Furto Energia Elettrica: Condannato Anche Chi Sfrutta l’Allaccio Abusivo Altrui
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di furto energia elettrica: si è responsabili del reato anche se non si è materialmente realizzato l’allaccio abusivo, ma ci si è limitati a sfruttarlo consapevolmente. Questa decisione chiarisce che la consapevolezza di utilizzare energia senza pagarla, tramite un collegamento illecito, è sufficiente per integrare il reato di furto aggravato.
Il Caso in Esame
La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un imputato da parte del Tribunale e, successivamente, della Corte di Appello di Milano, per il reato di furto aggravato di energia elettrica. L’imputato aveva beneficiato di un allaccio abusivo alla rete di distribuzione, ottenendo elettricità senza aver mai ricevuto né pagato alcuna bolletta. Per contestare la condanna, l’imputato ha presentato ricorso in Cassazione.
I Motivi del Ricorso e il Furto Energia Elettrica
Il ricorrente ha basato la sua difesa su due argomentazioni principali:
1. L’estraneità alla realizzazione dell’allaccio: Sosteneva di non essere responsabile, poiché l’allaccio abusivo era stato realizzato da terzi. A suo dire, il semplice utilizzo non poteva configurare il reato di furto.
2. La qualificazione dell’aggravante: Contestava l’aggravante della destinazione a pubblica utilità, affermando che tale caratteristica riguardasse il contatore e non l’energia elettrica in sé.
Questi motivi miravano a smontare l’impianto accusatorio, sostenendo una mancanza di coinvolgimento diretto e un’errata applicazione delle norme penali.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha rigettato completamente le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile.
In primo luogo, i giudici hanno definito il primo motivo manifestamente infondato e generico. Hanno richiamato un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui risponde del reato di furto di energia elettrica, aggravato dalla violenza sulle cose, chiunque si avvalga consapevolmente di un allaccio abusivo realizzato da altri. La Corte di merito aveva già accertato che il collegamento era palesemente illegale e che l’imputato non aveva mai pagato né ricevuto fatture, elementi che dimostravano la sua piena consapevolezza della provenienza illecita dell’energia.
Anche il secondo motivo è stato ritenuto inammissibile per genericità. La Corte ha precisato che l’aggravante della destinazione a pubblica utilità si applica correttamente all’energia elettrica, un bene essenziale per la collettività, e non al contatore, che è solo uno strumento di misurazione.
Le Conclusioni
Dichiarando inammissibile il ricorso, la Cassazione ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende. La decisione conferma un principio di diritto cruciale: nel contesto del furto energia elettrica, la responsabilità penale non è limitata a chi esegue materialmente la manomissione, ma si estende a chiunque, con consapevolezza, ne tragga vantaggio. Questo principio ha importanti implicazioni pratiche, poiché sottolinea che non è possibile invocare l’ignoranza o l’estraneità all’atto materiale quando si usufruisce di un servizio essenziale senza pagarne il corrispettivo e in assenza di un regolare contratto di fornitura.
Si risponde del reato di furto di energia elettrica anche se l’allaccio abusivo è stato realizzato da un’altra persona?
Sì. Secondo la Corte, risponde del reato di furto di energia elettrica colui che si sia avvalso consapevolmente dell’allaccio abusivo alla rete di distribuzione, anche se questo è stato realizzato materialmente da terzi.
Quali elementi hanno considerato i giudici per confermare che l’allaccio fosse abusivo e l’imputato consapevole?
I giudici hanno evidenziato che l’allaccio era abusivo e che il ricorrente (e il coimputato) non avevano mai pagato, né tantomeno ricevuto, le bollette per l’energia elettrica consumata, dimostrando così la consapevolezza dell’illecito.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, come in questo caso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 47171 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 47171 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 27/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CASSANO ALLO IONIO il 27/07/1978
avverso la sentenza del 02/07/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 21 settembre 2023 che aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di furto aggravato e l’aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia, nonché al risarcimento del danno in favore della parte civile;
che il primo motivo del ricorso dell’imputato è manifestamente infondato, atteso che risponde del reato di furto di energia elettrica, aggravato dalla violenza sulle cose, colui che si sia avvalso consapevolmente dell’allaccio abusivo alla rete di distribuzione realizzato da terzi (Sez. 5, n. 24592 del 30/04/2021, COGNOME, Rv. 281440), ed è anche generico, non confrontandosi esso con le ragioni poste a base della decisione dalla Corte di merito, che ha evidenziato che l’allaccio era abusivo e il ricorrente ed il coimputato non hanno mai pagato o finanche ricevuto le bollette per pagare l’energia elettrica, trattandosi di allaccio abusivo;
che il secondo motivo di ricorso è inammissibile per genericità, in quanto la destinazione a pubblica utilità non riguarda il contatore, ma l’energia elettrica;
che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 27/11/2024.