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Furto in abitazione: casa disabitata è reato?

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per furto in abitazione a carico di tre individui, nonostante il furto fosse avvenuto in un immobile disabitato e in cattivo stato di manutenzione. La Corte ha stabilito che una casa, anche se necessita di lavori e non è abitata stabilmente, resta una ‘privata dimora’ se non è completamente abbandonata dal proprietario. Elementi come la conservazione della residenza anagrafica, la presenza di beni di valore al suo interno e la pronta denuncia del proprietario sono stati considerati decisivi per escludere lo stato di abbandono e confermare l’aggravante.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto in abitazione: vale anche se la casa è disabitata?

Il reato di furto in abitazione è una delle fattispecie che destano maggiore allarme sociale, data la sua capacità di violare non solo il patrimonio, ma anche l’intimità e la sicurezza personale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento su un aspetto cruciale: quando un immobile può essere considerato ‘privata dimora’ ai fini della legge? La questione è sorta in un caso di furto commesso in un palazzo nobiliare disabitato e in cattivo stato di conservazione. Approfondiamo la decisione per capire i principi applicati.

I Fatti del Caso

Tre individui venivano condannati in primo e secondo grado per una serie di furti, consumati e tentati, all’interno di un appartamento situato in un prestigioso palazzo nobiliare a Palermo. La particolarità della vicenda risiedeva nelle condizioni dell’immobile: disabitato da tempo, con evidenti problemi strutturali, come un tetto parzialmente pericolante, e privo di sistemi di allarme o videosorveglianza funzionanti.

I Motivi del Ricorso

La difesa degli imputati ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo un punto fondamentale: l’appartamento non poteva essere qualificato come ‘privata dimora’ ai sensi dell’art. 624-bis del codice penale. Secondo i ricorrenti, lo stato di abbandono e degrado dell’immobile lo escludeva dal campo di applicazione della norma incriminatrice, che mira a proteggere i luoghi in cui si svolge la vita privata. A loro avviso, si sarebbe dovuto configurare al massimo un furto semplice, con una pena significativamente inferiore.

La nozione giuridica di privata dimora e il furto in abitazione

Per comprendere la decisione della Corte, è necessario partire dal concetto di ‘privata dimora’. L’art. 624-bis c.p. punisce più severamente chi si introduce in un edificio o in un altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora. La giurisprudenza, incluse le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza ‘D’Amico’), ha specificato che la nozione di privata dimora comprende tutti i luoghi, non aperti al pubblico, in cui si compiono atti della vita privata, anche se in modo non continuativo. L’elemento chiave non è la residenza anagrafica o l’uso costante, ma la destinazione del luogo a ospitare la sfera più intima dell’individuo. Di conseguenza, anche una casa di vacanza, uno studio professionale o una cantina possono essere considerati privata dimora.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato i ricorsi, confermando la condanna per furto in abitazione. I giudici hanno chiarito che un immobile in cattivo stato di manutenzione non è automaticamente un immobile ‘abbandonato’. La distinzione è sottile ma decisiva. Nel caso di specie, diversi elementi concreti dimostravano che il proprietario non aveva affatto rinunciato al suo diritto sull’immobile. In primo luogo, la persona offesa, pur vivendo a Venezia, aveva mantenuto la propria residenza anagrafica nell’appartamento svaligiato. In secondo luogo, all’interno dell’abitazione erano custoditi beni mobili di grande valore, indicando un legame affettivo e patrimoniale ancora vivo. Infine, il proprietario si era immediatamente attivato dopo aver appreso dei furti, recandosi sul posto e sporgendo denuncia. Questi fattori, nel loro complesso, hanno convinto la Corte che l’immobile, sebbene necessitasse di importanti lavori di ristrutturazione, conservava pienamente la sua natura di privata dimora, in quanto proiezione spaziale della persona e della sua vita privata.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio di diritto di grande rilevanza pratica: la tutela penale rafforzata prevista per il furto in abitazione non viene meno solo perché un’abitazione è temporaneamente disabitata o in condizioni precarie. Ciò che conta è il legame effettivo tra il proprietario e il luogo, un legame che si manifesta attraverso atti concreti che escludono la volontà di abbandonare definitivamente l’immobile. La decisione della Cassazione, quindi, rafforza la protezione dell’intimità domiciliare, intesa in senso ampio, contro le intrusioni illecite, a prescindere dallo stato di conservazione dell’edificio.

Un furto in una casa disabitata e in cattivo stato può essere considerato furto in abitazione?
Sì, può esserlo. Secondo la Corte di Cassazione, lo stato di cattiva manutenzione o il fatto che un immobile non sia stabilmente abitato non sono sufficienti a escludere la sua qualifica di ‘privata dimora’, a condizione che non sia di fatto abbandonato dal proprietario.

Quali elementi dimostrano che una casa non è ‘abbandonata’ ai fini del reato di furto in abitazione?
Elementi decisivi sono il mantenimento della residenza anagrafica del proprietario, la presenza di beni mobili di valore all’interno dell’immobile e l’immediata attivazione del proprietario (ad esempio, con una denuncia) a seguito della scoperta del furto. Questi fattori indicano un persistente legame con la proprietà.

La mancanza di un sistema di allarme o di videosorveglianza incide sulla qualificazione di un immobile come privata dimora?
No, la Corte ha chiarito che la presenza o meno di sistemi di sicurezza come allarmi o videosorveglianza non è un fattore rilevante per determinare se un’abitazione sia o meno da considerarsi abbandonata e, di conseguenza, se possa essere qualificata come privata dimora.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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