Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 34499 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 34499 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI CATANIA nel procedimento a carico dì: COGNOME NOME NOME NOME TAORMINA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/02/2024 del TRIBUNALE di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME; che ha concluso chiedendo
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
udito il difensore
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 13.2.2024 il Tribunale di Catania ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di COGNOME NOME in ordine al reato di furto di energia elettrica, a lei ascritto, di cui agli artt. 624, 625 n. 2 cod. pen., rilevando l’azione penale non dovesse essere proseguita per difetto della condizione di procedibilità.
Avverso la suindicata sentenza, ricorre per cassazione, il Sostituto Procuratore generale presso la Corte di appello di Catania, deducendo, con l’unico motivo articolato, l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale Evidenzia che, a differenza di quanto si assume nel provvedimento impugNOME, il reato per cui si procede deve ritenersi tuttora procedibile d’ufficio pure a front delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 150/22 al regime di procedibilità dei delitti furto. Ed invero, la procedibilità a querela disposta dalla novella legislativa è esclus ove la persona offesa sia incapace per età o per infermità oppure qualora ricorra taluna delle circostanze ex art. 625 cod. pen. numeri 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede, e 7-bis.
Nel caso di specie l’aggravante di cui all’art. 625 n. 7 è in relazione al fatto che condotta fu commessa su un bene, come l’energia elettrica, destiNOME al servizio pubblico; essa, come emerge dalla sentenza impugnata, fu contestata dal P.M. di udienza, e pertanto il reato rimane perseguibile d’ufficio. Il Tribunale ha ritenuto erroneamente, che tale modifica fosse tardiva.
Il ricorso è stato trattato – ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d. I. n. 137 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n.176, che continua ad applicarsi, in virtù del comma secondo dell’art. 94 del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 11, comma 7, d. I. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito con modificazioni dalla I. del 23.2.2024 n. 18, per le impugnazioni proposte sino al 30.6.2024 – senza l’intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto:
il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo annullarsi la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Catania per l’ulteriore corso .
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato.
Ed invero, fermo il petitum del ricorso, l’esame della causa petendi, enunciata nei motivi relativi alla piena efficacia della contestazione suppletiva volta a far mutare regime dì procedibilità, presuppone necessariamente la soluzione della questione ad essa preliminare e pregiudiziale vale a dire quella della sussistenza di una “contestazione” della aggravante già insita negli elementi fattuali descritti ne decreto di citazione a giudizio.
1.1. Sulla possibilità di ravvisare, nella specie, una contestazione in fatto, l giurisprudenza di legittimità si è divisa.
Sez. 4 n. 48529 del 07/11/2023, COGNOME, Rv. 285422 ha affermato che può ritenersi legittimamente contestata in fatto, e ritenuta in sentenza senza la necessità di una specifica ed espressa formulazione, la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod, pen., in quanto l’energia elettrica fornita, su cui ricade la condotta di sottrazione, è un bene funzionalmente destiNOME a un pubblico servizio (conf. tra le sentenze massimate Sez. 5, n. 2505 del 29/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285844).
In senso difforme si sono pronunciate, tra le massimate, Sez. 4, n. 46859 del 26/10/2023, COGNOME, Rv. 285465; Sez. 5, n. 3741 del 22/01/2024, COGNOME, Rv. 285878, che hanno escluso la possibilità di ritenere contestata in fatto l’aggravante in parola attraverso il mero riferimento all’oggetto del furto (energia elettric senza alcuna esplicitazione circa la destinazione a pubblico servizio.
1.2. Il Collegio ritiene di ispirarsi ai principi enucleati dalla pronuncia de Sezioni Unite COGNOME (n. 24906 del 18/04/2019), tracciando, anzitutto, l’alveo di rilevanza del problema.
Come si legge nella motivazione della citata sentenza COGNOME la contestazione delle circostanze aggravanti si muove su un piano concettualmente diverso da quella della c.d. “definizione giuridica” del fatto storico originariamente contestato E ciò per quanto attiene sia alle vicende processuali (dall’esercizio dell’azione penale sino al giudicato) sia al rapporto tra potere del giudice e potere del pubblico ministero.
L’art. 417, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. (con una disposizione che sì trova replicata in tutte le norme relative all’atto di esercizio dell’azione penale; v motivazione Sez. U COGNOME cit.) stabilisce che la richiesta di rinvio a giudizio contiene l’enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, con l’indicazione dei relativi articoli di legge.
Circa i successivi sviluppi dibattimentalì, le modifiche dell’imputazione sono disciplinate dagli artt. 516 e ss. cod. proc. pen.: in particolare l’art. 516 si occu della diversità del fatto nella sua dimensione storica; l’art. 517 di nuovi rea
concorrenti o di nuove circostanze aggravanti; l’art. 518 di un nuovo reato che si aggiunge a quello contestato e a quest’ultimo non connesso ex art. 12, lett. b), cod, proc. pen.
L’art. 521 cod. proc. pen. (sotto la rubrica “correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza”) riconosce al giudice il potere di dare al fatto «una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione» (comma 1) e prevede che il giudice disponga con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero se accerta che il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio ovvero nella contestazione effettuata a norma degli articoli 516, 517 e 518, comma 2, cod, proc. pen.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, tale disposizione non abilita, invece, il giudice alla restituzione degli atti al pubblico ministero allorché dagli emerga la sussistenza di una circostanza aggravante non contestata, poiché – per scelta del legislatore processuale (al di là di quella che può essere la loro sistemazione concettuale all’interno del diritto sostanziale) – le circostanze sono trattate come elementi esterni al fatto che non ne determinano la diversità (Sez. 4 n. 44973 del 13/10/2021, COGNOME, Rv. 282246; Sez. 1, n. 25882 del 12/05/2015, COGNOME, Rv. 263941; Sez. 4, n. 31446 del 25/06/2008, COGNOME, Rv. 240896 – 01).
1.3.È bene rimarcare che, in prospettiva difensiva, la sussistenza o meno di circostanze aggravanti (e quindi la relativa contestazione) assume significativa valenza sotto plurimi profili (cfr. anche Corte Cost. n. 139 del 2015) che non sono limitati all’effetto diretto e tipico delle aggravanti, vale dire l’aumento di pena.
Talune aggravanti (ad esempio quelle c.d. ad effetto speciale), incidendo sulla entità della pena, indirettamente producono effetti sul computo dei termini di prescrizione, su quelli di durata delle misure cautelari, sul riparto di competenza.
Alcune aggravanti, come quella del furto qui in esame, determinano il regime di procedibilità (di ufficio o a querela di parte) del reato.
I diritti difensivi e il potere di controllo del giudice sono stati rafforzati dal n. 150 del 2022 che appronta una serie di tutele – ulteriori rispetto a quelle già previste dal codice di rito o introdotte per effetto degli interventi additivi della C Costituzionale (sentenze n. 265 del 1994, n. 237 del 2012, n. 273 del 2014, n. 139 del 2015, n. 206 del 2017, n. 146 del 2022)- lungo tutte le fasi del processo, allo scopo di garantire, per un verso, la costante verifica della corrispondenza tra imputazione, da un lato, e fatto e circostanze oggetto del processo, dall’altro e, per altro verso, la tutela dei diritti dell’imputato al contraddittorio e alla difesa (cf 421, commi 1 e 1-bis in udienza preliminare dopo gli accertamenti sulla costituzione delle parti; art. 423, commi 1, 1-bis e 1-ter, per le modifiche dell’imputazione i
udienza preliminare; il nuovo art. 554-bis dedicato all’udienza di comparizione predibattimentale nei processi a citazione diretta e in particolare i commi 5 e 6 della norma appena citata; le modifiche introdotte nell’art. 519 sui aì “diritti” delle pa nei casi di contestazioni suppletive).
1.4. La sentenza delle Sezioni Unite COGNOME (sentenza n. 24906 del 18/04/2019, cit.) ha accreditato quell’orientamento della giurisprudenza di legittimità favorevole alla c.d. contestazione “in fatto” delle aggravanti.
La pronuncia chiarisce che per «contestazione in fatto» si intende una formulazione dell’imputazione che non sia espressa nell’enunciazione letterale della fattispecie circostanziale o nell’indicazione della specifica norma di legge, ma che riporti in maniera sufficientemente chiara e precisa gli elementi di fatto integranti la circostanza, così da permettere all’imputato di averne piena consapevolezza e di espletare adeguatamente la propria difesa.
A ulteriore precisazione, le Sezioni Unite aggiungono che «l’ammissibilità della contestazione in fatto delle circostanze aggravanti deve essere verificata rispetto alle caratteristiche delle singole fattispecie circostanziali e, in particolare, natura degli elementi costitutivi delle stesse. Questo aspetto, infatti, determina inevitabilmente il livello di precisione e determinatezza che rende l’indicazione di tali elementi, nell’imputazione contestata, sufficiente a garantire la puntuale comprensione del contenuto dell’accusa da parte dell’imputato».
Sempre secondo la sentenza COGNOME, «la contestazione in fatto non dà luogo a particolari problematiche di ammissibilità per le circostanze aggravanti le cui fattispecie, secondo la previsione normativa, si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle caratteristiche oggettive. In questi casi, invero, l’indicazione di tali fatti materi idonea a riportare nell’imputazione la fattispecie aggravatrice in tutti i suoi element costitutivi, rendendo possibile l’adeguato esercizio dei diritti di dife dell’imputato».
Diversamente avviene «con riguardo alle circostanze aggravanti nelle quali, in luogo dei fatti materiali o in aggiunta agli stessi, la previsione normativa inclu componenti valutative; risultandone di conseguenza che le modalità della condotta integrano l’ipotesi aggravata ove alle stesse siano attribuibili particola connotazioni qualitative o quantitative. Essendo tali, dette connotazioni sono ritenute o meno ricorrenti nei singoli casi in base ad una valutazione compiuta in primo luogo dal pubblico ministero nella formulazione dell’imputazione, e di seguito sottoposta alla verifica del giudizio. Ove il risultato di questa valutazione non si esplicitato nell’imputazione, con la precisazione della ritenuta esistenza delle connotazioni dì cui sopra, la contestazione risulterà priva di una compiuta
indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie circostanziale. Né può esigersi dall’imputato, pur se assistito da una difesa tecnica, l’individuazione dell’esit qualificativo che connota l’ipotesi aggravata in base ad un autonomo compimento del percorso valutativo dell’autorità giudiziaria sulla base dei dati di fatto contesta trattandosi per l’appunto di una valutazione potenzialmente destinata a condurre a conclusioni diverse».
L’insegnamento della pronuncia delle Sezioni Unite COGNOME è, quindi, nel senso di ammettere la contestazione in fatto delle circostanze aggravanti, a condizione che, nel rispetto del diritto di difesa, l’imputazione riporti in maniera sufficientemen chiara e precisa gli elementi di fatto che integrano la fattispecie.
Chiarezza e precisione della contestazione vanno raccordate, di volta in volta, alle caratteristiche delle singole fattispecie circostanziali e, in particolare, alla nat degli elementi costitutivi delle stesse: in presenza di elementi valutativi, il grado determinatezza della contestazione va ragguagliato alla esplicitazione di essi.
Vi sono dei casi in cui la contestazione delle circostanze è resa immediatamente comprensibile dal mero riferimento a dati materiali che si possono definire “autoevidenti”, come ad esempio: il numero delle persone che hanno concorso nel reato di furto (art. 625, comma primo, n. 5, cod. pen.), quando l’imputazione indichi tutti i concorrenti; la pluralità delle persone offese, quando risulti dal capo imputazione (Sez. 3, n. 28483 del 10/09/2020, D., Rv. 280013 – 02); il rapporto di parentela o di coniugio quando l’imputazione lo specifichi (Sez. 6, n. 4461 del 15/12/2016, dep. 2017, Rv. 269615 – 01, cit.); la minore età della vittima quando l’imputazione indichi l’età della persona offesa o la sua data di nascita (Sez. 5 n. 28668 del 09/06/2022, Rv. 283540 – 01).
Su versante opposto vi sono dei casi, come quello della aggravante del falso commesso su atto fidefacente deciso dalle Sezioni Unite COGNOME, che involgono elementi valutativi talmente complessi da non lasciare spazio ad alternative e rendere necessario esporre la natura fidefacente dell’atto, o direttamente, o mediante l’impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l’indicazione della relativa norma (Sez. U, n. 24906 del 18/04/2019, COGNOME, Rv. 275436).
Ciò induce a precisare che la natura “autoevidente” dell’elemento aggravatore non può farsi discendere dal carattere più o meno incontroverso dell’inquadramento di esso da parte della giurisprudenza. Se così fosse – a parte la considerazione degli sviluppi a cui è sempre aperta la interpretazione giurisprudenziale- nella sentenza COGNOME non si sarebbe pervenuti a riconoscere la necessità di contestazione “ad hoc” in relazione ad una serie di casi riportabili alla aggravante dell’art. 476, comma 2, cod. pen., come quello del verbale redatto dalla Polizia giudiziaria, o della autentìca
del notaio, atti pacificamente inquadrati dalla giurisprudenza nel novero di quelli fidefacenti.
Tra gli elementi “autoevidenti” e quelli implicanti valutazioni molto complesse si collocano le varie tipologie di circostanze che, come detto, richiedono una esplicitazione delle loro caratteristiche in termini adeguati.
Nella sentenza COGNOME si ricostruisce in modo articolato e non con una soluzione rigida la questione riguardante le modalità di contestazione delle aggravanti che non presentano la caratteristica della autoevidenza: una volta riconosciuto che la circostanza aggravante è integrata da elementi che richiedono un apprezzamento giuridico/fattuale di natura complessa il cui esito è necessariamente ‘aperto”, per le Sezioni Unite è, sì, doverosa una contestazione che risulti chiara e precisa e che richiami l’imputato ad una difesa accorta e puntuale; ma è anche consentito che il connotato giuridico in questione possa ritenersi adeguatamente contestato ed evidenziato mediante “espressioni evocative” che lo riguardino espressamente. E che, perciò, risultano idonee a sostituire, con la medesima efficacia, la contestazione formale.
E questo lo snodo rilevante della sentenza COGNOME che offre indicazioni preziose circa i limiti da porre alla c.d. “contestazione in fatto” quando l’aggravante è di natur “valutativa”, ma, per questa ipotesi, non pretende di dettare un criterio inflessibil riguardante le modalità attraverso le quali possa perseguirsi l’intento di una contestazione chiara e precisa circa la natura effettiva del fatto aggravatore. In ta modo finisce per demandare la soluzione alla analisi del caso per caso: il che dà anche conto della ragione delle diverse sensibilità alla base del contrasto giurisprudenziale venutosi a creare (così in motivazione testualmente Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, COGNOME).
Invero, il ricorso alla perifrasi o al giro di parole con cui si significa un elemento c si potrebbe definire con un unico termine – da ritenersi consentito per le aggravanti “valutative” – si distingue dalla “contestazione in fatto” – invece non consentita.
1.6. Il Collegio aderisce alla giurisprudenza secondo cui ha natura “valutativa” e non “autoevidente” la circostanza aggravante dell’essere il bene, oggetto di furto, destiNOME a pubblico servizio; con la precisazione, però, che essa possa ritenersi contestata anche quando si faccia ricorso a perifrasi che, di quella destinazione, siano univoca esemplificazione (così Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, COGNOME, cit., i cui passaggi motivazionali vengono di seguito ripresi).
Nella fattispecie, il pubblico ministero ha esercitato l’azione penale per un fatto così in origine descritto nel capo di imputazione: «del reato di cui agli arti -. 624, 625, n. 2 cod. pen, perché, con violenza consistita nel manomettere il contatore, si
impossessava, al fine di trarne un ingiusto profitto, di quantitativi di energi elettrica, sottraendoli al RAGIONE_SOCIALE, alla cui rete allacciava abusivamente l’impianto di INDIRIZZO, di cui aveva la disponibilità. Con l’aggravante di avere commesso il fatto con violenza sulle cose consistita segnatamente nella manomissione del misuratore perché registrasse con errore del – 80,86 %».
La destinazione a pubblico servizio del bene-energia, oggetto di furto, non è un connotato intrinseco e autoevidente del bene medesimo, posto che, per essere affermata o negata, richiede una complessa valutazione da parte dell’interprete, riguardante anche norme extra-penali. Ciò che determina la punizione più grave è, infatti, la dimensione pubblica e collettiva dell’interesse eventualmente attinto nel caso concreto, tale da indurre il legislatore del 2022 a non estendere anche a tale ipotesi il novellato regime di procedibilità a querela di parte.
L’aggravante in questione mira a punire più severamente l’azione ablativa dell’agente in quanto pertinente ad un bene che, per volontà del proprietario o del detentore, ovvero intrinseca qualità, serve ad un uso di pubblico vantaggio.
La verifica circa la sussistenza della aggravante in parola passa inoltre per la nozione, più generale, di “destinazione a pubblico servizio” che non è data dalla constatazione della fruizione pubblica del bene, bensì dalla qualità del servizio che viene organizzato anche attraverso la destinazione di risorse umane e materiali, e che è destiNOME appunto alla soddisfazione di un bisogno riferibile alla generalità dei consociati (Sez. 6, n. 698 del 03/12/2013, dep. 2014, Giordano, Rv. 257773).
Tale indagine attinge anche il tema, a lungo dibattuto soprattutto nel passato, della natura della aggravante come “di danno” o “di pericolo” essendo richiesto da taluni, per la sua sussistenza, che il fatto del colpevole abbia pregiudicato o almeno esposto a pericolo di pregiudizio il servizio pubblico. Il che non si realizzerebbe nel caso della energia elettrica che, malgrado la sottrazione, raggiunge sempre la propria normale destinazione, che è quella di essere consumata senza particolari limitazioni quantitative (v. per la soluzione affermativa a tale problematica: Sez. 2, n. 1176 del 20/06/1967, COGNOME, Rv. 105901 – 01; Sez. 2, n. 602 del 21/03/1967, COGNOME, Rv. 104749 – 01; Sez. 2, n. 49 del 17/01/1967, Gruttì, Rv. 104369 – 01; Sez. 2, n. 1663 del 25/11/1966 dep. 1967, COGNOME, Rv. 104717 – 01; Sez. 2, n. 521 del 25/03/1966, COGNOME, Rv. 102364; Sez. 2, n. 1393 del 15/10/1965, dep. 1966, COGNOME, Rv. 100071; nonché di recente Sez. 4, n. 48043, del 03/10/2023, COGNOME, n.m. e Sez. 5 n. 2912 del 7/12/2023, dep. 2024, Covato, n.m.; per la soluzione contraria, Sez. 4, n. 21456 del 17/04/2002, Tirone, Rv. 221617 – 01; conf. Sez. 4, n. 1850 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266229 – 01; Sez. 4, n. 48529 del 07/11/2023, COGNOME, Rv. 285422 – 01).
Va infine considerato che la qualificazione della energia elettrica come servizio pubblico, riferito tanto alla fase della produzione che a quella della distribuzione, stata il frutto di una serie di interventi normativi primari e secondari volt disciplinare positivamente tali fasi con regolamentazione pubblica derogatoria, ad assoggettare il gestore al dovere di imparzialità e ad affermare la destinazione istituzionale dell’attività al pubblico.
Lo stesso art. 625 n. 7 bis cod, pen. che conforma l’effetto aggravatore ivi previsto al fatto che il bene sottratto afferisca ad un servizio pubblico – tale qualificando espressamente quello di erogazione della energia – assegna rilevanza decisiva alla condizione che debba trattarsi di servizio gestito da soggetto pubblico o privato in regime di concessione pubblica.
1.7. In conclusione, l’aggravante in questione è connotata da componenti di natura valutativa. Tuttavia, accanto alla contestazione formale della aggravante, può ritenersi consentita anche una tipologia di contestazione non formale che però deve essere congeniata in maniera da rendere manifesto all’imputato che dovrà difendersi dalla accusa di avere sottratto un bene posto al servizio di un interesse della intera collettività e diretto a vantaggio della stessa.
Tale scopo appare raggiunto quando – come nella specie e a differenza del caso deciso da Sez. 5, n. 3741 del 22/01/2024, COGNOME – nel capo di imputazione si faccia menzione di una condotta di furto di energia posta in essere mediante allaccio diretto alla rete di distribuzione dell’ente gestore; rete, per l’appun capace di dare luogo ad un “servizio” e destinata a raggiungere le utenze terminali di un numero indetermiNOME di persone, per soddisfare una esigenza di rilevanza “pubblica” (così Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, COGNOME, Rv 286291 – 01).
Discende che il Tribunale, a fronte di un capo di imputazione che presentava l’indicazione appena ricordata, ha fatto un uso errato della regola di giudizio posta dall’art. 129 cod. proc. pen., poiché, pur in presenza di contestata aggravante atta a rendere il reato perseguibile di ufficio, ha invece ritenuto decisivo il dato del mancanza di querela della persona offesa.
Per le ragioni esposte, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio, ai sensi dell’art. 569, comma 4, cod. proc. pen., alla Corte di appello di Catanzaro per il relativo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Catania.
Così deciso il 21/6/2024.