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Furto in abitazione: anche l’androne è privata dimora

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per furto in abitazione, commesso nell’androne di un palazzo. La Corte ha stabilito che il ricorso non può limitarsi a ripetere le stesse argomentazioni già respinte in appello, ma deve confrontarsi criticamente con la motivazione della sentenza impugnata, che aveva correttamente qualificato l’androne come pertinenza di una privata dimora, configurando così il reato di furto in abitazione.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Furto in abitazione: quando anche l’androne condominiale è tutelato

Il concetto di furto in abitazione evoca immediatamente l’immagine di un’intrusione all’interno di un appartamento. Ma cosa succede se il furto avviene nelle aree comuni di un edificio, come l’androne? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sulla questione, non tanto nel merito, quanto sui requisiti formali che un ricorso deve avere per essere esaminato. La decisione conferma indirettamente un principio consolidato: anche l’androne è considerato parte della privata dimora, e il furto lì commesso integra il più grave reato previsto dall’art. 624-bis del codice penale.

I fatti del caso

Il caso trae origine dalla condanna di un individuo per il reato di furto pluriaggravato in abitazione. La condanna, emessa in primo grado e confermata dalla Corte d’Appello, riguardava un furto avvenuto all’interno dell’androne di un edificio. L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo un’erronea applicazione della legge. Secondo la tesi difensiva, un androne non potrebbe essere qualificato come “privata dimora” o sua pertinenza, e di conseguenza il reato dovrebbe essere derubricato a furto semplice.

L’inammissibilità del ricorso per genericità

La Corte di Cassazione, tuttavia, non è entrata nel merito della qualificazione giuridica, dichiarando il ricorso inammissibile. Il motivo è puramente procedurale ma di fondamentale importanza. I giudici hanno osservato che l’atto di ricorso si limitava a riproporre pedissequamente le stesse argomentazioni già presentate e respinte dalla Corte d’Appello. Quest’ultima, nella sua sentenza, aveva ampiamente e logicamente motivato le ragioni per cui l’androne di un edificio costituisce una pertinenza di un luogo di privata dimora, rientrando così nell’ambito di tutela della norma sul furto in abitazione.

Le motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha ribadito un principio cardine del sistema delle impugnazioni: la funzione tipica di un ricorso è quella della critica argomentata contro il provvedimento che si contesta. Non è sufficiente ripetere le proprie tesi, ma è necessario un confronto puntuale e specifico con le argomentazioni della sentenza impugnata, indicando le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che ne dimostrerebbero l’erroneità. Un ricorso che, come nel caso di specie, ignora la motivazione del giudice precedente e si limita a reiterare le doglianze già esaminate, perde la sua funzione critica e si destina inevitabilmente all’inammissibilità. In pratica, l’appello o il ricorso devono essere un dialogo con la decisione precedente, non un monologo che la ignora.

Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Sebbene la decisione sia di natura processuale, essa offre due importanti spunti di riflessione. In primo luogo, consolida l’orientamento giurisprudenziale che interpreta in senso ampio il concetto di “privata dimora”, estendendolo a tutte le pertinenze (come androni, cantine, cortili) dove si svolgono atti della vita privata, garantendo così una tutela penale rafforzata. In secondo luogo, essa funge da monito per gli operatori del diritto sull’importanza di redigere atti di impugnazione specifici e argomentati. Un ricorso generico o ripetitivo non solo è inefficace, ma comporta anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, come avvenuto nel caso in esame.

Un furto commesso nell’androne di un palazzo è considerato furto in abitazione?
Sì. Secondo quanto affermato dalla Corte d’Appello e non contestato specificamente in Cassazione, l’androne di un edificio rappresenta una pertinenza di un luogo di privata dimora. Di conseguenza, un furto commesso in tale spazio integra il reato di furto in abitazione ai sensi dell’art. 624-bis del codice penale.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già presentate nel precedente grado di giudizio, senza confrontarsi criticamente e in modo specifico con le motivazioni con cui la Corte d’Appello le aveva respinte. Un ricorso deve criticare la sentenza impugnata, non ignorarla.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo la definitiva conferma della condanna, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000,00 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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