Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 19021 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 19021 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 15/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 06/08/1963
COGNOME NOME nato a MENFI il 14/04/1955
NOME Benedetto nato a PALERMO il 29/05/1980
COGNOME NOME COGNOME nato a PALERMO il 05/02/1958
COGNOME NOME nato a PALERMO il 13/10/1978
con la parte civile, non ricorrente: RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza del 21/05/2024 della Corte d’appello di Palermo Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che che ha chiesto l’inammissibilità dei ricorsi.
uditi i difensori:
L’Avv. NOME COGNOME in sostituzione dei difensori di COGNOME e COGNOME, si riporta integralmente ai ricorsi e ne chiede l’accoglimento.
Gli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME per COGNOME insistono per l’accoglimento del ricorso.
. RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 30 settembre 2021, il Tribunale di Palermo riteneva NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME colpevoli di parte dei delitti loro rispettivamente ascritti, una numerosa serie di furti aggravati di energia elettrica (oltre 90), commessi in concorso con gli utenti del servizio, per avere alterato la misurazione dei consumi, intervenendo sui contatori installati dall’ente erogante.
Per il relativo delitto associativo veniva dichiarata la responsabilità del solo NOME COGNOME quale capo ed organizzatore, essendosi il reato prescritto nei confronti degli altri imputati (tutti i nominati e quindi COGNOME, COGNOME e COGNOME, ad esclusione del solo COGNOME che ne veniva assolto per non avere commesso il fatto).
Quanto, in dettaglio, alle imputazioni inerenti i delitti di furto aggravato di energia elettrica:
–NOME COGNOME l’organizzatore ed il gestore del laboratorio ove venivano portati e manomessi i contatori, era dichiarato responsabile di tutti i delitti ascrittigli ad eccezione di quelli indicati ai capi 5.3, 9, 10, 11 e 65 da dichiararsi estinti per prescrizione e al capo 55 da cui veniva assolto perché il fatto non sussiste;
NOME COGNOME, che aveva ricoperto il ruolo di intermediario fra COGNOME e gli utenti del servizio residenti nella zona di Palermo ovest, era dichiarato colpevole tutti i delitti ascrittigli ad eccezione di quelli di cui ai capi 2.1., 5.3, 5.3 bis, 67.2, perché estinti per prescrizione e veniva assolto dai capi 62, 63, 64, 67.3 per non avere commesso il fatto;
NOME COGNOME che aveva svolto il ruolo di intermediario fra COGNOME e gli utenti del servizio residenti nella zona di Palermo est, NOME COGNOME il cui ruolo era stato quello di provvedere alla materiale manomissione dei contatori, e NOME COGNOME titolare con il fratello di una ditta di impianti elettrici (e che avevano collaborato in alcune occasioni con il COGNOME), erano dichiarati colpevoli di tutti i reati di furto loro ascritti.
1.1. La Corte di appello di Palermo, decidendo sugli appelli degli odierni ricorrenti, in parziale riforma della ricordata sentenza del Tribunale, aveva:
dichiarato non doversi procedere per estinzione del reato nei confronti di NOME COGNOME per il delitto associativo di cui al capo A e per il reato fine di cui al capo 62;
ridotto la pena inflitta a NOME COGNOME
confermato la condanna di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Osservando quanto segue.
Il delitto associativo si era prescritto anche nei confronti di NOME COGNOME, capo ed organizzatore del sodalizio, nei cui confronti non poteva essere pronunciata sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. poiché, alla luce delle emergen ze istruttorie, si era ampiamente dimostrata l’esistenza di uno stabile sodalizio fra il medesimo COGNOME ed i coimputati COGNOME COGNOME e COGNOME (pur se questi erano stati prosciolti, sempre per prescrizione, in prime cure), tale da consentire la consumazione dei numerosi reati-fine contestati e riconosciuti, proprio grazie al fatto che COGNOME stesso aveva organizzato l’attività, COGNOME e COGNOME avevano contattato gli utenti interessati e COGNOME aveva materialmente effettuato gli interventi sui contatori.
Quanto alle condotte contestate quali delitti di furto aggravato di energia elettrica non poteva addivenirsi, come invocato dalle difese, alla loro riqualificazione nell’ipotesi della frode informatica, punita ai sensi dell’art. 640 ter cod. pen., ostandov i il fatto che le stesse avevano comportato la materiale sottrazione dell’energia all’ente erogatore della medesima, una circostanza che era stata costantemente ritenuta, dalla giurisprudenza di legittimità, concretare il delitto di furto e non quello di truffa (si citavano Cass. SU Rv. SU 206174 e le adesive n. 10354/2020, ed Rv. 234425, NUMERO_CARTA, 230696), dovendosi accostare, la frode informatica, alla seconda ipotesi di reato, trattandosi sempre di reati di frode.
Aggiungeva la Corte di merito che, non sempre, come emergeva fin dalle imputazioni, la sottrazione dell’energia si era consumata con la manipolazione del chip di misurazione dei consumi installato nei contatori, ma era stata anche realizzata (in un numero non irrilevante di occasioni) alterando il funzionamento degli ordinari sistemi meccanici (ponendo un ponticello fra l’entrata e l’uscita della fase o piazzandovi delle calamite) e, comunque, si era sempre agito sia sradicando i contatori sia forzandone i sigilli, coinvolgendo così, la loro complessiva condotta, anche beni che non potevano certo definirsi ‘informatici’.
Quanto al trattamento sanzionatorio, la Corte territoriale osservava;
al COGNOME considerando il ruolo rivestito, non potevano essergli riconosciute le circostanze attenuanti generiche e non poteva essere altrimenti diminuita la pena;
a COGNOME COGNOME e COGNOME non potevano essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche, non essendo state individuate ragioni di meritevolezza e tenendo conto del loro sistematico contributo alla complessiva vicenda.
Quanto, infine, alla particolare posizione di NOME COGNOME (riconosciuto colpevole dei soli delitti di cui ai capi 22.1 e 22.2), il suo concorso nei fatti era adeguatamente provato da quanto rilevato dalle immagini tratte dalle videoriprese esterne al ‘laboratorio’ del COGNOME, dalle quali si era potuto evincere che questi aveva accompagnato il fratello NOME (separatamente giudicato) presso quel ‘laboratorio’, prima portando dei contatori e poi, dopo avere incontrato COGNOME, ritirandoli dopo la loro
manomissione (in un complessivo contesto la cui illiceità era provata anche dal contenuto delle conversazioni intercettate).
Hanno proposto ricorso tutti gli imputati indicati, ciascuno a mezzo del proprio difensore.
2.1. L’Avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME, ha articolato due motivi.
2.1.1. Con il primo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in riferimento alla mancata riqualificazione delle condotte, contestate a titolo di furto aggravato di energia elettrica, nell’ipotesi della frode informatica punita dall’art. 640 ter cod. pen.
La Corte d’appello aveva affermato che la manipolazione dei contatori del consumo di energia elettrica era avvenuta accedendo al loro interno con la rottura dei piombi di copertura dei morsetti e alterando la misura dei consumi o inserendo un ponticello fra l’entrata e l’uscita della fase o apponendo delle calamite, così però confondendo il nuovo contatore elettronico con il vecchio contatore elettromeccanico.
E, invece, dalla stessa lettura dell’imputazione era emerso come l’imputato avesse manipolato i contatori intervenendo sul software e sull’hardware dei medesimi, solo in tal modo alterando la misurazione dei consumi.
Doveva, infatti, tenersi conto che, grazie ai nuovi contatori digitali, i consumi potevano anche essere letti a distanza. Gli stessi, pertanto, dovevano essere considerati degli ‘strumenti elettronici informatici’ e il loro collegamento a distanza con l’en te erogatore (per la lettura dei consumi) realizzare un vero e proprio ‘sistema informatico’.
In concreto, l’alterazione della misura avveniva collegando il chip della memoria del contatore ad un personal computer facendone regredire il conteggio. Così da fornire letture errate al fornitore del servizio.
Si trattava, in conclusione, di un ‘sistema telematico’, la cui alterazione andava punita ai sensi dell’art. 640 ter cod. pen., un delitto di cui ricorrevano tutti gli elementi essenziali.
2.1.2. Con il secondo motivo lamenta il vizio di motivazione in ordine alla mancata risposta della Corte in riferimento al concorso del COGNOME nei reati di furto addebitatigli.
2.2. Gli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME per NOME COGNOME hanno articolato tre motivi di ricorso.
2.2.1. Con il primo deducono la violazione di legge in relazione all’omessa o errata notifica all’imputato assente del deposito fuori termine della sentenza d’appello.
L’imputato era rimasto assente in entrambi i gradi di giudizio, la sentenza della Corte d’appello (del 21 maggio 2024) era stata depositata oltre il termine previsto di novanta giorni (il 5 dicembre 2024). L’estratto della sentenza era stato notificato ai difensori mentre all’imputato, il 13 dicembre 2024, era stato notificato l’avviso riguardante altra pronuncia (la sentenza n. 3905 del 11 luglio 2024 pronunciata a carico di altri imputati).
Si era così determinato un vizio costituente un’ipotesi di nullità a regime intermedio, non essendo mai decorsi, nei confronti dell’imputato COGNOME, i termini per proporre ricorso (Cass. Rv. 282526, 279100, 264832, 261763, 253917).
Ne conseguiva l’invalidità del presente grado di legittimità, celebrato solo a seguito del ricorso dei difensori.
Le stesse Sezioni unite, con la sentenza n. 698/2020, avevano chiarito come l’estratto della sentenza pronunciata in rito abbreviato deve essere notificato all’imputato assente.
Qualora non si condividesse l’approdo a cui la difesa era pervenuta, la questione andava rimessa alle Sezioni unite.
2.2.2. Con il secondo motivo lamentano la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla argomentazione spesa dalla Corte di merito in ordine alla colpevolezza del prevenuto.
La Corte si era richiamata a quanto argomentato dal primo giudice, così omettendo di considerare le prove decisive già trascurate dal Tribunale.
In ordine alla invocata riqualificazione delle condotte di furto in quella di frode informatica, non si era formulato alcun autonomo giudizio. Non si era considerato che tale reato poteva ricorrere anche quando veniva modificato non tanto e non solo il sistema informatico stesso ma anche quando vengano alterati i dati in esso contenuti.
Doveva considerarsi che un sistema informatico è quello che consente la registrazione di dati attraverso impulsi elettronici, e ne permette l’elaborazione e l’organizzazione per gli scopi per cui è stato implementato, mentre il sistema telematico è dato dalla possibilità di più sistemi informaci di interagire a distanza (vd. Cass. n. 24634/2018 e n. 41767/2017).
2.2.3. Con il terzo motivo lamentano la violazione di legge ed il vizio di motivazione in riferimento al trattamento sanzionatorio.
Non era adeguatamente motivato il diniego delle circostanze attenuanti generiche, che avrebbero consentito di fissare la pena in una misura più congrua. A tale proposito non si era compiuta alcuna verifica alla luce dei criteri dettati dall’art. 133 cod. p en.
2.3. L’Avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME ha articolato cinque motivi di ricorso.
2.3.1. Con il primo -premessa la rassegna delle imputazioni, ricordati i criteri da seguire nella valutazione delle prove (in particolare delle emergenze dalle conversazioni intercettate), ripresi i motivi di appello e dato conto della loro confutazione ad opera della Corte distrettuale -deduce (da pg. 74) la violazione di legge in riferimento alla mancata assoluzione del prevenuto dal delitto associativo (dal quale era stato prosciolto per prescrizione in prime cure).
La Corte non aveva ritenuto ravvisarsi l’evidenza della prova dell’innocenza dell’imputato, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., così confermando il solo proscioglimento per prescrizione pronunciato dal Tribunale, nonostante non vi fossero elementi da cui trarre la conclusione che non fosse ravvisabile il solo concorso di persone nei reati di furto aggravato.
Peraltro, in capo al COGNOME, era del tutto carente la prova della sua adesione al fine per il quale l’associazione sarebbe stata costituita.
Così da inficiare anche le ragioni per le quali non erano state concesse al ricorrente le circostanze attenuanti generiche.
2.3.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge in riferimento alla mancata riqualificazione delle condotte nelle ipotesi di cui all’art. 640 ter cod. pen.
I reati contestati al ricorrente (di cui ai capi 14, 19, 27, 52.1, 52.2) erano stati, infatti, consumati alterando i dati informatici contenuti nell’eprom, il chip informatico, installato nel contatore. Non vi era stata, in tali circostanze, alcuna manomissione meccanica.
Quanto, invece, alle condotte ascritte ai capi 25, 36.1, 36.2, 42, 61 e 66, gli interventi fisici sugli organi del contatore, non avevano consentito al COGNOME stesso di impossessarsi dell’energia elettrica (impossessamento ascrivibile ai soli utenti del servizio), con la conseguente impossibilità di attribuirgli il delitto di furto della medesima, rientrando pertanto la sua condotta ancora nell’alveo dell’art. 640 ter cod. pen., posto che si era indotto in errore l’ente erogatore circa la misura del prelie vo effettuato con il suo pieno consenso.
2.3.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge in rifermento al ritenuto concorso del ricorrente nei delitti al medesimo contestati ai capi 51.1. e 51.2.
La prova del medesimo era stata, infatti, tratta dalla mera presenza del ricorrente nel furgone condotto dal coimputato COGNOME, al quale soltanto erano pertanto attribuibili le compiute manomissioni.
2.3.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di legge posto che, ricondotte le condotte contestate all’ipotesi di cui all’art. 640 ter cod. pen., le stesse, escluse le contestate aggravanti, dovevano essere dichiarate estinte per prescrizione.
Qualora non si addivenisse a tale riqualificazione, dovevano comunque escludersi le aggravanti contestate ai sensi degli artt. 625 e 61 n. 11 cod. pen., così da integrare la sola fattispecie del furto semplice.
E, comunque, le dette circostanze aggravanti avrebbero dovuto essere dichiarate equivalenti a quelle di cui all’art. 62 bis cod. pen., così che anche i contestati furti dovevano essere dichiarati estinti per prescrizione.
2.3.5. Con il quinto motivo deduce la violazione di legge per esser errato il calcolo della pena.
L’aumento per la continuazione era stato fatto in relazione a dieci reati quando invece gli stessi erano soltanto nove.
Anche la pena base era errata. La si sarebbe dovuta calcolare avendo riguardo o alla pena prevista dall’art. 640 ter o a quella del primo comma dell’art. 624, dichiarandosi l’equivalenza sulle circostanze eterogenee e poi disporre gli aumenti per la contin uazione (per un minimo di 7 reati o per un massimo di 9, come si afferma in ricorso).
2.4. L’Avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME ha articolato due motivi di ricorso.
2.4.1. Con il primo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta responsabilità del ricorrente per i delitti di furto ascrittigli ai capi 15, 16, 21.1, 21.2, 31.1, 31.2, 31.3, 35, 51, 58, 60 e 61.
Tali condotte infatti avrebbero dovuto essere diversamente qualificate ai sensi dell’art. 640 ter cod. pen. che punisce chiunque, alterando il funzionamento di un sistema informatico, intervenendo sui dati in esso contenuti, procura a sè o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.
Il prevenuto infatti aveva solo concorso a manipolare i dati registrati nel contatore. In analoghe circostanze (in tema di slot machine con appropriazione di somme spettanti allo Stato a titolo di imposta) la Corte di cassazione (n.17318/2018, 48553/2018, 24634/2018) aveva ritenuto concretarsi proprio la violazione di tale norma.
2.4.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in riferimento alla misura della pena irrogata.
La contenuta gravità del fatto e del concorso apportatovi dal ricorrente avrebbe dovuto comportare una congrua riduzione della pena.
Non ostavano alla concessione delle attenuanti generiche i precedenti penali del prevenuto.
2.4. L’Avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME deduce, con l’unico motivo, il vizio di motivazione in ordine al ritenuto concorso del ricorrente nei reati consumati da NOME COGNOME.
Quest’ultimo, infatti, aveva avuto contatti telefonici con il solo gemello del ricorrente, NOME COGNOME né poteva avere valore dirimente il fatto che l’imputato fosse stato ripreso, peraltro in una sola occasione, accompagnare il congiunto nel ritirare un pacco dal COGNOME.
Né il gemello, nelle conversazioni intercettate ed intercorse con il COGNOME, aveva mai fatto riferimento all’odierno ricorrente.
Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha inviato la requisitoria scritta con la quale ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
Il difensore del COGNOME ha inviato una memoria con la quale ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
4.1. I difensori di COGNOME hanno inviato memoria con la quale hanno insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso, osservando anche che i delitti contestati al prevenuto si erano, nel frattempo, prescritti sia, per alcuni, avendo riguardo alla data della specifica condotta attribuita al ricorrente, sia, comunque, con riguardo al tempo trascorso, ad oggi, dalla consumazione indicata in imputazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi promossi nell’interesse degli imputati sono tutti manifestamente infondati.
Va, innanzitutto, affrontata l’eccezione di nullità dell’odierna fase di legittimità avanzata dai difensori di NOME COGNOME per non avere questi ricevuto l’avviso del deposito, fuori termine, della motivazione della sentenza oggi impugnata.
Avviso che i suoi difensori assumevano di avere regolarmente ricevuto e che, invece, era stato comunicato all’imputato inviandogli, erroneamente, la copia di una diversa sentenza, determinandone così l’invalidità.
Per risolvere tale questione il Collegio ha compulsato gli atti del fascicolo, dal momento che quando viene dedotto, con il ricorso per cassazione, un “error in procedendo” la Corte di cassazione è giudice anche del fatto, così potendo accedere
all’esame diretto degli atti processuali (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092 -01).
Da tale verifica si è potuto evincere che, realmente, l’imputato COGNOME aveva ricevuto, il 13 dicembre 2024, l’avviso di deposito di una sentenza che veniva allegata e che era però diversa dalla sentenza oggi impugnata. Si era trattato di un evidente errore materiale (posto che la diversa sentenza non annoverava neppure il COGNOME fra gli imputati) ma che aveva determinato l’invalidità nei suoi confronti dell’avviso.
E, tuttavia, è anche emerso che l’avviso di deposito della sentenza oggi impugnata gli è stato notificato il successivo 7 marzo 2025.
Di tale notifica i difensori dell’imputato non avevano dato atto alcuno, neppure (il loro ricorso era stato presentato in epoca precedente) con la memoria successiva a tale data.
1.1. Premessi i ricordati dati processuali, si osserva quanto segue.
Deve, innanzitutto, sgombrarsi il campo da una possibile suggestione.
La questione proposta dai difensori di COGNOME non ricalca quella oggetto di risoluzione di contrasto ad opera della pronuncia delle Sezioni unite Sinito (n. 698 del 24/10/2019, dep. 2020) – in cui si era precisato che la sentenza emessa nel giudizio abbreviato (ed il presente è un giudizio abbreviato) non deve essere notificata per estratto all’imputato assente ai sensi dell’art. 548 comma 3, cod. proc. pen. – dal momento che, nell’odierno caso di specie, non si trattava di notificare l’estratto della sen tenza all’imputato assente ma si doveva comunicare l’avviso di deposito, fuori termine, della sentenza (sia essa pronunciata nel rito ordinario, sia in quello semplificato) come richiesto, indubitabilmente, dal comma 3 del medesimo art. 548.
1.2. Quanto al merito dell’eccezione, l’intervenuta notifica all’imputato dell’avviso del deposito delle motivazioni della sentenza della Corte d’appello muta radicalmente il presupposto dell’eccezione, dal momento che l’adempimento dovuto non era stato de l tutto omesso ma solo compiuto in data successiva.
Tale per cui i difensori del COGNOME -e non il COGNOME stesso non essendo consentita dall’art. 613 cod. proc. pen. la proposizione personale del ricorso – avrebbero potuto presentare un ulteriore ricorso.
Presentazione che, tuttavia, non è stata neppure ipotizzata, nemmeno nella memoria che i due difensori (ed il ricorrente non avrebbe potuto munirsi di un terzo patrono) hanno inviato a questa Corte.
Né la difesa aveva ritenuto di mutare i presupposti dell’eccezione nonostante l’intervenuto modifica dei suoi presupposti, dall’omessa comunicazione dell’avviso all’essere stato, il medesimo comunicato il 7 marzo 2025.
Si deve pertanto ritenere l’eccezione, così come proposta, manifestamente infondata dal momento che si fonda su una situazione processuale divenuta inattuale.
Si passa così all’esame delle ulteriori censure proposte nei ricorsi.
Iniziando da quella sollevata negli atti di impugnazione da tutti i ricorrenti (con la sola eccezione del Bellante): la mancata riqualificazione delle condotte contestate a titolo di furto aggravato di energia elettrica nella ipotesi, di minor gravità, della frode informatica.
2.1. Sul punto, però, prima di affrontare la questione di diritto, va anche considerato che, anche in fatto, le doglianze risultano manifestamente infondate.
La Corte di merito e prima ancora il Tribunale avevano, infatti, osservato come solo una parte dei contatori erano di tipo elettronico posto che i rimanenti erano invece elettromagnetici tanto da essere manipolati con i classici sistemi meccanici, del ponticello posto fra le fasi e del posizionamento di un magnete.
In relazione a tutti questi contatori, non si pone, pertanto, neppure la questione della riqualificazione della condotta di furto aggravato in quella di frode informatica, posto, che, appunto, gli imputati non erano intervenuti su alcun congegno elettronico.
Si tratta di una distinzione, necessaria, che in nessuno dei ricorsi che pongono la questione della riqualificazione, è specificata, ad eccezione del solo ricorso COGNOME, così che tutti, tranne appunto quello testè citato, difettano di specificità sul punto.
Come peccano di genericità tutti i ricorsi, ivi compreso il ricorso COGNOME non avendo affrontato quanto argomentato da entrambi i giudici del merito che avevano osservato come, comunque, anche in relazione ai contatori elettronici, gli imputati non si erano limitati ad alterare i dati contenuti nel chip di misurazione, ma, per far ciò, avevano disinstallato il contatore, che avevano portato in altro luogo, ed avevano avuto accesso alla parte elettronica forzandone i sigilli.
Entrambe tali condotte -di disinstallazione del contatore e di violazione dei sigilli -non rientrano affatto nell’ipotesi invocata della mera frode informatica non essendo dirette ad alterare, di per sé stesse, alcuno strumento elettronico, ma, invece, configuravano proprio i contestati delitti di furto, anche concretandone, in fatto, quelle circostanze aggravanti che erano state contestate e ritenute.
Si deve pertanto concludere che, anche in fatto, la richiesta riqualificazione era stata negata con motivazione priva di manifesti vizi logici.
Motivazione peraltro neppure congruamente affrontata nei ricorsi.
2.2. E, comunque, anche in diritto la comune doglianza è manifestamente infondata.
Sul punto, ovviamente, va esaminata la questione limitandone il perimetro alla alterazione dei soli contatori elettronici.
Deve muoversi dalla sentenza delle Sezioni unite COGNOME (n. 10495 del 09/10/1996) che ha fissato il discrimine fra il delitto di furto e quello di truffa proprio in relazione alla sottrazione all’ente erogatore dell’energia elettrica, per verificarne l’attualità anche in relazione alle diverse modalità -meccanica allora, elettronica oggi – di conteggio dei consumi.
In tale pronuncia si è affermato che ‘ La sottrazione di energia elettrica attuata mediante la manomissione del contatore che alteri il sistema di misurazione dei consumi integra il reato di furto e non quello di truffa; detta misurazione, infatti, ha la funzione di individuare l’entità dell’energia trasferita all’utente e quindi di specificare il consenso dell’ente erogatore in termini corrispondenti, sicché la condotta dell’agente prescinde dall’induzione in errore del somministrante ed è immediatamente diretta all’impossessamento della cosa per superare la contraria volontà del proprietario. ‘.
Un principio di diritto che certo è stato dettato in relazione all’ipotesi di truffa punita dall’art. 640 cod. pen. ma che appare, con tutta evidenza, applicabile anche al caso della frode informatica.
Innanzitutto, perché le fattispecie astratte contemplate negli artt. 640 e 640 ter differiscono soltanto per alcuni elementi; si è già, infatti, avuto modo di rilevare che il delitto di frode informatica di cui all’art. 640-ter cod. pen. ha la medesima struttura ed i medesimi elementi costitutivi della truffa, dalla quale si differenzia solamente perché l’attività fraudolenta dell’agente investe non la persona, di cui difetta l’induzione in errore, bensì il sistema informatico di pertinenza di quest’ultima attraverso la sua manipolazione (Sez. 2, n. 10354 del 05/02/2020, COGNOME, Rv. 278518 -01).
In secondo luogo, perché tali elementi di differenziazione non incidono sul giudizio delle Sezioni unite Nastasi dal momento che il punto essenziale di quel ragionamento era stato il seguente:
-è la misurazione dei consumi che ‘ ha la funzione di individuare l’entità dell’energia trasferita all’utente e quindi di specificare il consenso dell’ente erogatore in termini corrispondent i’, dovendosi così dedurre che l’utilizzo dell’energia elettrica, comunque ottenuto ma senza che la stessa risulti registrata dal contatore costituisce una ‘ condotta (che) prescinde dall’induzione in errore del somministrante ed è immediatamente diretta all’impossessamento della cosa per superare la contraria volontà del proprietario ‘.
La sentenza COGNOME aveva poi anche espressamente contrastato il ragionamento secondo il quale l’alterazione della misurazione dei consumi avrebbe, invece, costituito l’artificio che avrebbe consentito, secondo lo schema del reato di truffa, all’utente di lucrare l’ingiusto profitto dell’utilizzo dell’energia non contabilizzata.
Le Sezioni unite avevano, infatti, osservato come il contratto intercorrente fra l’ente erogatore e l’utente è un contratto di somministrazione di un bene o di un servizio, così che il primo, fissato un limite di potenza erogabile, poneva a disposizione del secondo la quantità di energia che viene, appunto, contabilizzata dal contatore. Così che tale
misurazione non consente soltanto di determinare il corrispettivo dovuto all’ente ma anche la lecita disponibilità in capo all’utente proprio di quella quantità di energia.
Ne discende che l’utente, modificando la misurazione del proprio consumo, non determina un vizio del consenso dell’ente, con il predetto artificio, ma si impossessa illecitamente della energia non contabilizzata, così consumando il delitto di furto e non quello di truffa.
Alla luce di tali precisazioni, tratte dalla sentenza COGNOME (considerando anche la conformità alla stessa della successiva giurisprudenza: Sez. 4, n. 3339 del 22/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269013 -01; Sez. 2, n. 2349 del 21/12/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 230696 -01 quest’ultima in tema di somministrazione di servizio telefonico), deve allora osservarsi come il conteggio del consumo attraverso un contatore elettronico non muta affatto il quadro giuridico descritto posto che, fermo il contratto di somministrazione che lega ancor oggi l’ente erogatore e l’utente, resta che l’energia, comunque non contabilizzata (anche con interventi sul chip successivi all’erogazione ma precedenti la sua misurazione da parte dell’ente), viene sottratta senza il consenso dell’ente (e non per essere il consenso viziato da artifici o raggiri) al quale viene pertanto illecitamente sottratta.
Le censure volte alla diversa qualificazione delle condotte di furto aggravato nel delitto di frode informatica sono pertanto tutte manifestamente infondate.
Del tutto inconferenti sono poi le pronunce di legittimità citate nei ricorsi, perché le stesse riguardano fattispecie concrete diverse, non paragonabili alla presente.
Quanto, infatti, all’appropriazione delle somme spettanti all’Agenzia Monopoli dello Stato da parte del gestore di slot machine (Sez. 5, n. 24634 del 06/04/2018, COGNOME, Rv. 273649 -01) intervenendo sul sistema informatico delle medesime, è evidente come le stesse fossero, proprio con tale artificio, rimaste nella disponibilità del gestore perché mai corrisposte all’Agenzia, configurandosi così non un peculato (a cui peraltro corrispond erebbe, a danno dell’ente erogatore privato, il reato di appropriane i ndebita e non di furto) ma una frode informatica.
Né, da ultimo, hanno pregio alcuno gli argomenti spesi da alcuni ricorrenti in ordine alla possibilità di scindere le complessive condotte di furto di energia elettrica in due diversi segmenti, il primo di frode informatica consumata dagli odierni imputati alterando la misurazione dei consumi, il secondo di furto dell’energia commesso dagli utenti del servizio a danno dell’ente erogatore. E’ infatti evidente come tutte le condotte fossero coordinate per raggiungere l’unico scopo che tutti intendevano raggiu ngere, la sottrazione illecita dell’energia elettrica, dovendo pertanto tutti rispondere, in concorso, di tale reato.
Devono ora affrontarsi le ulteriori doglianze, come argomentate nei singoli ricorsi.
3.1. Quanto al ricorso COGNOME.
Il secondo motivo (il primo è speso sulla invocata riqualificazione dei delitti in furto in quelli di frode informatica), sulla ritenuta responsabilità del ricorrente in ordine ai reati di furto aggravato al medesimo ascritti è inammissibile sia perché versato in fatto sia per la sua assoluta genericità non argomentando affatto le ragioni per le quali -fronte dell’ingente portato probatorio illustrato dai giudici del merito COGNOME avrebbe dovuto essere ritenuto estraneo ai reati di cui era stato dichiarato colpevole.
3.2. Quanto al ricorso COGNOME
Il terzo motivo (il primo era sull’eccezione processuale relativa alla omessa notifica dell’avviso di deposito della sentenza impugnata, il secondo sulla riqualificazione degli addebiti di furto aggravato), sul trattamento sanzionatorio, è inammissibile posto che le circostanze attenuanti generiche erano state congruamente negate, avuto riguardo al ruolo ricoperto dal prevenuto nella vicenda ed al numero dei reati consumati.
Circostanze che rendevano congrua anche la misura della pena.
3.3. Quanto al ricorso COGNOME.
Il primo motivo, sul proscioglimento del prevenuto dal delitto associativo per la sola prescrizione del medesimo, è inammissibile perché versato in fatto avendo il primo giudice congruamente motivato l’inesistenza di ragioni che imponessero una più ampia p ronuncia liberatoria ed avendo la Corte d’appello confermato tale giudizio che, invero, ampiamente si giustificava per l’imponente numero di reati -fine consumati, con la accertata predisposizione di mezzi, luoghi e contatti, tutti riconducibili all’azione coordinata di coloro che, come il COGNOME, ne erano stati ritenuti compartecipi.
Il terzo motivo (il secondo è sulla riqualificazione dei delitti di furto aggravato), sulla responsabilità del ricorrente in ordine a due dei reati addebitatigli, quelli descritti ai capi 51.1. e 51.2, è inammissibile perché interamente versato in fatto e perché non tiene conto di quanto argomentato sul punto dalla Corte d’appello, che aveva osservato, con motivazione priva di manifesti vizi logici, come l’imputato, pur rimasto, in quelle occasioni, a bordo del furgone, aveva consapevolmente (anche in considerazione delle emergenze dalle conversazioni interessate e dalle altre, similari, condotte consumate) accompagnato il coimputato ove questi aveva prelevato i contatori da manipolare, portandoli appunto a bordo del furgone.
Il quarto motivo, speso sulle conseguenze della riqualificazione dei furti di energia elettrica sui termini di prescrizione dei reati è manifestamente infondato non essendosi proceduto all’invocata riqualificazione.
Quanto alla ritenuta insussistenza delle circostanze aggravanti dei furti contestati, il ricorso è del tutto generico, non argomentandone le ragioni (peraltro smentite dalla ricostruzione dei fatti).
Il quinto motivo, sulla misura della pena, è manifestamente infondato. La pena base era stata congruamente calcolata e gli aumenti per la continuazione dovevano essere dieci, posto che NOME era stato ritenuto responsabili di undici reati (come si evince dal ricorso stesso oltre che dalle sentenze di merito).
3.4. Quanto al ricorso COGNOME.
Il secondo motivo (il primo è sulla riqualificazione dei delitti di furto aggravato), sul trattamento sanzionatorio, è manifestamente infondato.
Le circostanze attenuanti generiche erano state congruamente negate, avuto riguardo al ruolo ricoperto dal prevenuto nella vicenda (aveva svolto il compito essenziale di materiale operatore delle manipolazioni dei contatori) ed al numero dei reati consumati.
Circostanze che rendevano congrua anche la misura della pena.
3.5. Quanto, infine, al ricorso COGNOME.
L’unico motivo, speso sul suo concorso nei reati ascrittigli ai capi 22.1 e 22.2, è inammissibile perché interamente versato in fatto e perché non idoneo a confutare le ragioni argomentate dalla Corte d’appello, che, con motivazione priva di manifesti vizi logici, aveva osservato come la prova della sua colpevolezza fosse deducibile dalle circostanze di fatto desunte dalle riprese effettuate dal sistema di videosorveglianza che era stato installato nei pressi del laboratorio del Caruso: l’imputato aveva acc ompagnato il fratello, anche all’interno del laboratorio, ivi lasciando i contatori da alterare, ritirandoli poi quando, sopraggiunto il COGNOME, gli stessi avevano subito il programmato intervento.
Da ciò doveva dedursi una piena e consapevole compartecipazione del ricorrente alla complessiva condotta che aveva visto anche la compartecipazione del fratello e del COGNOME (oltre che degli utenti che avevano sollecitato gli interventi illeciti sugli apparecchi di misurazione)
L’inammissibilità dei ricorsi comporta l’irrilevanza, ai fini della prescrizione dei reati, del lasso di tempo trascorso, fino ad oggi, dalla pronuncia della sentenza impugnata.
Giova anche ricordare come il predetto termine sia rimasto sospeso per complessivi giorni 183: dal 3 dicembre 2019 al 31 marzo 2020 per l’astensione dei difensori e per ulteriori giorni 64 dal 31 marzo 2020 (ai sensi dell’art. 83, comma 4, del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, come precisato da Sez. U, n. 5292 del 26/11/2020, dep. 2021, Sanna).
All’inammissibilità dei ricorsi segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e, versando i medesimi in colpa, della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, in Roma il 15 aprile 2025.