Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 24693 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 24693 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nata a Palermo il 24/02/1964
avverso la sentenza del 20/12/2024 della Corte d’appello di Palermo.
Lette le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni dell’Avv. COGNOME per la ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza oggi al vaglio della Corte è stata deliberata il 20 dicembre 2024 dalla Corte di appello di Palermo, che ha confermato la decisione del Tribunale di Palermo che aveva condannato NOME COGNOME per il reato di furto, aggravato dalla violenza sulle cose e dall’aver agito su cose destinate a pubblico servizio, fatto commesso il 26 febbraio 2014.
L’imputata ha presentato ricorso avverso detta decisione, con il ministero del proprio difensore di fiducia.
2.1. Il primo motivo di ricorso non deduce esplicitamente dei vizi, ma eccepisce la prescrizione del reato.
2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla decisione del Tribunale di respingere l’eccezione di nullità del decreto di giudizio immediato, in ragione delle genericità del capo di imputazione, all’interno del quale non era annotata anche l’esatta ubicazione dell’immobile.
2.3. Il terzo motivo di ricorso denunzia mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. A questo riguardo, il ricorso ricorda che il procedimento era sorto a seguito di una verifica dei tecnici dell’ENEL, che avevano accertato la presenza di due cavi che alimentavano la palazzina dell’imputata. Tuttavia si legge nel ricorso – i Giudici di merito non avevano considerato le dichiarazioni della nuora della prevenuta, che aveva chiarito che la casa della suocera era autonoma, benché confinante e collocata all’interno della stessa area chiusa da un cancello, rispetto al condominio ove era avvenuto l’accertamento, il che non forniva alcuna certezza circa il fatto che anche la casa della Perino fruisse dell’allaccio abusivo. Il ricorso prosegue ricordando le deposizioni del tecnico ENEL e dell’agente di polizia giudiziaria che partecipò al controllo, i quali non avrebbero fornito certezze circa l’alimentazione dell’appartamento dell’imputata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato e va, pertanto, respinto.
Il primo motivo di ricorso – che eccepisce la prescrizione del reato oltre ad essere del tutto generico perché non individua quale sia il termine considerato e quale la sua scadenza, è manifestamente infondato in quanto all’imputata sono state riconosciute entrambe le circostanze aggravanti contestate (per avere agito con violenza sulle cose e su bene destinato a pubblico servizio), donde il termine prescrizionale da riguardare, commisurato al massimo edittale del furto pluriaggravato, è quello di dieci anni, che si dilatano a dodici anni e sei mesi per le interruzioni ex art. 161 cod. pen. Ne consegue che la prescrizione del reato, commesso il 26 febbraio 2014, maturerà il 26 agosto 2026, salve eventuali sospensioni che la porterebbero anche oltre.
Il secondo motivo di ricorso – che lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla decisione della Corte di appello di respingere l’eccezione di nullità del decreto di giudizio immediato per genericità del capo di imputazione
è infondato in quanto il capo di imputazione contiene gli elementi essenziali (bene sottratto, ambito temporale e spaziale di verificazione del reato) e gli elementi circostanziali dell’addebito, rappresentati dalle modalità di attuazione della condotta, realizzata con violenza sulle cose e su bene destinato a pubblico servizio. Non solo: l’imputata ha avuto accesso agli atti processuali e, dunque, ha potuto contestualizzare l’addebito e comprendere che l’imputazione si riferiva all’accertamento Enel, a cui era stata presente, avvenuto presso la sua abitazione il 26 febbraio 2014. Induce a questa conclusione la giurisprudenza sedimentata di questa Corte – in parte richiamata dalla sentenza impugnata secondo la quale, in tema di citazione a giudizio, il fatto deve ritenersi enunciato in forma chiara e precisa quando i suoi elementi strutturali e sostanziali sono descritti in modo tale da consentire un completo contraddittorio e il pieno esercizio del diritto di difesa da parte dell’imputato, che viene a conoscenza della contestazione non solo per il tramite del capo d’imputazione, ma anche attraverso gli atti che fanno parte del fascicolo processuale (Sez. 3, n. 9314 del 16/11/2023, dep. 2024, P, Rv. 286023 – 01; Sez. 2, n. 36438 del 21/07/2015, COGNOME e altri, Rv. 264772 – 01; Sez. 2, n. 2741 del 11/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265825 – 01), senza che sia necessaria una descrizione dei fatti assolutamente dettagliata (Sez. 2, n. 16817 del 27/03/2008, COGNOME e altri, Rv. 239758 – 01).
Il terzo motivo di ricorso – che deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di attribuibilità soggettiva del fatto all’imputata è inammissibile siccome versato in fatto e reiterativo di censure adeguatamente vagliate dalla Corte territoriale, che ha indicato i risultati probatori sulla cui base si era accertato che l’allaccio abusivo alimentava l’abitazione della Perino. In particolare – si legge nella decisione avversata – le testimonianze del verificatore Enel e dell’agente di polizia giudiziaria avevano posto in rilievo che il distacco della derivazione abusiva comportava la cessazione della fornitura dell’energia alla casa dell’imputata, che quest’ultima non aveva sottoscritto alcun contratto di somministrazione e che risiedeva nell’immobile abusivamente alimentato. Tali dati hanno consentito alla Corte di appello – con motivazione immune da vizi logici – di reputare irrilevante la circostanza, emersa dall’istruttoria e agitata nel ricorso, che la casa della prevenuta è un’unità indipendente rispetto al condominio cui pure si riferiva la verifica.
Alla luce di queste considerazioni, il ricorso va, dunque, respinto, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 10/06/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME