’abitazione di NOME COGNOME, sottraendo due telefoni cellulari ed una cover in finto legno, con la recidiva reiterata e specifica. In Nus (AO) tra settembre dicembre 2020.
Avverso tale sentenza, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione deducendo due motivi. Con il primo motivo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto quale furto in abitazion particolare, il ricorrente evidenzia come la sentenza si sia limitata a motivare che il ai danni di NOME COGNOME sia avvenuto all’interno di una pertinenza dell’immobile, quindi, di un luogo destinato per sua natura a privata dimora; mentre, il furto ai danni NOME COGNOME nell’appartamento di cui l’imputato aveva le chiavi (come risultava a pag. 2 della sentenza di primo grado), senza farsi carico di analizzare l’elemento dell “introduzione nell’immobile”, richiesto dalla norma incriminatrice, ed addirittura precisan l’irrilevanza della circostanza che il locale pertinenziale fosse anche nella disponib dell’imputato.
Con un secondo e subordinato motivo, il ricorrente impugna la sentenza per violazione di legge e mancanza di motivazione, in ordine alla richiesta di ridurre ad equità la sanzio inflitta per l’errata valutazione della continuazione tra i due reati contestati e l’ecce della pena irrogata per il furto ai danni di una delle due persone offese.
Il ricorrente evidenzia che la condanna, in primo e secondo grado, aveva avuto riguardo al capo dell’imputazione relativo ai due furti sopra indicati. Mentre, per il p furto, il Tribunale aveva valutato di non doversi discostare dal minimo edittale, quale pen base, per il secondo, se ne era discostato in maniera eccessiva, applicando una continuazione di ben un anno di reclusione, ex art. 81, secondo comma, cod. pen.
A fronte del motivo di appello, la Corte territoriale, senza motivare sul punto, si er limitata ad osservare che la pena complessiva era di per sé bassa, avendo il primo giudice operato, sulla pena edittale del primo dei reati in continuazione, una diminuzione non operabile. Così facendo, era stato violato l’art. 597, comma 4, cod. proc. pen., non potendo l’eventuale pena illegale di favore essere emendata in assenza di impugnazione
del pubblico ministero, senza violare il principio del divieto di reformatio in peius, più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità.
Il Procuratore generale, ha depositato requisitoria scritta, con la quale ha chiesto accogliersi il primo motivo, limitatamente alla non configurabilità dell’art.624 bis cod pen., dovendosi qualificare i fatti in considerazione rispettivamente delle previsioni dell’art. 61 n. 11) e 625 n. 2) cod. pen, entrambi perseguibili d’ufficio, con assorbimento del secondo motivo, con annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Il difensore dell’imputato ha depositato memoria con la quale ha insistito per l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo non supera il vaglio di ammissibilità.
1.1. La sentenza impugnata non ha esaminato la circostanza, in fatto, che la qualità di condomino rivestita dall’imputato, rispetto all’immobile nel quale si trovavan rispettivamente, le abitazioni e la pertinenza delle parti offese, impedisse la configurabi della introduzione, nel medesimo immobile, con la specifica finalità di commettere i furt contestati. Ciò in quanto, tale profilo non aveva formato oggetto di motivo d’appello.
1.2. La Corte di legittimità (Sez. 1, n. 8276 del 02/02/1995, COGNOME; Sez. 2, n. 48308 del 15/10/2004, COGNOME) ha da tempo consolidato il principio secondo il quale il secondo comma dell’art. 609, ultima parte, del vigente codice di rito conferisce alla Corte cassazione la facoltà di decidere le questioni non dedotte nei motivi di appello, qualora relativa deducibilità sia divenuta possibile solo successivamente. Tale facoltà si riferisce nuove questioni di diritto che sorgano per “ius superveniens” ovvero per circostanze – non emerse prima – che abbiano un’indubbia valenza di legittimità sul piano della congruità della motivazione. Tale regola trova il suo fondamento nella necessità di evitare che possa sempre essere dedotto un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso non sottoposto al controllo della Corte di Appello, in quant non devoluto con l’impugnazione (Sez.4, n.10611 del 4/12/2012, dep. 2013, Bonaffini, Rv.25663101).
1.3. Dalla lettura di tali disposizioni, in combinato disposto con l’art.609, comma cod. proc. pen., che limita la cognizione di questa Corte ai motivi di ricorso consentiti evince l’inammissibilità delle censure che non siano state, pur potendolo essere, sottoposte al giudice di appello, la cui pronuncia sarà inevitabilmente carente con riguardo ad esse (Sez. 5, n.28514 del 23/04/2013, COGNOME NOME, Rv. 25557701; Sez.2, n.40240 del 22/11/2006, COGNOME, Rv.23550401; Sez.1, n.2176 del 20/12/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv.P_IVA).
Va peraltro osservato che la qualificazione giuridica operata dalla se impugnata non viola il parametro normativo denunciato dal ricorrente. Integra il reato di cui all’art. 624-bis cod. pen. la condotta di colui che si introduce all’interno dell’appartamento o di un’area privata di pertinenza dell’abitazione detenuta, concessa in uso ovvero locata dallo stesso autore del fatto (Sez. 5, n. 8540 del 9/11/2018 dep. 2019, COGNOME Santana n.m.; Sez. 2, n. 22909 del 22/5/2012, COGNOME, Rv. 253191 -01).
In particolare, la prima pronuncia ha ribadito che, per privata dimora, rilevante ai sen dell’art. 624-bis cod.pen., si intende ogni luogo in cui vengono svolti, in maniera no occasionale, atti della vita privata e che non siano aperti al pubblico nè accessibili a t senza il consenso del titolare (S.U., n. 31345 del 23 marzo 2017, COGNOME,Rv. 270076). Si è quindi specificato che la concessione in uso di un appartamento, anche se per un periodo limitato di tempo, non esime il proprietario, il possessore o il detentore dall’obblig astenersi da ogni attività che costituisca ingerenza nella sfera di godimento dell’usuario resa esclusiva per quest’ultimo – dall’accordo intercorso. Tanto, anche laddove il concedente abbia conservato, come d’uso, una copia delle chiavi dell’immobile, posto che la possibilità materiale (di ingerenza) non equivale alla sua liceità giuridica. Dunque, anch nell’ipotesi in cui l’imputato fosse stato in possesso delle chiavi dell’appartamen (circostanza indicata dal primo giudice in sentenza) dal quale sottrasse l’X Box, non per questo può dirsi carente l’elemento della “introduzione nell’immobile “, in uso ad alt condomino con la finalità predatoria. Lo stesso può ritenersi quanto al furto dei due cellula che si trovavano all’interno di scatole a loro volta collocate in valigia riposta nella can non chiusa a chiave, ma in uso alla parte offesa, anche se tale locale si trovi accanto al altre cantine in uso a ciascun condomino.
Non pare rilevante, data la diversità della concreta fattispecie, quanto affermato dalla Corte di legittimità, con Sez. 4, del 30/01/2023, n. 3716, COGNOME, Rv. 284090 – 01, richiamata dal Procuratore generale nelle proprie conclusioni scritte. Nel caso esaminato da tale precedente, l’agente aveva posto in essere la condotta sfruttando la relazione di ospitalità con la vittima, dunque una fattispecie diversa da quella in esame.
4. Il secondo motivo è fondato.
Nel caso in esame, la richiesta di riduzione del trattamento sanzionatorio determinato dal primo giudice, per effetto della continuazione, oggetto del motivo d’appello, non è stata esaminata dalla Corte territoriale in ragione della affermata impossibilità di applicare ulteriori diminuzioni su una pena quantificata, in modo illegale in misura inferiore al minimo edittale.
Il trattamento di favore applicato, non modificabile a causa della mancata impugnazione del pubblico ministero, secondo la Corte di appello, non avrebbe potuto
essere ulteriormente mitigato con la applicazione di un più contenuto aumento per la continuazione.
Sul punto, la decisione ha fatto distorta ed errata applicazione del principio secondo il quale il giudice dell’impugnazione, in mancanza di uno specifico motivo di gravame da parte del pubblico ministero, non può modificare la sentenza che abbia inflitto una pena illegale di maggior favore per il reo (Sez. 2, n. 30198 del 10/09/2020 COGNOME, Rv. 279905 – 01; Sez. 3, n. 34139 del 07/06/2018 Xhixha, Rv. 273677-01).
Il divieto di reformatio in peius, che tale principio tutela, non può paralizzare la pretesa dell’imputato di ottenere che il giudice applichi correttamente l’art. 81, secondo comma, cod.pen., oggetto del motivo d’appello.
Nel caso di specie, la Corte di appello ha esplicitamente affermato di non poter incidere sul trattamento sanzionatorio e, così facendo, ha ritenuto di essere esentata da qualsiasi obbligo motivazionale in ordine all’applicazione della continuazione, avendo l’imputato avuto una pena pari al minimo edittale per un solo reato (anni quattro ed euro 927 di multa, diminuiti di un terzo per il rito), con ciò godendo di una riduzione di pena che n gli sarebbe spettata.
Come hanno di recente statuito le Sezioni unite di questa Corte, però, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato p grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, anche se il grado di impegno motivazional richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e ta consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, an in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti da e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269).
Se ne è conseguentemente fatto derivare il principio secondo il quale il giudice di merito, nel calcolare l’incremento sanzionatorio in modo distinto per ciascuno dei reat satellite, non è tenuto a rendere una motivazione specifica e dettagliata qualora individu aumenti di esigua entità, essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 c.p. (Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, Spampinato, Rv. 284005), tanto più quando i reati posti in continuazione siano integrati da condott criminose seriali ed omogenee (Sez. 5, n. 32511 del 14/10/2020, COGNOME, Rv. 279770).
Al di fuori di tali ipotesi, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltr individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivar l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite.
In definitiva, accolto il secondo motivo e dichiarato inammissibile il primo, la sentenza impugnata va annullata quanto al motivo accolto con rinvio a diversa Sezi della Corte d’appello di Torino, che determinerà il trattamento sanzionatorio relativo alla continuazione tra i reati contestati sub capo 1) dell’originaria imputazione per cui è stata pronunciata condanna secondo il principio indicato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra Sezione della Corte di appello di Torino. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Visto l’art. 624 c.p.p., dichiara la irrevocabilità sentenza in ordine all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato.
Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2024
Il consigliere estensore
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NOME .Presidente