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Furto in abitazione: casa disabitata è reato?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per furto in abitazione. La Corte chiarisce che il reato sussiste anche se l’immobile è temporaneamente disabitato, poiché ciò che conta è la sua destinazione a luogo di privata dimora. Vengono inoltre respinte le censure sulla validità della prova delle impronte digitali e sulla corretta applicazione delle circostanze aggravanti e attenuanti.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto in Abitazione: Anche una Casa Vuota è Tutelata dalla Legge

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27068/2024, torna a pronunciarsi su un tema di grande interesse pratico: i requisiti del reato di furto in abitazione. La pronuncia offre importanti chiarimenti sulla nozione di ‘privata dimora’ e sulla valutazione delle prove, confermando un orientamento consolidato che estende la tutela penale anche agli immobili non abitati in modo continuativo. Analizziamo insieme la decisione per comprenderne la portata.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine dalla condanna di un individuo per il reato di furto, aggravato, commesso all’interno di un’abitazione. La condanna, emessa in primo grado dal Tribunale di Castrovillari, era stata confermata dalla Corte d’Appello di Catanzaro. L’imputato, non rassegnandosi alla decisione, proponeva ricorso per Cassazione, affidandolo a quattro distinti motivi volti a smontare l’impianto accusatorio e la correttezza della qualificazione giuridica del fatto.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputato ha sollevato diverse censure, tra cui:

1. Sulla prova: Si contestava la validità della prova basata sulle impronte digitali, sostenendo che fosse necessario il sequestro dei tubi sui quali erano state rinvenute.
2. Sulla qualificazione del reato: Si argomentava che non si potesse configurare il furto in abitazione poiché l’immobile era disabitato al momento della commissione del fatto.
3. Sull’aggravante: Si negava la sussistenza dell’aggravante di aver agito in circostanze di luogo tali da ostacolare la pubblica o privata difesa, nonostante la casa fosse isolata e poco frequentata.
4. Sulle attenuanti: Si lamentava il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le doglianze e fornendo motivazioni dettagliate per ciascuna di esse.

La nozione di abitazione nel furto qualificato

Il punto centrale della decisione riguarda la qualificazione del reato. La Corte ribadisce, richiamando un’importante sentenza delle Sezioni Unite (n. 31345/2017), che per integrare il reato di furto in abitazione è irrilevante che l’immobile sia disabitato al momento del delitto. Ciò che conta è la sua destinazione. Si considera ‘luogo di privata dimora’ qualsiasi spazio in cui una persona svolga, anche in modo non continuativo, atti della propria vita privata. Rientrano in questa categoria, quindi, non solo la casa di residenza, ma anche le seconde case, le case vacanza o gli immobili in attesa di essere abitati, poiché mantengono la loro funzione di tutela della sfera privata dell’individuo.

La validità della prova e la valutazione delle aggravanti

La Corte ha ritenuto manifestamente infondati anche gli altri motivi. Per quanto riguarda le impronte digitali, i giudici hanno chiarito che l’elemento di prova non è l’oggetto su cui si trova l’impronta (il ‘reperto’), bensì l’attività di rilievo scientifico eseguita dalla polizia giudiziaria. Se tale attività non è contestata, la prova è pienamente valida.

In merito all’aggravante, la Cassazione ha confermato la corretta valutazione della Corte d’Appello. L’ubicazione isolata dell’abitazione e la sua scarsa frequentazione da parte del proprietario, residente altrove, sono state considerate circostanze che oggettivamente facilitavano l’azione criminale, rendendo più difficile la difesa del patrimonio. Il fatto che il furto sia stato scoperto per caso non smentisce questa conclusione.

Infine, sul diniego delle attenuanti generiche, la Corte ha sottolineato che il giudice di merito ha adeguatamente motivato la sua decisione, basandosi su specifici indici personali e fattuali, e non è tenuto a esaminare ogni singolo elemento favorevole all’imputato, potendosi concentrare su quelli ritenuti decisivi.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida principi giuridici di notevole importanza. In primo luogo, rafforza la tutela penale dei luoghi di privata dimora, interpretando in senso ampio la nozione di ‘abitazione’ ai fini del reato di furto. Questa interpretazione estende la protezione a tutti quegli immobili che, pur non essendo abitati stabilmente, sono destinati allo svolgimento di attività legate alla vita privata. In secondo luogo, chiarisce aspetti procedurali rilevanti, come la piena validità probatoria dei rilievi dattiloscopici a prescindere dal sequestro del supporto materiale. La decisione, nel suo complesso, conferma un approccio rigoroso nella repressione dei reati contro il patrimonio, bilanciando le esigenze di difesa sociale con il corretto inquadramento giuridico dei fatti.

Si può essere condannati per furto in abitazione se la casa è disabitata al momento del reato?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, è irrilevante che l’abitazione sia disabitata al momento del furto. Ciò che conta è che il luogo sia destinato, anche non occasionalmente, allo svolgimento di atti della vita privata del proprietario, come nel caso di una seconda casa o di una casa per le vacanze.

Perché la prova delle impronte digitali è stata ritenuta valida anche senza il sequestro dell’oggetto su cui sono state trovate?
La Corte ha specificato che, ai fini probatori, l’elemento cruciale è l’attività di rilievo delle impronte effettuata dalla polizia giudiziaria. Se tale attività è svolta correttamente e non viene contestata, costituisce una prova valida, indipendentemente dal fatto che l’oggetto fisico (il reperto) su cui si trovava l’impronta venga sequestrato o meno.

Quando si applica l’aggravante di aver approfittato di circostanze che ostacolano la difesa?
Nel caso esaminato, l’aggravante è stata applicata perché l’abitazione era poco frequentata dal proprietario (che risiedeva altrove) e si trovava in un luogo isolato. Queste circostanze, secondo la Corte, hanno oggettivamente facilitato l’azione predatoria, rendendo più difficile la difesa pubblica o privata, e quindi giustificano l’applicazione dell’aggravante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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