Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 19206 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 19206 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI SIRACUSA nel procedimento a carico di:
NOME nata a GROSSETO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/07/2023 del TRIBUNALE di SIRACUSA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio e trasmissione degli atti al Tribunale; udito il difensore, AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso del P.G..
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata il Tribunale di Siracusa ha prosciolto, in forza dell’art. 529 cod. proc. pen., NOME NOME, chiamata a rispondere, secondo l’originaria citazione a giudizio, del delitto previsto e punito dagli artt. 99, comma secondo, n. 1, 624 e 625 n. 2 cod. pen., per essersi impossessata di una quantità indeterminata di energia elettrica sottraendola a “RAGIONE_SOCIALE“, mediante
un allaccio diretto alla rete di RAGIONE_SOCIALE, con l’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento.
Il Tribunale ha rilevato che, in difetto di querela (neppure presentata nel termine del 30 marzo 2023 fissato dal d. Igs. n. 150 del 2022), l’azione penale non poteva essere proseguita alla luce del disposto dell’art. 624, comma terzo, cod. pen., introdotto dall’art. 2, lett. i), d. Igs’. n. 150 del 2022.
Il medesimo giudice ha escluso che la declaratoria di improcedibilità potesse essere impedita dalla contestazione suppletiva – effettuata dal Pubblico ministero ex art. 517 cod. proc. pen. all’udienza del 12 luglio 2023 — della circostanza aggravante del furto commesso su cosa destinata a pubblico servizio (art. 625, comma primo, n. 7, quarta ipotesi, cod. pen.), in presenza della quale il reato è rimasto procedibile d’ufficio anche ai sensi dell’art. 624, comma terzo, cod. pen.. Ha rilevato: “l’evidente tardività con la quale il pubblico ministero ha deciso di procedere alla predetta contestazione, ovvero in un momento successivo al perfezionamento dei termini di improcedibilità del reato”.
Avverso l’indicata decisione propone ricorso diretto per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa, denunciando violazione di legge.
Il ricorrente lamenta che erroneamente il Tribunale ha ritenuto “tardiva” la contestazione suppletiva, che poteva essere effettuata sino alla chiusura del dibattimento, essendo irrilevante l’intervenuto decorso del termine per la proposizione della querela fissato dall’art. 85 del d.lgs. n. 150 del 2022.
Con ordinanza n. 49934 del 7 dicembre 2023 il processo è stato rimesso alle Sezioni Unite.
Con provvedimento del 3 gennaio 2024, la Prima Presidente ha disposto la restituzione degli atti alla quinta sezione richiamando l’attenzione del collegio su un duplice ordine di profili: la verifica della sussistenza, nel caso concreto, di una contestazione c.d. in fatto della aggravante del pubblico servizio; l’analisi del rapporto tra art. 129 cod. proc. pen. e art. 517 cod. proc. peri., in relazione alla condizione di procedibilità, alla luce delle motivazioni della sentenza delle Sez. U, n. 49935 del 28/09/2023, NOME.
Si è proceduto a discussione orale su richiesta del difensore che, già prima della rimessione del ricorso alle Sezioni Unite, aveva depositato una memoria con la quale chiedeva il rigetto del ricorso del pubblico ministero.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del Pubblico ministero è fondato.
Il nuovo quadro normativo nel quale si muove il processo è chiaro.
2.1. A seguito della modifica dell’art. 624, comma terzo, cod. pen., intervenuta per effetto dell’art.2, comma 1, lett. i), d.lgs. 10 ottobre 2022 n.150, in vigore dal 30 dicembre 2022, il delitto di furto anche se aggravato o pluriaggravato ai sensi dell’art. 625 cod. pen. (prima procedibile di ufficio) è divenuto punibile a querela della persona offesa, tranne che nei seguenti casi:
se la persona offesa è incapace, per età o per infermità;
se ricorre taluna delle circostanze di cui all’articolo 625, numero 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede (in quest’ultimo caso torna la regola della punibilità a querela). Quindi il reato è procedibile di ufficio quando il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento, o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza;
se ricorre taluna delle circostanze di cui all’articolo 625, numero 7 bis, vale a dire se il fatto è commesso su componenti metalliche o altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica.
2.2. In relazione ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore della suddetta modifica legislativa, l’art. 85 del d. Igs. n. 150 del 2022 ha stabilito che il termine per la presentazione della querela (pari a tre mesi ex art. 124, primo comma, cod. pen.) decorre dalla predetta data (30 dicembre 2022), se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato.
2.3. La novità normativa riguardante il regime di procedibilità trova applicazione anche in ordine a fatti, come quelli sub iudice, commessi prima del 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore del d.lgs 150 cit. secondo il principio sancito dalla giurisprudenza di legittimità anche in occasione di precedenti interventi legislativi di analogo segno (cfr. specificamente sul d. lgs. n. 150 de 2022 Sez. 5, n. 22641 del 21/04/2023, P., Rv. 284749 – 01; nonché sul principio generale tra le altre Sez. 2 n. 225 del 08/11/2018, dep., 2019, NOME COGNOME, Rv. 274734 – 01; Sez. 5, n. 22143 del 17/04/2019, D, Rv. 275924).
Fermo il petitum del ricorso, l’esame della causa petendi, enunciata nei motivi relativi alla piena efficacia della contestazione suppletiva volta a far mutare il regime di procedibilità, presuppone necessariamente la soluzione della questione
ad essa preliminare e pregiudiziale vale a dire quella della sussistenza di una “contestazione” della aggravante già insita negli elementi fattuali descritti nel decreto di citazione a giudizio.
3.1. Una siffatta disamina viene rimessa al collegio dal provvedimento di restituzione, assunto dalla Prima Presidente il 3 gennaio 2024, che sollecita una rivalutazione della questione soprattutto alla luce della sentenza delle Sezioni Unite COGNOME (n. 24906 del 18/04/2019) in forza delle quali è sempre consentita ed è legittima «la contestazione in fatto di una circostanza aggravante la cui fattispecie, secondo la previsione normativa, si esaurisca in comportamenti riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle loro caratteristiche oggettive». E il mero richiamo all’energia elettrica potrebbe essere ritenuto sufficientemente espressivo della destinazione del bene al pubblico servizio.
3.2. Sulla possibilità di ravvisare, nella specie, una contestazione in fatto, la giurisprudenza di legittimità si è divisa.
Sez. 4 n. 48529 del 07/11/2023, COGNOME, Rv. 285422 ha affermato che può ritenersi legittimamente contestata in fatto, e ritenuta in sentenza senza la necessità di una specifica ed espressa formulazione, la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen., in quanto l’energia elettrica fornita, su cui ricade la condotta di sottrazione, è un bene funzionalmente destinato a un pubblico servizio (conf. tra le sentenze massimate Sez. 5, n. 2505 del 29/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285844).
In senso difforme si sono pronunciate, tra le massimate, Sez. 4, n. 46859 del 26/10/2023, COGNOME, Rv. 285465; Sez. 5, n. 3741 del 22/01/2024, COGNOME, Rv. 285878, che hanno escluso la possibilità di ritenere contestata in fatto l’aggravante in parola attraverso il mero riferimento all’oggetto del furto (energia elettrica) senza alcuna esplicitazione circa la destinazione a pubblico servizio.
Il collegio, in sintonia con il provvedimento di restituzione, ritiene di ispirarsi ai principi enucleati dalla pronuncia delle Sezioni Unite COGNOME (n. 24906 del 18/04/2019), tracciando, anzitutto, l’alveo di rilevanza del problema.
4.1. Come si legge nella motivazione della citata sentenza COGNOME la contestazione delle circostanze aggravanti si muove su un piano concettualmente diverso da quella della c.d. “definizione giuridica” del fatto storico originariamente contestato. E ciò per quanto attiene sia alle vicende processuali (dall’esercizio dell’azione penale sino al giudicato) sia al rapporto tra potere del giudice e potere del pubblico ministero.
L’art. 417, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. (con una disposizione che si trova replicata in tutte le norme relative all’atto di esercizio dell’azione penale; v. in motivazione Sez. U COGNOME cit.) stabilisce che la richiesta di rinvio a giudizio
contiene l’enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, con l’indicazione dei relativi articoli di legge.
Circa i successivi sviluppi dibattimentali, le modifiche dell’imputazione sono disciplinate dagli artt. 516 e ss. cod. proc. pen.: in particolare l’art. 516 si occupa della diversità del fatto nella sua dimensione storica; l’art. 517 di nuovi reati concorrenti o di nuove circostanze aggravanti; l’art. 518 di un nuovo reato che si aggiunge a quello contestato e a quest’ultimo non connesso ex art. 12, lett. b), cod. proc. pen.
L’art. 521 cod. proc. pen. (sotto la rubrica “correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza”) riconosce al giudice il potere di dare al fatto «una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione» (comma 1) e prevede che il giudice disponga con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero se accerta che il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio ovvero nella contestazione effettuata a norma degli articoli 516, 517 e 518, comma 2.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, tale disposizione non abilita, invece, il giudice alla restituzione degli atti al pubblico ministero allorch dagli atti emerga la sussistenza di una circostanza aggravante non contestata, poiché – per scelta del legislatore processuale (al di là di quella che può essere la loro sistemazione concettuale all’interno del diritto sostanziale) – le circostanze sono trattate come elementi esterni al fatto che non ne determinano la diversità (Sez. 4 n. 44973 del 13/10/2021, COGNOME, Rv. 282246; Sez. 1, n. 25882 del 12/05/2015, COGNOME, Rv. 263941; Sez. 4, n. 31446 del 25/06/2008, COGNOME, Rv. 240896 – 01).
4.2. È bene rimarcare che, in prospettiva difensiva, la sussistenza o meno di circostanze aggravanti (e quindi la relativa contestazione) assume significativa valenza sotto plurimi profili (cfr. anche Corte Cost. n. 139 del 2015) che non sono limitati all’effetto diretto e tipico delle aggravanti, vale dire l’aumento di pena.
Talune aggravanti (ad esempio quelle c.d. ad effetto speciale), incidendo sulla entità della pena, indirettamente producono effetti sul computo dei termini di prescrizione, su quelli di durata delle misure cautelari, sul riparto di competenza.
Alcune aggravanti, come quella del furto qui in esame, determinano il regime di procedibilità (di ufficio o a querela di parte) del reato.
4.3. I diritti difensivi e il potere di controllo del giudice sono stati rafforzati d d. Igs. n. 150 del 2022 che appronta una serie di tutele – ulteriori rispetto a quelle già previste dal codice di rito o introdotte per effetto degli interventi additivi dell Corte Costituzionale (sentenze n. 265 del 1994, n. 237 del 2012, n. 273 del 2014, n. 139 del 2015, n. 206 del 2017, n. 146 del 2022)- lungo tutte le fasi del
processo, allo scopo di garantire, per un verso, la costante verifica della corrispondenza tra imputazione, da un lato, e fatto e circostanze oggetto del processo, dall’altro e, per altro verso, la tutela dei diritti dell’imputato contraddittorio e alla difesa (cfr. art. 421, commi 1 e 1-bis in udienza preliminare dopo gli accertamenti sulla costituzione delle parti; art. 423, commi 1, 1-bis e Iter, per le modifiche dell’imputazione in udienza preliminare; il nuovo art. 554-bis dedicato all’udienza di comparizione predibattimentale nei processi a citazione diretta e in particolare i commi 5 e 6 della norma appena citata; le modifiche introdotte nell’art. 519 sui ai “diritti” delle parti nei casi di contestazi suppletive).
La sentenza delle Sezioni Unite COGNOME (sentenza n. 24906 del 18/04/2019, cit.) ha accreditato quell’orientamento della giurisprudenza di legittimità favorevole alla cd. contestazione “in fatto” delle aggravanti.
5.1. La pronuncia chiarisce che per «contestazione in fatto» si intende una formulazione dell’imputazione che non sia espressa nell’enunciazione letterale della fattispecie circostanziale o nell’indicazione della specifica norma di legge, ma che riporti in maniera sufficientemente chiara e precisa gli elementi di fatto integranti la circostanza, così da permettere all’imputato di averne piena consapevolezza e di espletare adeguatamente la propria difesa.
A ulteriore precisazione, le Sezioni Unite aggiungono che «l’ammissibilità della contestazione in fatto delle circostanze aggravanti deve essere verificata rispetto alle caratteristiche delle singole fattispecie circostanziali e, in particolare, all natura degli elementi costitutivi delle stesse. Questo aspetto, infatti, determina inevitabilmente il livello di precisione e determinatezza che rende l’indicazione di tali elementi, nell’imputazione contestata, sufficiente a garantire la puntuale comprensione del contenuto dell’accusa da parte dell’imputato».
Sempre secondo la sentenza COGNOME, «la contestazione in fatto non dà luogo a particolari problematiche di ammissibilità per le circostanze aggravanti le cui fattispecie, secondo la previsione normativa, si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle loro caratteristiche oggettive. In questi casi, invero, l’indicazione di tali fat materiali è idonea a riportare nell’imputazione la fattispecie aggravatrice in tutti i suoi elementi costitutivi, rendendo possibile l’adeguato esercizio dei diritti di difesa dell’imputato».
Diversamente avviene «con riguardo alle circostanze aggravanti nelle quali, in luogo dei fatti materiali o in aggiunta agli stessi, la previsione normativa include componenti valutative; risultandone di conseguenza che le modalità della condotta integrano l’ipotesi aggravata ove alle stesse siano attribuibili particolari
connotazioni qualitative o quantitative. Essendo tali, dette connotazioni sono ritenute o meno ricorrenti nei singoli casi in base ad una valutazione compiuta in primo luogo dal pubblico ministero nella formulazione dell’imputazione, e di seguito sottoposta alla verifica del giudizio. Ove il risultato di questa valutazione non sia esplicitato nell’imputazione, con la precisazione della ritenuta esistenza delle connotazioni di cui sopra, la contestazione risulterà priva di una compiuta indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie circostanziale. Né può esigersi dall’imputato, pur se assistito da una difesa tecnica, l’individuazione dell’esito qualificativo che connota l’ipotesi aggravata in base ad un autonomo compimento del percorso valutativo dell’autorità giudiziaria sulla base dei dati di fatto contestati, trattandosi per l’appunto di una valutazione potenzialmente destinata a condurre a conclusioni diverse».
5.2. L’insegnamento della pronuncia delle Sezioni Unite COGNOME è, quindi, nel senso di ammettere la contestazione in fatto delle circostanze aggravanti, a condizione che, nel rispetto del diritto di difesa, l’imputazione riporti in maniera sufficientemente chiara e precisa gli elementi di fatto che integrano la fattispecie.
Chiarezza e precisione della contestazione vanno raccordate, di volta in volta, alle caratteristiche delle singole fattispecie circostanziali e, in particolare, all natura degli elementi costitutivi delle stesse: in presenza di elementi valutativi, il grado di determinatezza della contestazione va ragguagliato alla esplicitazione di essi.
Vi sono dei casi in cui la contestazione delle circostanze è resa immediatamente comprensibile dal mero riferimento a dati materiali che si possono definire “autoevidenti”, come ad esempio: il numero delle persone che hanno concorso nel reato di furto (art. 625, comma primo, n. 5, cod. pen.), quando l’imputazione indichi tutti i concorrenti; la pluralità delle persone offese, quando risulti dal capo di imputazione (Sez. 3, n. 28483 del 10/09/2020, D., Rv. 280013 – 02); il rapporto di parentela o di coniugio quando l’imputazione lo specifichi (Sez. 6, n. 4461 del 15/12/2016, dep. 2017, Rv. 269615 – 01, cit.); la minore età della vittima quando l’imputazione indichi l’età della persona offesa o la sua data di nascita (Sez. 5 n. 28668 del 09/06/2022, Rv. 283540 – 01).
Su versante opposto vi sono dei casi, come quello della aggravante del falso commesso su atto fidefacente deciso dalle Sezioni Unite COGNOME, che involgono elementi valutativi talmente complessi da non lasciare spazio ad alternative e rendere necessario esporre la natura fidefacente dell’atto, o direttamente, o mediante l’impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l’indicazione della relativa norma (Sez. U, n. 24906 del 18/04/2019, COGNOME, Rv. 275436).
Ciò induce a precisare che la natura “autoevidente” dell’elemento aggravatore non può farsi discendere dal carattere più o meno incontroverso
dell’inquadramento di esso da parte della giurisprudenza. Se così fosse – a parte la considerazione degli sviluppi a cui è sempre aperta la interpretazione giurisprudenziale- nella sentenza COGNOME non si sarebbe pervenuti a riconoscere la necessità di contestazione “ad hoc” in relazione ad una serie di casi riportabili alla aggravante dell’art. 476, comma 2, cod. pen., come quello del verbale redatto dalla Polizia giudiziaria, o della autentica del AVV_NOTAIO, atti pacificamente inquadrati dalla giurisprudenza nel novero di quelli fidefacenti.
Tra gli elementi “autoevidenti” e quelli implicanti valutazioni molto complesse si collocano le varie tipologie di circostanze che, come detto, richiedono una esplicitazione delle loro caratteristiche in termini adeguati.
Nella sentenza COGNOME si ricostruisce in modo articolato e non con una soluzione rigida la questione riguardante le modalità di contestazione delle aggravanti che non presentano la caratteristica della autoevidenza: una volta riconosciuto che la circostanza aggravante è integrata da elementi che richiedono un apprezzamento giuridico/fattuale di natura complessa il cui esito è necessariamente “aperto”, per le Sezioni Unite è, sì, doverosa una contestazione che risulti chiara e precisa e che richiami l’imputato ad una difesa accorta e puntuale; ma è anche consentito che il connotato giuridico in questione possa ritenersi adeguatamente contestato ed evidenziato mediante “espressioni evocative” che lo riguardino espressamente. E che, perciò, risultano idonee a sostituire, con la medesima efficacia, la contestazione formale.
È questo lo snodo rilevante della sentenza COGNOME che offre indicazioni preziose circa i limiti da porre alla c.d. “contestazione in fatto” quando l’aggravante è di natura “valutativa”, ma, per questa ipotesi, non pretende di dettare un criterio inflessibile riguardante le modalità attraverso le quali possa perseguirsi l’intento di una contestazione chiara e precisa circa la natura effettiva del fatto aggravatore. In tal modo finisce per demandare la soluzione alla analisi del caso per caso: il che dà anche conto della ragione delle diverse sensibilità alla base del contrasto giurisprudenziale venutosi a creare (così in motivazione testualmente Sez. 5, n. 14891 del 14/03/2024, COGNOME).
Invero, il ricorso alla perifrasi o al giro di parole con cui si significa un elemento che si potrebbe definire con un unico termine – da ritenersi consentito per le aggravanti “valutative” – si distingue dalla “contestazione in fatto” – invece non consentita.
6. Il Collegio aderisce alla giurisprudenza secondo cui ha natura “valutativa” e non “autoevidente” la circostanza aggravante dell’essere il bene, oggetto di furto, destinato a pubblico servizio; con la precisazione, però, che essa possa ritenersi contestata anche quando si faccia ricorso a perifrasi che, di quella
destinazione, siano univoca esemplificazione (così Sez. 5, n. 14891 del 14/03/2024, COGNOME, i cui passaggi motivazionali vengono di seguito ripresi).
6.1. Nella fattispecie, il pubblico ministero ha esercitato l’azione penale per un fatto così in origine descritto nel capo di imputazione: «del delitto p. e p. dagli artt. 99, co. 2, n. 1, comma terzo, 624, 625, n. 2 cod. pen. perché, al fine di procurarsi un profitto consistito nel soddisfare il fabbisogno elettrico dell’immobile , mediante un allaccio diretto alla rete di RAGIONE_SOCIALE, realizzato collocando tre cavi unipolari alla presa di alimentazione del contatore elettronico, si impossessava di una quantità indeterminata di energia elettrica sottraendola a RAGIONE_SOCIALE. Con le aggravanti dell’uso del mezzo fraudolento avendo, tramite le modifiche sopra descritte, escluso la registrazione dei consumi. Con recidiva reiterata e specifica».
6.2. La destinazione a pubblico servizio del bene-energia, oggetto di furto, non è un connotato intrinseco e autoevidente del bene medesimo, posto che, per essere affermata o negata, richiede una complessa valutazione da parte dell’interprete, riguardante anche norme extra-penali. Ciò che determina la punizione più grave è, infatti, la dimensione pubblica e collettiva dell’interesse eventualmente attinto nel caso concreto, tale da indurre il legislatore del 2022 a non estendere anche a tale ipotesi il novellato regime di procedibilità a querela di parte.
L’aggravante in questione mira a punire più severamenl:e l’azione ablativa dell’agente in quanto pertinente ad un bene che, per volontà del proprietario o del detentore, ovvero intrinseca qualità, serve ad un uso di pubblico vantaggio.
La verifica circa la sussistenza della aggravante in parola passa inoltre per la nozione, più generale, di “destinazione a pubblico servizio” che non è data dalla constatazione della fruizione pubblica del bene, bensì dalla qualità del servizio che viene organizzato anche attraverso la destinazione di risorse umane e materiali, e che è destinato appunto alla soddisfazione di un bisogno riferibile alla generalità dei consociati (Sez. 6, n. 698 del 03/12/2013, dep. 2014, Giordano, Rv. 257773).
Tale indagine attinge anche il tema, a lungo dibattuto soprattutto nel passato, della natura della aggravante come “di danno” o “di pericolo” essendo richiesto da taluni, per la sua sussistenza, che il fatto del colpevole abbia pregiudicato o almeno esposto a pericolo di pregiudizio il servizio pubblico. Il che non si realizzerebbe nel caso della energia elettrica che, malgrado la sottrazione, raggiunge sempre la propria normale destinazione, che è quella di essere consumata senza particolari limitazioni quantitative (v. per la soluzione affermativa a tale problematica: Sez. 2, n. 1176 del 20/06/1967, COGNOME, Rv. 105901 – 01; Sez. 2, n. 602 del 21/03/1967, COGNOME, Rv. 104749 – 01; Sez. 2, n. 49 del 17/01/1967, COGNOME, Rv. 104369 – 01; Sez. 2, n. 1663 del 25/11/1966 dep. 1967, COGNOME, Rv. 104717 –
01; Sez. 2, n. 521 del 25/03/1966, Capra, Rv. 102364; Sez. 2, n. 1393 del 15/10/1965, dep. 1966, COGNOME, Rv. 100071; nonché di recente Sez. 4, n. 48043, del 03/10/2023, Cascone, n.m. e Sez. 5 n. 2912 del 7/12/2023, dep. 2024, Covato, n.m.; per la soluzione contraria, Sez. 4, n. 21456 del 17/04/2002, Tirone, Rv. 221617 – 01; conf. Sez. 4, n. 1850 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266229 – 01; Sez. 4, n. 48529 del 07/11/2023, COGNOME, Rv. 285422 – 01).
Va infine considerato che la qualificazione della energia elettrica come servizio pubblico, riferito tanto alla fase della produzione che a quella della RAGIONE_SOCIALE, è stata il frutto di una serie di interventi normativi primari e secondari volti a disciplinare positivamente tali fasi con regolamentazione pubblica derogatoria, ad assoggettare il gestore al dovere di imparzialità e ad affermare la destinazione istituzionale dell’attività al pubblico.
Lo stesso art. 625 n. 7 bis cod. pen. che conforma l’effetto aggravatore ivi previsto al fatto che il bene sottratto afferisca ad un servizio pubblico – tale qualificando espressamente quello di erogazione della energia – assegna rilevanza decisiva alla condizione che debba trattarsi di servizio ‘gestito da soggetto pubblico o privato in regime di concessione pubblica.
6.3. In conclusione l’aggravante in questione è connotata da componenti di natura valutativa. Tuttavia, accanto alla contestazione formale della aggravante, può ritenersi consentita anche una tipologia di contestazione non formale che però deve essere congeniata in maniera da rendere manifesto all’imputato che dovrà difendersi dalla accusa di avere sottratto un bene posto al servizio di un interesse della intera collettività e diretto a vantaggio della stessa.
Tale scopo appare raggiunto quando – come nella specie e a differenza del caso deciso da Sez. 5, n. 3741 del 22/01/2024, COGNOME – nel capo di imputazione si faccia menzione di una condotta di furto di energia posta in essere mediante allaccio diretto alla rete di RAGIONE_SOCIALE dell’ente gestore; rete, per l’appunto, capace di dare luogo ad un “servizio” e destinata a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone, per soddisfare una esigenza di rilevanza “pubblica” (così Sez. 5, n. 14891 del 14/03/2024, COGNOME, n.m., nelle more depositata).
Discende che il Tribunale, a fronte di un capo di imputazione che presentava l’indicazione appena ricordata, ha fatto un uso errato della regola di giudizio posta dall’art. 129 cod. proc. pen., poiché, pur in presenza di contestata aggravante atta a rendere il reato perseguibile di ufficio, ha invece ritenuto decisivo il dato della mancanza di querela della persona offesa.
L’inosservanza dell’art. 129 cod. proc. pen. va analizzata e ritenuta anche se riguardata dallo specifico argomento prospettico segnalato dal Pubblico
ministero ricorrente, con il quale occorre, comunque, confrontarsi per la valenza rafforzativa che esso presenta rispetto alla soluzione data alla violazione di legge eccepita. E ciò anche nel caso in cui la formulazione del capo di imputazione non fosse tale da consentire, in concreto, la prima opzione decisoria.
7.1. Il ricorso deduce la violazione del combinato disposto degli artt. 517 e 129 cod. proc. pen. per avere, il giudice procedente, ritenuto prevalente la virtuale operatività della sopravvenuta causa di improcedibilità per mancanza di querela, rispetto alla efficacia che avrebbe dovuto invece riconoscersi alla previa contestazione suppletiva della aggravante della destinazione del bene – energia al pubblico servizio: contestazione volta a configurare ex novo una fattispecie aggravatrice idonea a determinare la procedibilità di ufficio ed effettuata dal Pubblico ministero all’udienza del 12 luglio 2023, nella fase degli atti preliminari al dibattimento, dopo che il processo era stato rinviato per ben tre volte senza dare parola alle parti.
Ha ritenuto il Tribunale che tale contestazione, pur ammissibile in linea di principio, non potesse spiegare, per tardività, i propri effetti, essendo questi inibiti dalla ormai sopravvenuta causa di improcedibilità del reato per mancata presentazione della querela entro la data del 30 marzo 2023; data fissata dal legislatore relativamente ai processi pendenti per uno dei reati che il d. Igs. n. 150 del 2022 aveva reso procedibili a querela di parte.
7.2. Il collegio non condivide le considerazioni giuridiche poste a fondamento della decisione impugnata per le ragioni che di seguito verranno sviluppate tenendo conto della necessità, richiamata nel provvedimento di restituzione, di evitare un contrasto con il principio espresso, in tema di prescrizione, dalla sentenza delle Sezioni Unite NOME (n. 49935 del 28/09/2023), dovendosi altrimenti azionare lo strumento previsto dall’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen. (nel senso prescelto dal collegio cfr. tra le massimate, Sez. F, n. 43255 del 22/08/2023, COGNOME, Rv. 285216; Sez. 4, n. 47769 del 22/11/2023, Rv. 285421 – 01; contra Sez. 5, n. 3741 del 22/01/2024, COGNOME, Rv. 285878 – 02).
Il ragionamento è incentrato sul rapporto tra artt. 129 e 517 cod. proc. pen. e segue (anche testualmente) quello che si rinviene nelle sentenze deliberate dalla quinta sezione all’udienza del 14 marzo 2024, nelle more depositate.
7.2.1. L’analisi letterale e sistematica delle due norme processuali appena richiamate restituisce la conformazione di un sistema che, sul versante dell’art. 129 comma 1 cod. proc. pen., prevede, tra i poteri/doveri del giudice disciplinati in via generale, quello di rilevare la mancanza della condizione di procedibilità “in ogni stato e grado del processo”; sul versante dell’art. 517 cod. proc. pen. riconosce, nel dibattimento – come anche nella udienza preliminare ai sensi dell’art. 423 cod. proc. pen. e nella udienza predibattimentale disciplinata dal
novello art. 554-bis cod. proc. pen. – il potere/dovere del pubblico ministero di contestare una circostanza aggravante non menzionata nel provvedimento introduttivo, senza necessità di autorizzazione del giudice.
Lo scopo della contestazione suppletiva, oggi enunciato nel citato art. 554-bis cod. proc. pen., consiste nel permettere che il capo di imputazione contenga la descrizione non solo del fatto, ma anche delle circostanze in termini corrispondenti a quanto emerge dal fascicolo, così da far garantire, alla fine del giudizio, il rispetto del principio di corrispondenza fra “chiesto” e “pronunciato”.
Il nuovo art. 554-bis cod. proc. pen. -introdotto dalla Riforma Cartabia che ha recepito, estendendola, la regola fissata dalla sentenza delle Sezioni Unite Battistella (n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008) – fornisce lo spunto per due ulteriori notazioni.
Anzitutto il legislatore, ammettendo contestazioni suppletive in limine litis, ha assegnato forza normativa al principio dettato dalle Sezioni Unite Barbagallo (n. 4 del 28/10/1998, dep. 1999) secondo cui la modifica dell’imputazione di cui all’art. 516 cod. proc. pen. e la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante di cui all’art. 517 cod. proc. pen. possono essere effettuate anche sulla sola base degli atti già acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari.
In secondo luogo il medesimo legislatore ha fatto seguire all’art. 544-bis cod. proc. pen. il nuovo art. 544-ter che declina, tra l’altro, la regola della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità; come a disegnare due scansioni processuali in rapporto logico e cronologico tra loro: Drima si “aggiusta” la contestazione, anche grazie all’intervento del giudice, in modo che l’accusa rappresenti fedelmente il fatto storico principale e le sue connotazioni circostanziali, poi si procede, eventualmente, alla immediata definizione del processo.
Sul fronte dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., va osservato che la norma stabilisce un criterio di prevalenza di alcune formule proscioglitive (sostanziali o processuali) su qualsiasi attività ulteriore, anche volta ad approfondimenti istruttori in favore dell’imputato.
7.2.2. La relazione sistematica fra l’art. 517 e l’art. 129 del codice di rito è stata analizzata dapprima dalla giurisprudenza facente capo alla sentenza delle Sezioni Unite De COGNOME (n. 12283 del 25/01/2005), e, successivamente, da altro caposaldo della esegesi costituito dalle Sezioni Unite NOME (n. 49935 del 28/09/2023, cit.), che ha interpretato evolutivamente i precetti antecedentemente enunciati, valorizzando, tra gli altri, quelli della sentenza delle Sezioni Unite Perroni (n. 539 del 30/01/2020).
La prima sentenza -pur massimata in ordine al tema specificamente devoluto che era quello della prospettata illegittimità della pronuncia ex art. 129 cod. proc. pen. con rito de plano ha chiarito perché il rito, privo di contraddittorio, è inidoneo a tal fine e ne ha indicato le ragioni, da un lato, nel rilievo che l’art. 129 non attribuisce al giudice un potere ulteriore e autonomo al di fuori di quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l’epilogo proscioglitivo nelle varie fasi e nei diversi gradi del processo (artt. 425, 469, 529, 530 e 531 stesso codice): epilogo che dunque deve avvenire con le precisate cadenze e modalità procedimentali e non in modo disancorato da queste; dall’altro, nel fatto che una pronuncia estemporanea e anticipata della causa di non punibilità incide negativamente sulla partecipazione al procedimento del pubblico ministero al quale viene precluso l’esercizio delle facoltà tese eventualmeni:e a meglio definire e suffragare l’accusa, e determina la violazione del diritto di difesa dell’imputato, al quale viene interdetto l’esercizio di facoltà esperibili solo nell’ambito della fase o grado in essere.
Il portato essenziale dell’art. 129 cod. proc. pen. è stato cioè individuato nella inibizione al giudice, susseguente alla rilevazione della causa di non punibilità, dei poteri istruttori relativi al thema decidendum, con l’effetto che l’ambito della sua cognizione deve rimanere cristallizzato allo stato degli atti. E ciò, in nome della semplificazione del processo e del favor rei. Ma non anche nella inibizione della attività processuale, diversa da quella istruttoria, che deriva dal diritto delle parti all’ascolto nel contraddittorio, avendo esse la potestà di dare sfogo alle pretese proprie della fase processuale in essere.
Tra queste, viene espressamente richiamata, nella motivazione della sentenza COGNOME – accanto a taluni poteri e diritti dell’imputato e della persona offesal’esclusiva potestà del pubblico ministero di modificare l’imputazione.
La pronuncia delle Sezioni Unite NOME, riguardante un caso di contestazione suppletiva a fronte della maturata causa di estinzione del reato per prescrizione, ha accolto, espressamente, la suddetta sistematica ma l’ha anche “rivista” in un punto essenziale: ha costruito il rapporto fra la contestazione suppletiva e causa di estinzione precedentemente perfezionatasi in termini di prevalenza della seconda che, per effetto della sentenza, acquisisce forza giuridica “ora per allora” con riferimento non al momento della sua dichiarazione formale ma a quello della sua maturazione.
Ne consegue che l’attività processuale eventualmente svolta dopo tale momento non produce effetti, rimanendo neutralizzata dall’espandersi degli effetti della causa estintiva.
La ratio di tale reimpostazione della questione complessiva appare riconducibile all’apprezzamento, del tutto condivisibile, dei principi costituzionali
sottesi alla prevalenza massima accordata alla causa di estinzione del reato per prescrizione (avente natura esclusivamente sostanziale, direttamente dipendente dal decorso di un tempo così lungo da far venire meno l’interesse punitivo dello Stato) e alla accentuazione del suo dover essere dichiarata con “immediatezza”.
L’impianto del richiamato principio sulla causa di improcedibilità per difetto di querela ha indotto il collegio a percorrere una strada diversa alla luce degli effetti distorsivi che avrebbe prodotto in un caso, quale quello in esame, connotato da normativa processuale specifica e sopravvenuta.
8.1. I temi sono quello della incidenza della peculiare regolamentazione derivante dalla cd. riforma Cartabia che ha coinvolto, nel mutamento delle regole sulla nuova procedibilità a querela, con apposito regime transitorio, anche reati sub iudice originariamente contestati secondo il rito della procedibilità di ufficio; quello, correlato, delle ricadute del principio di diritto enunciato dalla sentenza delle Sezioni Unite NOME, ove applicato in modo automatico al caso processuale in esame, soprattutto con riferimento alla possibile disparità di trattamento tra pubblico ministero e persona offesa, quello della possibilità o meno di una valutazione scissa delle plurime ipotesi di non punibilità all’interno dell’art. 129 cod. proc. pen.
Per tale ragione, la presente decisione, pur non ponendosi in linea col precedente rappresentato dalla citata Sez. 5, n. 3741 del 2024, COGNOME, Rv. 285878 – 02 cit., non appare ancora tale da radicare un contrasto interpretativo vero e proprio dal momento che si propone di rappresentare anche profili di analisi ulteriori e correlati alla peculiarità del regime transitorio della riforma Cartabia in tema di nuova procedibilità a querela.
8.2. L’analisi della prima questione fa emergere la peculiarità della situazione venutasi a creare con la vigenza del regime ordinario e transitorio previsto dalla riforma Cartabia (artt. 2 e 85 del d.lgs. n. 150 del 2022) in tema di furto aggravato: esso è passato dalla procedibilità di ufficio alla procedibilità a querela, salva la ipotesi, per quanto qui di interesse, dell’art. 625 n. 7 cod. pen. (con ulteriore eccezione riferita alla aggravante della esposizione alla pubblica fede).
In relazione ai numerosissimi reati di tal genere – contestati con aggravanti ex art. 625 diverse da quella indicata e portati a giudizio (nel caso di specie con un atto di citazione risalente addirittura al 6 agosto 2021) secondo le regole della procedibilità di ufficio poi superata- la normativa in questione ha riconosciuto alla persona offesa il potere di “riportare” il reato sui binari della procedibilità presentando querela entro il 30 marzo 2023 (tre mesi dalla entrata in vigore della riforma).
Nessun accorgimento occorreva accordare all’organo di accusa, al quale il sistema processuale già apprestava uno speculare e ordinario mezzo per il ripristino della procedibilità, attraverso lo strumento della contestazione suppletiva della circostanza aggravante utile, ove sussistente (art. 517 cod. proc. pen.).
Negare gli effetti di tale legittimo atto propulsivo del Pubblico ministero, in ragione dell’operatività della causa di improcedibilità “ora per allora”, anche in casi nei quali il Pubblico ministero non ha avuto alcuna possibilità di assumere l’iniziativa necessaria per adeguare il processo alle nuove regole, mette in pericolo, ad opinione di questo collegio, i valori tutelati dagli artt. 3 e 112 Cost.
8.3. Al riguardo, va evidenziato che l’esercizio del potere di contestazione suppletiva della aggravante, come riconosciuto dall’art. 517 cod. proc. pen. non prevede decadenze o limitazioni, neppure nel caso in cui l’elemento di fatto aggravatore fosse emerso già prima dell’esercizio della azione penale (sul punto cfr. sopra paragrafo 7.2.1.).
Pertanto, tenuto conto del momento in cui, per effetto della novella, si è posto il tema della nuova procedibilità del reato, e della durata del conseguente regime transitorio disegnato per l’iniziativa anche fuori udienza della persona offesa, la eventuale inattività processuale durante tale periodo impedisce di fatto al pubblico ministero di reagire in tempo e di prevenire il rischio della declaratoria di improcedibilità del reato. Sicché non appare ragionevole inibirgli il potere di contestazione suppletiva della aggravante nella prima udienza utile fissata dopo il 30 marzo 2023.
Nel caso di improcedibilità sopravvenuta il rapporto con il potere di contestazione suppletiva torna ad essere il frutto di un’opportuna valorizzazione del principio costituzionale della obbligatorietà della azione penale come tracciato dalla giurisprudenza maggioritaria al di fuori della ipotesi analizzata dalla sentenza delle Sezioni Unite NOME, che non ha inteso prendere le distanze dalla sentenza delle Sezioni Unite De COGNOME nel suo impianto generale.
8.4. Resta infine da esaminare la compatibilità della opzione interpretativa qui sostenuta con la struttura dell’art. 129 cod. proc. pen.: se, cioè, le diverse situazioni processuali evocate nell’articolo citato esigano un trattamento unitario oppure siano assoggettabili anche a valutazioni talvolta non omogenee.
Tale seconda opzione appare consentita, soprattutto quando è funzionale a una lettura compatibile costituzionalmente con il fenomeno processuale in rilievo.
8.4.1. La regola generale di cui all’art. 129 cod. proc. peri., sebbene sancita indistintamente per tutti i casi dalla stessa contemplati, non può non declinarsi in relazione ai caratteri specifici e alla correlativa modalità operativa delle cause di non punibilità di cui si occupa.
Nella giurisprudenza di legittimità è incontroverso che le mancanza di una condizione di procedibilità, come la querela, osta all’inizio di qualsiasi attività processuale, e quindi, di qualsiasi altra indagine in fatto (così in motivazione Sez. U, n. 35599 del 21/06/2012, COGNOME) compresa quella riguardante l’esistenza in vita dell’imputato (Sez. U, n. 49783 del 24/09/2009, COGNOME, Rv. 245163).
Proprio in ragione della natura di statuizione processuale, la declaratoria di improcedibilità produce un effetto di giudicato che si potrebbe definire “affievolito”: essa non rappresenta una decisione che investe la regiudicanda, ma si arresta ad uno stadio pregiudiziale vale a dire al rilievo del difetto di una condizione necessaria perché il giudizio possa svolgersi o possa proseguire.
Le specifiche connotazioni della sentenza di improcedibilità inducono a ritenere che la verifica della sussistenza delle condizioni preliminari per procedere al giudizio vada compiuta avendo riguardo alla situazione esistente nel momento in cui la pronuncia deve essere assunta.
In caso contrario si avrebbe che il giudice dovrebbe rilevare la presenza di un ostacolo all’esame del merito della res iudicanda quando oramai quell’ostacolo è stato rimosso e sarebbe irragionevole dichiarare l’impossibilità di proseguire l’azione penale quando in realtà l’impedimento a procedere è venuto meno.
In definitiva:
il Pubblico ministero può validamente effettuare la contestazione suppletiva di una circostanza aggravante che renda il reato procedibile di ufficio: ne ha il potere; ne ha l’occasione (offerta dal segmento processuale del contraddittorio che deve sempre necessariamente precedere l’assunzione della decisione);
con la contestazione suppletiva il thema decidendi si estende alla circostanza aggravante e viene eliminato l’ostacolo processuale al prosieguo dell’azione penale;
il giudice non ha ragione di emettere una sentenza di improcedibilità, poiché non si è realizzato alcun effetto preclusivo definitivo che imponga una pronuncia “ora per allora”, dato che, nel caso di declaratoria di improcedibilità – a differenza dell’ipotesi di estinzione di un reato che, essendosi “spento” nella dimensione sostanziale, non può rivivere – anche i fatti sopravvenuti assumono rilievo e la decisione deve verificare la situazione al momento in cui è resa.
8.4.2. Assevera tale approdo il rilievo che all’interno dell’art. 129 – che pure è norma riepilogativa degli epiloghi decisori “immediati” in favore dell’imputato il non doversi procedere per mancanza della condizione di procedibilità viene regolato in termini diversi nel primo e nel secondo comma.
In base al primo comma, rappresenta un epilogo processuale che opera al pari di quella sostanziale per proscioglimento nel merito o per estinzione, e, di per sé, inibisce anche qualsiasi ulteriore attività istruttoria, o “qualsiasi altra indagine
in fatto” anche diretta all’accertamento della assenza di responsabilità, come attestano le sentenze che in presenza di tale causa di non punibilità non ritengono consentita la comparata valutazione sulla contestuale sussistenza delle cause di proscioglimento nel merito (Sez. 6, n. 5455 del 2020, Rv 280734; Sez. 2, n. 9803 del 1984, Rv 166567; Sez.2, n. 45160 del 2015, Rv 265098; Sez. n. 4746 del 1996, Rv 204841; Sez. U, n. 49783 del 2009, Rv 245163); invece, in base al comma 2 dell’art. 129 la declaratoria di non doversi procedere per mancanza di condizione di procedibilità non è menzionata assieme alle cause di estinzione del reato che, dal canto loro, sono assoggettate alla regola della prevalenza del proscioglimento nel merito, quando evidente.
8.4.3. Infine va menzionata la giurisprudenza a Sezioni Unite (Sez.U, n. 24246 del 2004, Rv 227681, COGNOME) che, in tema di rapporto tra giudicato sostanziale (da ricorso inammissibile) e causa estinzione del reato per remissione di querela, ha già dato prova di effettuare una distinzione rispetto alle altre cause di estinzione del reato elencate nell’art. 129 cod. proc. pen., in ragione della peculiare struttura processuale degli effetti della remissione. Ha infatti ritenuto la remissione capace di prevalere, a differenza delle altre cause estintive.
8.5. Il complesso del rapporto così ricostruito fra contestazione suppletiva e maturata causa di improcedibilità, quantomeno in relazione alle coordinate temporali sopra evidenziate e alla novità rappresentata dalla riforma Cartabia sul tema, porta a concludere nel senso che deve essere riconosciuta piena efficacia giuridica e operativa alla contestazione suppletiva effettuata in udienza dal Pubblico ministero pur quando la improcedibilità si è virtualmente prodotta.
9. In conclusione, la ragione dell’accoglimento del ricorso per saltum del Pubblico ministero è, nel caso concreto, quella della ritenuta attitudine della originaria contestazione di reato a renderlo procedibile di ufficio; pertanto la sentenza impugnata deve essere annullata e il rinvio va disposto, ai sensi dell’art. 569 comma 4 cod. proc. pen., alla Corte di appello di Catania per il relativo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Catania. Così deciso il 03/04/2024