Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29678 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29678 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a Barletta il 09/04/1990
avverso la sentenza del 03/03/2025 della Corte d’appello di Bari
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, dr. NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
lette le conclusioni scritte della difesa, che ha insistito nelle ragioni dell’impugnazione.
Ritenuto in fatto
È stata impugnata con ricorso per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Bari, che -in riforma della sentenza assolutoria del Tribunale di Trani per assenza di rituale querela e in accoglimento dell’appello del pubblico ministeroha ritenuto NOME COGNOME colpevole del delitto di cui agli artt. 624, 625 n. 2 e 7 cod. pen., per aver sottratto energia elettrica all’ENEL, previa abusiva riattivazione della fornitura precedentemente
sospesa a causa di morosità. La Corte territoriale ha ritenuto il reato come contestato perseguibile di ufficio, stante l ‘ aggravante della commissione del fatto su bene destinato a pubblico servizio.
L’atto di impugnazione, a firma di difensore abilitato, consta di due motivi .
2.1. Il primo è fondato sull’art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen., in quanto il proscioglimento di primo grado era stato pronunciato in assenza di attività istruttoria e la Corte d’appello, pur a fronte di una specifica richiesta della difesa che aveva richiesto di procedere all’acquisizione delle proveha riformato nel merito la sentenza appellata dalla parte pubblica senza disporre nel senso invocato dall’imputato, con ciò incorrendo, secondo la prospettazione difensiva, in una nullità.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato il vizio sub art. 606 comma 1 lett e) cod. proc. pen., in quanto il giudice di appello avrebbe statuito la penale colpevolezza dell’imputato in assenza di esplicita contestazione, nel capo d’imputazione, della destinazione a pubblico servizio della cosa sottratta.
Considerato in diritto
Il ricorso, ai limiti dell’inammissibilità, è infondato.
Non coglie nel segno il primo motivo di ricorso, per più ordini di ragioni.
1.1. La consultazione degli atti del procedimento, consentita dalla questione formale posta con il ricorso, restituisce un quadro processuale che si arresta alla fase precedente alla dichiarazione di apertura del dibattimento, ovvero collocata nella fase di accertamento della regolare costituzione delle parti di cui all’art. 484 cod. proc. pen., nel cui contesto il primo giudice, alla presenza e con il contributo dei contraddittori -pubblico ministero e difensore -ha affrontato il quesito relativo alla rituale presentazione della querela e, acquisita la notizia di reato e i documenti allegati, prodotti dal pubblico ministero, ha dapprima invitato le parti a concludere e, poi, all’esito della camera di consiglio, ha pronunciato sentenza di declaratoria di improcedibilità per mancanza della querela.
1.2. Ciò premesso, in linea con il dictum e le coordinate dell’ordinanza delle Sezioni Unite n. 3512 del 28/10/2021, Lafleur, Rv. 282473, mette conto in primo luogo sottolineare che il primo giudice ha pronunciato sentenza di proscioglimento in udienza pubblica, dopo l’accertamento della regolarità della costituzione delle parti (adempimento così illustrato dal verbale di udienza: ‘ Il giudice verificata la regolarità delle notifiche dell’atto introduttivo procede in assenza dell’imputato ex art. 420 bis c.p.p.’ ) ed il provvedimento decisorio non è riconducibile al modello della c.d. sentenza ‘predibattimentale’ di cui all’art. 469 cod. proc. pen.. Q uest’ultimo, circoscritto a taluni tassativi epiloghi decisori, è collocato, dal punto di vista sistemico, nel Titolo primo del Libro settimo del codice di rito, riguardante
gli ‘atti preliminari al dibattimento’ ed esige l’instaurazione di un apposito contraddittorio tra il pubblico ministero e la difesa dell’imputato , con la fissazione ad hoc di un’udienza in camera di consiglio.
La disciplina, invece, del Titolo secondo del Libro settimo -che pertiene al caso di specie testualmente introduce il ‘dibattimento’ e la sentenza emessa nell’ambito di questa fase deve considerarsi sempre adottata ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. anche qualora resa, con accostamento alle caratteristiche proprie dell’istituto previsto dall’art. 469 cod. proc. pen., su conforme richiesta delle parti e/o limitata a statuire l’improcedibilità dell’azione penale, dunque appellabile dall’organo della pubblica accusa e dall’imputato, nei limiti previsti dalla legge, come correttamente avvenuto nel caso de quo .
Più precisamente, il primo giudice ha emesso sentenza nella fase regolamentata dal capo secondo del Titolo secondo del Libro settimo, rubricato ‘Atti introduttivi’ (artt. 484 -495 cod. proc. pen.), quella che include la costituzione delle parti e la deduzione, discussione e decisione delle questioni preliminari, fino alla formale dichiarazione di apertura del dibattimento di cui all’art. 492 cod. proc. pen.; l’art. 484 cod. proc. pen. significativamente stabilisce che il giudice procede al controllo della regolare costituzione delle parti, con ciò rivelando che proprio dall’espletamento di tale compito prenda avvio senza soluzione di continuità il dibattimento e debba dunque considerarsi esaurito l’ iter predibattimentale.
1.3. La deliberazione della sentenza di primo grado si è dunque situata nel corso del dibattimento, dopo la verbalizzazione di un’eccezione di improcedibilità formulata dalla difesa dell’imputato e a seguito dell’acquisizione al fascicolo del dibattiment o della comunicazione di notizia di reato e dei suoi allegati, compiuta in assenza di opposizione e riserve delle parti.
In tal guisa, gli atti relativi al sopralluogo svolto dai tecnici Enel e all’identificazione del responsabile sono stati legittimamente inseriti nel fascicolo del dibattimento e correttamente la Corte d’appello, in accoglimento dell’impugnazione della pubblica accusa, ne ha tratto la prova della responsabilità del prevenuto (pag. 3) senza obbligo di ulteriori approfondimenti istruttori.
L’operatività del precetto dell’art. 604 comma 6 cod. proc. pen. deve ritenersi circoscritta alle ipotesi in cui il giudice di secondo grado, una volta dichiarata dal primo giudice l’estinzione del reato o l’improcedibilità dell’azione penale, non disponga di rituali emergenze probatorie che consentano, autonomamente e validamente, di pervenire ad un esito decisorio sulla regiudicanda.
1.4. Deve essere infatti puntualizzato che il fascicolo del dibattimento, nel caso in cui si proceda per reati che prevedono la celebrazione dell’udienza preliminare, è confezionato dal giudice per l’udienza preliminare, nel contraddittorio delle parti, subito dopo la pronuncia del decreto che dispone il giudizio, ai sensi dell’art. 431 cod. proc. pen. , e con
esso deve essere trasmesso senza ritardo alla cancelleria del giudice competente per il giudizio (art. 432 cod. proc. pen.); per i reati a citazione diretta, come nella specie, il fascicolo è formato dal pubblico ministero (art. 553 cod. proc. pen.) ed è parimenti trasmesso al giudice del dibattimento unitamente all’atto di citazione a giudizio.
Il fascicolo de quo è suscettibile di arricchimento sino alla decisione finale che il giudice assumerà a norma dell’art. 526 cod. proc. pen. e, in particolare, l’art. 431 comma 2 prevede che, nello sviluppo del contraddittorio sulla costituzione dell’incarto funzionale al giu dizio, ‘le parti possono concordare l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonché della documentazione relativa all’attività di investigazione difensiva’; gli artt. 493 co mma 3 e 555 comma 4 cod. proc. pen. stabiliscono, con identica formulazione lessicale, che dopo l’apertura del dibattimento possano essere veicolati nel fascicolo del giudice ulteriori atti sulla scorta di un accordo delle parti.
1.5. Pare dunque implausibile ritenere che, potendo la convergenza delle parti perfezionarsi immediatamente prima della trasmissione del fascicolo al giudice del dibattimento (art. 431 comma 2 cod. proc. pen.) e immediatamente dopo la dichiarazione di apertura dell’istruttoria dibattimentale (artt. 493 comma 3 e 555 comma 4 cit.), analoga intesa non possa delinearsi tra le due scansioni procedimentali, ovvero nella fase dibattimentale ‘intermedia’ introdotta con l’accertamento della costituzione delle par ti, nella quale l’organo giudicante ha ottenuto la disponibilità del fascicolo di sua competenza, e il momento della formale dichiarazione di apertura del dibattimento di cui agli artt. 492 e 555 comma 4 cod. proc. pen..
1.6. Fermi i veti di inutilizzabilità patologica, il consenso delle parti all ‘ acquisizione di atti d’indagine o, comunque, l’omessa deduzione, nel termine preclusivo di cui all’art. 491 comma 2 cod. proc. pen. (o di cui all’art. 554 bis comma 3 in sede di udienza di comparizione predibattimentale per i procedimenti per reati a citazione diretta, come introdotta dalle innovazioni del D. Lgs. n. 150 del 2022), di questioni riguardanti l’espunzione di atti o di documenti eventualmente non riconducibili alle categorie di cui all’art. 431 cod. proc. pen. ne rendono impregiudicato l’utilizzo a fini decisori.
Vale, in proposito, il principio di diritto, espresso da questa Corte, secondo il quale al lume di quanto disposto dall’art. 526 cod. proc. pen., sono utilizzabili, ai fini della decisione, tutte le prove acquisite nel dibattimento, comprese quelle non assunte in dibattimento ma acquisite al fascicolo per il dibattimento: ed invero, la legittima acquisizione nel detto fascicolo comporta la utilizzabilità, ai fini probatori, degli atti così acquisiti (sez. 2, n. 2471 del 10/10/2014, COGNOME, Rv. 261823; sez. 1, n. 4502 del 10/11/1997, COGNOME, Rv. 210409).
Ed in ogni caso, quand’anche l’acquisizione al fascicolo di atti, che si assuma viziata da violazione di legge, si realizzi dopo la scadenza del termine di preclusione di cui all’art. 491
comma 2 sopraindicato, essa non dà luogo di per sé all’inutilizzabilità dell’atto tardivamente inserito (cfr. sez. 4, n. 8602 del 02/04/1993, COGNOME, Rv.195171), dal momento che il consenso alla richiesta della controparte di acquisizione al fascicolo del dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, ovvero della documentazione relativa all’attività di investigazione difensiva, può essere espresso tacitamente attraverso l’assenza di opposizione, se il complessivo comportamento processuale della parte interessata è incompatibile con una volontà contraria (sez. 6, n. 13752 del 25/02/2021, COGNOME, Rv. 281088; sez. 4, n. 4635 del 15/01/2020, COGNOME, Rv. 278292; sez. 5, n. 15624 del 15/12/2014, COGNOME, Rv. 263260; sez. 3, n.1727 del 11/11/2014, COGNOME, Rv. 261927; sez. 2, n. 19679 del 06/05/2010, COGNOME, Rv. 247120; sez. 5, n. 34685 del 08/05/2008, COGNOME, Rv.241547).
Trattandosi insomma di un incontro di volontà, in ambito processuale, di natura sostanzialmente negoziale, tra l’accusa e la difesa, è applicabile il principio generale dell’ordinamento giuridico della c.d. libertà delle forme (arg. dall’art. 1325 n. 1 e n . 4 cod. civ.), tra le quali può essere legittimamente annoverato il comportamento tacito concludente (v. nella giurisprudenza civile, tra le tante, Cass. sez. 3, n. 15264 del 04/07/2006, Rv.591445; Sez. U civ. n. 3318 del 22/03/1995, Rv.491331).
1.7. Non vi è allora valida ragione di propendere per l’interpretazione restrittiva elaborata da taluni minoritari arresti di questa Corte (sez. 1 del 11/02/2005, Daci, Rv. 12881, richiamata con adesione da sez. 4, n. 24086 del 17/01/2024, COGNOME, Rv. 286469), perché in giurisprudenza è diffusa l’opinione, ispirata proprio a criteri ermeneutici di ordine generale, che la determinazione delle parti private, ove non eccezionalmente riservata ad esplicita manifestazione di volontà dell’imputato, possa esse re desunta anche da comportamenti conducenti di natura equipollente o, comunque, ragionevolmente incompatibili con una volontà contraria.
E, sul punto, soccorre in certa misura l’esegesi della Consulta, che con l’ordinanza n. 182 del 8 giugno 2001 ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 493, comma 3, e 495 del codice di procedura penale, in riferimento agli articoli 3 e 111 della Costituzione, «nella parte in cui non prevedono che l’imputato esprima il consenso, personalmente o a mezzo di procura speciale, in vista dell’acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero», sul presupposto che tale manifestazione di volontà non sia riconducibile all’esercizio dei diritti fondamentali, cc.dd. ‘personalissimi’, dell’imputato e possa estrinsecarsi attraverso la difesa tecnica, perché il patrocinatore legale è soggetto in grado di assicurare, per l’imputato, «quelle cognizioni tecnico -giuridiche, quell’esperienza processuale e quella distaccata serenità che gli consentono di valutare adeguatamente le situazioni di causa» (cfr. anche Corte Cost. sent. n. 498 del 10 novembre 1989; sez.5, n. 2679 del 06/12/2018, COGNOME, Rv.274595).
Ed in linea con tali direttrici si orientano le osservazioni di sez. 3 del 11/11/2014, COGNOME, sopracitata, che, in motivazione, ha condivisibilmente precisato che «non può anzitutto definirsi sistematicamente eccezionale consentire alle parti di espletare un potere dispositivo nella individuazione del thema probandi e delle prove – s’intende, non patologicamente raccolte – utilizzabili, essendo il processo dibattimentale un processo di parti, diretto, quanto meno prevalentemente (solo se “assolutamente necessario” può incidere sull’istruttoria il giudice: articolo 507 c.p.p.) all’accertamento della verità giuridica, e non un rito inquirente completamente diretto jure imperii all’accertamento della verità materiale. Né, poi, appare condivisibile affermare che in un negozio sia frutto di una “interpretazione estensiva” ritenere che costituisca tacita accettazione di una proposta il non opporsi ad essa. In un contesto in cui viene chiaramente manifestata la proposta di acquisire quel che altrimenti sarebbe inutilizzabile, come nel caso appunto dell’articolo 431, un atteggiamento di mancata opposizione non può che significare – in un diritto moderno e razionale, ovvero svincolato dai formalismi arcaici perché non identificante automaticamente la sostanza con la forma – consenso tacito, ovvero per facta concludentia , a meno che dal complesso della condotta non emerga una posizione di contrasto a tale acquisizione».
P roprio a quest’ultimo proposito e tornando al caso concreto condotto all’attenzione del collegio, deve essere invero aggiunto che, in sede di formulazione delle conclusioni nel giudizio d’appello, il difensore dell’imputato ha chiesto in via principale il ‘rigetto dell’appello e la conferma della dichiarazione d’improcedibilità’ e, in subordine, la rinnovazione dell’attività istruttoria, senza tuttavia formalizzare alcuna questione sulla legittimità di acquisizione e sull’utilizzabilità degli atti appresi a l fascicolo sin dal giudizio di primo grado, così consentendo di ricavarne l’inequivoca convergenza di posizione sulla possibilità di valutarne la portata probatoria ai fini della decisione.
1.8. Sotto altro profilo, osserva il collegio che il motivo di ricorso si rivela affetto da genericità intrinseca, perché si limita a lamentare ‘il mancato svolgimento di qualsiasi attività istruttoria’, senza tuttavia chiarire quali specifici mezzi d i prova avrebbero dovuto essere espletati nell’imprescindibile prospettiva di neutralizzare il materiale d’indagine acquisito al fascicolo del dibattimento, non potendo -a tali fini -reputarsi esauriente il vago richiamo all’esercizio del diritto di rendere l’esame od eventuali dichiarazioni spontanee, in difetto di indicazioni sulla potenziale efficacia demolitiva che tali iniziative avrebbe potuto produrre sulla tenuta complessiva della piattaforma probatoria.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
2.1. L’attribuzione all’imputato della circostanza aggravante di cui all’art. 625 n. 7 cod. pen., per essere stato commesso il reato di furto su bene destinato a pubblico servizio -così perseguibile d’ufficio, come esattamente rilevato dalla sentenza impugnata – appare
rapidamente arguibile dal perspicuo ed univoco tenore dell’imputazione e, dunque, reputarsi regolarmente contestata, senza bisogno di ulteriori integrazioni esplicative.
2.2. In proposito, va ricordato che sulla possibilità di ravvisare una contestazione in fatto della aggravante della destinazione del bene energia elettrica a pubblico servizio, la giurisprudenza di legittimità si è divisa.
Sez. 4 n. 48529 del 07/11/2023, COGNOME, Rv. 285422 ha affermato che può ritenersi legittimamente contestata in fatto, e ritenuta in sentenza senza la necessità di una specifica ed espressa formulazione, la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen., in quanto l’energia elettrica fornita, su cui ricade la condotta di sottrazione, è un bene funzionalmente destinato a un pubblico servizio (conf. tra le sentenze massimate sez. 5, n. 2505 del 29/11/2023, dep. 2024, Russo, Rv. 285844).
In senso difforme si sono pronunciate, tra le massimate, sez. 4, n. 46859 del 26/10/2023, Licata, Rv. 285465; sez. 5, n. 3741 del 22/01/2024, PMT c/ COGNOME, Rv. 285878, che hanno escluso la possibilità di ritenere contestata in fatto l’aggravante in parola attraverso il mero riferimento all’oggetto del furto (energia elettrica) senza alcuna esplicitazione circa la destinazione a pubblico servizio.
2.3. Ritiene il collegio che la tematica oggetto del presente scrutinio debba essere affrontata tenendo presente un principio di diritto consolidato nella giurisprudenza di legittimità, che ha stabilito che la ritualità e completezza della formulazione dell’imputazione, che rappresenta il fulcro dell’editto accusatorio con il quale deve misurarsi l’esercizio del diritto di difesa, rinviene il proprio parametro di riferimento, anche alla luce dei valori costituzionali (artt. 24 e 117 Cost.) e sovranazionali (art. 6 par. 3 lett. a della CEDU), nei contenuti sostanziali dei suoi enunciati, che prevalgono sulle indicazioni ‘letterali’ e ‘numeriche’ degli articoli di legge che espressamente la disciplinino.
L’elaborazione interpretativa così formatasi ha alimentato la questione della ‘contestazione in fatto’, con cui si intende – anche a riguardo delle circostanze aggravanti – una elezione dell’imputazione che non sia espressa nella proposizione rigorosamente letterale della fattispecie circostanziale e/o nell’individuazione della specifica norma di legge che la prevede, ma riporti in maniera sufficientemente chiara e precisa gli elementi di fatto che integrano la fattispecie, consentendo all’imputato di averne piena cognizione e di espletare adeguatamente la propria difesa sugli stessi (Sez. U n.24906 del 18/04/2019, Sorge; cfr. anche Sez. 1, n. 51260 del 08/02/2017, COGNOME, Rv. 271261; Sez. 6, n. 4461 del 15/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269615; Sez. 2, n. 14651 del 10/01/2013, COGNOME, Rv. 255793; Sez. 6, n. 40283 del 28/09/2012, COGNOME, Rv. 253776; Sez. 5, n. 38588 del 16/09/2008, COGNOME, Rv. 242027).
2.4. Lo snodo fondamentale della pronuncia ‘Sorge’ del massimo consesso nomofilattico, che nello specifico ha riguardato la problematica della contestazione ‘in fatto’ delle circostanze aggravanti, è sostanzialmente rappresentato dalla distinzione del caso in cui
l’elemento circostanziale sia nell’imputazione per così dire ‘autoevidente’ non richieda cioè particolari enunciazioni e precisazioni (come, a titolo puramente esemplificativo, quello del delitto commesso in danno di un ‘minore’ o commesso con l’uso di ‘arma’) – da quello in cui, invece, la conformazione dell’aggravante di fattispecie non sia immediatamente percepibile dalle più comuni e diffuse conoscenze ed esiga un ‘ informazione più specifica e dettagliata, assuma insomma carattere ‘valutativo’.
Vi sono dei casi in cui la contestazione delle circostanze è resa immediatamente comprensibile dal mero riferimento a dati materiali che si possono definire ‘autoevidenti’, come ad esempio: il numero delle persone che hanno concorso nel reato di furto (art. 625, comma primo, n. 5, cod. pen.), quando l’imputazione indichi tutti i concorrenti; la pluralità delle persone offese, quando risulti dal capo di imputazione (sez. 3, n. 28483 del 10/09/2020, D., Rv. 280013 -02); il rapporto di parentela o di coniugio quando l’imputazione lo specifichi ( sez. 6, n. 4461 del 15/12/2016, dep. 2017, Rv. 269615 -01, cit.); la minore età della vittima quando l’imputazione indichi l’età della persona offesa o la sua data di nascita (sez. 5 n. 28668 del 09/06/2022, Rv. 283540 -01).
A tale seconda categoria non è suscettibile di appartenere, a parere del collegio, la circostanza aggravante della commissione del fatto su cosa destinata a pubblico servizio, che rende indispensabile un apprezzamento in termini giuridici e/o fattuali del caso concreto condotto all’at tenzione del giudice (perché, ad esempio, nulla vieta che anche un privato possa procurarsi autonomamente fonti energetiche).
La destinazione a pubblico servizio del bene-energia, oggetto di furto, non è un connotato intrinseco e autoevidente del bene medesimo, posto che, per essere affermata o negata, richiede una complessa valutazione da parte dell’interprete, riguardante anche norme extra-penali. Ciò che determina la punizione più grave è, infatti, la dimensione pubblica e collettiva dell’interesse eventualmente attinto nel caso concreto, tale da indurre il legislatore del 2022 a non estendere anche a tale ipotesi il novellato regime di procedibilità a querela di parte.
L’aggravante in questione mira a punire più severamente l’azione ablativa dell’agente in quanto pertinente ad un bene che, per volontà del proprietario o del detentore, ovvero intrinseca qualità, serve ad un uso di pubblico vantaggio.
In assenza dell ‘ indicazione esplicita della norma della legge penale o della diretta riproduzione del testo di essa, inequivocabilmente espressive della avvenuta contestazione, è necessario che l’articolazione dell’incolpazione possieda ‘connotati evocativi’ ragionevolmente chiari e idonei a dar conto della volontà dell’organo dell’accusa di attribuire l’elemento aggravatore in aggiunta qualificatrice rispetto alla condotta di base. Insomma, la circostanza aggravante dell’essere il bene oggetto di furto de stinato a pubblico servizio o a pubblica utilità può ritenersi correttamente contestata anche quando si faccia ricorso a perifrasi che, di quella destinazione, siano univoca esemplificazione (così sez. 5,
n. 4767 del 21/01/2025, COGNOME, Rv. 287615; sez. 5, n. 3741 del 22/01/2024, Pmt c/ COGNOME, Rv. 285878 -01; sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286291- 01; conf. tra le ultime sez. 5, n. 34061 del 28/06/2024, COGNOME, Rv. 286937-01; sez. 5, n. 35873 del 23/05/2024, COGNOME, Rv. 286943-01).
2.5. D’altro canto, nemmeno si pretende di dettare un criterio inflessibile ed omnicomprensivo sulle modalità di redazione di una contestazione chiara e precisa del fatto aggravatore (così in parte motiva sez. 5, n. 14890 del 14 marzo 2024, COGNOME, cit.), nel senso che l’analisi deve investire il caso concreto e valutare se l’elaborazione dell’imputazione e la descrizione degli indicatori di aggravamento del comportamento siano stati efficacemente rispettosi dell’inviolabile diritto di difesa del singolo . Nel caso che ne occupa, in particolare, può ritenersi esauriente anche un modello di contestazione non formale, che sia congegnato in modo tale da rendere inequivoco il rimprovero all’imputato di aver sottratto un bene posto a soddisfacimento di un bisogno della collettività e a suo diretto vantaggio (sez. 5, n. 14891 del 14/03/2024, COGNOME, non mass.; sez. 5, n. 19209 del 11 aprile 2024, COGNOME, non mass.).
2.6. Nel caso in scrutinio l’interrogativo è di agevole soluzione, in primo luogo perché il capo d’accusa cita esp ressamente la norma della legge penale , l’art. 625 n. 7 cod. pen., che prevede, tra le varie ipotesi, anche la circostanza aggravante della commissione del fatto su cosa destinata a servizio pubblico.
In secondo luogo, si rileva che nel capo di imputazione si fa esplicita menzione di una condotta di furto di energia, realizzato in pregiudizio del servizio generale di distribuzione dell’energia elettrica ‘ attraverso la riattivazione abusiva del contatore (corrispondente alla presa 754967269 e distaccato per morosità)’ , senza che possieda influenza (così in motivazione, sez. 5, n. 37142 del 12/06/2024, COGNOME). In altri termini, come limpidamente traibile dal testo della contestazione, la ‘cosa’ che adempie (ed è destinata) al ‘servizio pubblico’ e all’utilità pubblica è l’energia elettrica in quanto tale, che dalla fonte di gestione collettiva del pubblico servizio viene recapitata ai singoli cittadini attraverso i singoli contatori.
Va considerato, inoltre, che la condotta addebitata all’imputat o consiste nell’impossessamento, mediante sottrazione, di energia elettrica in danno dell’ENEL EDISTRIBUZIONE -acronimo di Ente Nazionale per l’energia elettrica che notoriamente gestisce, sia pure nel contesto di un mercato che non gli assicura il monopolio assoluto del soddisfacimento dei relativi bisogni, un servizio pubblico essenziale nell’interesse della collettività dei cittadini. La natura pubblicistica del servizio reso da tale Ente promana da variegate fonti normative, tra le quali, in rapida rassegna, possono elencarsi: l’art.1 della legge 12 giugno 1990 n. 146, la direttiva della Presidenza del Consiglio dei ministri del 27
gennaio 1994 sui principi relativi all’erogazione dei pubblici servizi, individuati come quelli che erogano energia elettrica, acqua e gas; le leggi sulle privatizzazioni e sulle istituzioni delle autorità amministrative indipendenti, che hanno chiarito che sono da ricomprendere tra i servizi pubblici le imprese erogatrici di servizi relativi, tra l’altro, ai trasporti, alle telecomunicazioni, alle fonti di energia e agli altri servizi pubblici (art. 2 L. 30 luglio 1994 n. 474); la normativa istitutiva dell’Autorità amministrativa per l’energia e il gas di cui alla L.14 novembre 1995 n. 481 (recante “Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità”); con l’art. 13, comma 13, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, conv. con legge 21 febbraio 2014, n. 9, le sue competenze sono state estese al settore idrico e, correlativamente, la sua denominazione è stata modificata in “Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico’ .
2.7. Risalta dunque di ogni evidenza, dalla medesima formulazione testuale dell’imputazione, che al prevenuto sia stato attribuito, come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, un comportamento integrativo di un furto che ha per oggetto una cosa destinata a servizio pubblico, il cui flusso è stato oggetto di intercettazione e di indebita asportazione mediante un collegamento abusivo con la rete di distribuzione; non sol o, dunque, per le caratteristiche soggettive e strutturali dell’organismo che distribuisce l’energia, che possiedono comunque valenza orientativa ai fini della comprensione della riprovazione, ma anche e soprattutto per i connotati oggettivi di un servizio reso da quell’ente ad una indiscriminata comunità di persone.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 17/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME