Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 8377 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 8377 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 09/07/1968
avverso la sentenza del 02/05/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
lette la memoria contenente motivo aggiunto e le conclusioni depositate dal difensore dell’imputato, avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’Appello di Bologna confermava la condanna del ricorrente per il delitto di furto in abitazione aggravato e per la contravvenzione di cui all’art. 707 cod. pen., riducendo solo il trattamento sanzionatorio.
Avverso la richiamata pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, con il difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME articolando cinque motivi d’impugnazione, di seguito ripercorsi nei limiti previsti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo è dedotta erronea qualificazione dei fatti sotto l’egida del delitto di cui all’art. 624-bis cod. pen. poiché non potrebbe rientrare nella nozione di privata dimora, come chiarito nella giurisprudenza di legittimità, un immobile, come quello in cui si è verificato il fatto, che, pur non abbandonato, non sia abitato, se non occasionalmente.
2.2. Con il secondo motivo, rispetto al capo b) dell’imputazione, il ricorrente denuncia erronea applicazione della legge penale quanto alla ritenuta sussistenza della contravvenzione ex art. 707 cod. pen. e correlato vizio di assenza e contraddittorietà della motivazione.
A riguardo deduce che la contravvenzione avrebbe dovuto essere assorbita nella fattispecie più grave del delitto di cui all’art. 624-bis, terzo comma, cod. pen., aggravato ai sensi dell’art. 625, primo comma, n. 2, del medesimo codice per il taglio del lucchetto della bicicletta, atteso che la tornese della quale era stato trovato in possesso era stata utilizzata per la commissione del predetto fatto di reato nell’immediatezza dello stesso.
2.3. Mediante il terzo motivo l’imputato lamenta, in subordine, la mancata declaratoria di improcedibilità per intervenuta prescrizione del reato contravvenzionale di cui al capo b), stante il decorso del relativo termine nella data del 24 giugno 2023,
2.4. Con il quarto motivo lo COGNOME deduce mancata motivazione circa la possibilità di concessione di misure alternative alla detenzione, sia perché le argomentazioni sottese alla decisione sono limitate al solo lavoro di pubblica
utilità sia per palese travisamento quanto alle evocate moltissime condanne per delitti contro il patrimonio, trattandosi – in realtà – di quattro condanne che, i quanto commesse in un ristretto arco temporale, sono avvinte dal vincolo della continuazione.
2.5. Il ricorrente censura, infine, l’omessa concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 4), cod. pen. e il conseguente giudizio di prevalenza.
In particolare, lamenta che detta circostanza è stata denegata pur avendo la stessa Corte territoriale definito il fatto “non grave” e connotato da “minima lesività e pericolosità”.
Assume, inoltre, che le circostanze attenuanti avrebbero dovuto essere considerate prevalenti, come ben possibile secondo quanto affermato dalla sentenza n. 141 del 2023 della Corte Costituzionale, rispetto alla riteneuta circostanza aggravante della recidiva.
In data 13 gennaio 2025 il procuratore del ricorrente ha depositato motivo aggiunto corredato di documentazione in relazione alla possibilità di concessione di misure sostitutive alla detenzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1! primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Come hanno chiarito le Sezioni Unite della Corte di cassazione nella sentenza “COGNOME“, evocata dalla stessa difesa del ricorrente, infatti, rientrano nella nozione di privata dimora i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare (Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, COGNOME, Rv. 270076 – 01).
La questione posta dal ricorrente è quella, in sostanza, del se possa considerarsi o meno privata dimora un immobile abitato, essendo adibito a luogo di villeggiatura dei proprietari, solo in determinati periodi dell’anno.
La risposta deve essere affermativa, poiché non è necessario, in forza dei principi sanciti dalle Sezioni Unite, che vi sia un rapporto stabile della persona con l’immobile nel senso che deve dimorarvi senza alcuna interruzione, ben potendosi detto rapporto essere limitato ad alcuni periodi dell’anno come avviene per le cc.dd. “seconde case”.
La maggiore offensività della condotta che l’introduzione, ai fini della commissione del furto, in un luogo di privata dimora può determinare per il
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pericolo di una progressione criminosa può culminare nella violenza nei confronti delle persone ivi presenti non è suscettibile di attenuarsi, infatti, per la sola circostanza che queste persone siano in loco solo in determinati periodi e non in altri.
E peraltro, pur se ai fini della configurabilità dei diverso reato previsto dall’art. 614 cod. pen., questa Corte ha chiarito che integra la nozione di privata dimora l’immobile adibito a casa di vacanza abitato soltanto in determinati periodi dell’anno (Sez. 5, n. 37875 del 04/07/2019, COGNOME, Rv. 277637 – 01).
Inoltre, come è stato congruamente valorizzato dai giudici di merito, quando si è verificato il fatto la casa era evidentemente abitata, come attestato dalla presenza delle biciclette nel cortile all’aperto.
Il secondo motivo è inammissibile in quanto l’imputato, pur essendo stato condannato già in primo grado per entrambi i reati ascritti, solo con il ricorso per cassazione ha denunciato il mancato assorbimento del reato contravvenzionale in quello più grave di cui all’art. 624-bis cod. pen.
3. Il terzo motivo si presenta manifestamente infondato.
A riguardo, occorre considerare che il reato contravvenzionale di cui al capo b) è stato commesso il 24 giugno 2018 sicché rientra ratione temporis nell’ambito di quelli per i quali è stata demandata alle Sezioni Unite la soluzione del contrasto concernente se per i reati commessi dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019 dovesse trovare applicazione, rispetto alla prescrizione, la disciplina di cui alla legge 23 giugno 2017, n. 103 (c.d. legge Orlando) ovvero quella di cui alla legge 27 settembre 2021, n. 134.
Ora, come risulta dalla relativa notizia di decisione n. 19/2024, le Sezioni Unite hanno ritenuto che, per i fatti di reato commessi tra il 3 agosto 2017 e il 31 dicembre 2019 trovi applicazione la disciplina sulla sospensione della prescrizione prevista dall’art. 159, secondo comma, cod. pen., prima della novella normativa operata dalla citata legge n. 134 del 2021.
La pronuncia si è posta, dunque, nel solco dei precedenti che avevano giustificato tale posizione ponendo in rilievo che quello indicato costituisce regime più favorevole, sia rispetto a quello previsto dall’art. 1, comma 1, lett. e), n. 1, legge 9 gennaio 2019, n. 3 (cd. riforma Bonafede), che, vigente dal 1 gennaio 2020, ha riformulato l’art. 159, comma secondo, cod. pen., prevedendo la sospensione del corso della prescrizione dalla pronunzia della sentenza di primo grado o dal decreto penale di condanna fino all’esecutività della sentenza o all’irrevocabilità del decreto, sia rispetto a quello delineato dall’art. 2 legge 27 settembre 2021, n. 134, abrogativo dell’art. 159, secondo comma, cit., che ha
introdotto l’art. 161-bis cod. pen., secondo cui il decorso della prescrizione cessa con la sentenza di primo grado, nonché l’art. 344-bis cod. proc. pen., a tenore del quale, per i reati commessi dal 10 gennaio 2020, la mancata definizione del giudizio di appello e di quello di cassazione entro i termini rispettivamente indicati costituisce causa di improcedibilità dell’azione penale (ex aliis, Sez. 4, n. 26294 del 12/06/2024, Rosso, Rv. 286653 – 01).
Deriva da quanto sinora osservato, avendo riguardo alla data del commesso reato – che, come evidenziato, è quella del 24 giugno 2018 – che quando è stata pronunciata la sentenza impugnata lo stesso non era prescritto.
Infatti, al termine massimo di cinque anni di prescrizione previsto per i reati contravvenzionali, deve essere aggiunto, avendo riguardo all’art. 159, secondo comma, cod. pen., come modificato dalla richiamata legge n. 103 del 2017, c.d. Orlando, l’ulteriore periodo di sospensione della prescrizione dal termine previsto dall’art. 544 cod. proc. pen. per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di primo grado sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza che definisce il grado successivo di giudizio, per un tempo comunque non superiore a un anno e sei mesi.
Ciò comporta, nella situazione considerata, che la contravvenzione commessa dalla ricorrente, che la sentenza di primo grado è stata pronunciata il 16 dicembre 2021, prevedendo un termine di giorni trenta per il deposito della motivazione, che la prescrizione è maturata solo nella data del 9 ottobre 2024, successiva alla pronuncia, il 2 maggio 2024, della decisione impugnata.
E il motivo deve ritenersi manifestamente infondato poiché per un reato contravvenzionale commesso il 24 giugno 2018 si poneva, al più (anche prima dell’intervento delle Sezioni Unite), un problema di applicazione tra il regime introdotto dalla c.d. legge Orlano a quella c.d. COGNOME, il che non avrebbe inciso sulla sorte del motivo proposto.
4. Il quarto motivo è, parimenti, manifestamente infondato.
Infatti, quanto al primo aspetto lamentato dalla difesa del ricorrente, la valutazione della Corte territoriale rispetto alla richiesta di misure alternative alla detenzione è stata generale, atteso che, all’osservazione per la quale alcuna documentazione era stata depositata dall’imputato rispetto all’istanza relativa al lavoro di pubblica utilità, si accompagna una valutazione più generale correlata ai molteplici precedenti dello stesso e alla violazione in due occasioni del foglio di via obbligatoria che rendono lo COGNOME soggetto, a giudizio della decisione impugnata, del tutto inaffidabile e incline a trasgredire le prescrizioni così da rendere eventuali sanzioni diverse da quella applicata prive di effetti rieducativi e deterrenti, e con elevato rischio di non essere ottemperate.
Talché il vaglio è stato più ampio e ha riguardato qualsivoglia misura alternativa alla detenzione.
D’altra parte, la valutazione operata è stata congrua poiché si fonda su un prognosi correlata non tanto all’esistenza di precedenti penali specifici a ca (argomentazione in parte qua attinta in via esclusiva dalle censure d ricorrente), bensì su quella della violazione da parte dell’imputato di prescriz in precedenza imposte, come il foglio dì via obbligatorio.
Donde la manifesta infondatezza anche del correlato motivo aggiunto.
Il quinto motivo è inammissibile, atteso che la questione afferente l denegata concessione della circostanza dì cui all’art. 62, comma primo, n. 4 cod. pen. non è stata sollevata in appello, così come quella afferente prevalenza delle circostanze attenuanti sull’aggravante della recidiva.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen., al pagamento delle spese del procedimento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, atteso che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione non consente di ritenere i ricorrente medesimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell ammende.
Così deciso in Roma il 29 gennaio 2025