Furto di Energia Elettrica: Chi Risponde se il Contatore è Manomesso?
Il furto di energia elettrica tramite manomissione del contatore è un reato che presenta complesse questioni probatorie. Chi deve dimostrare cosa? E chi è il responsabile se non si sa chi ha materialmente alterato il dispositivo? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questi aspetti, confermando un orientamento consolidato e fornendo criteri chiari per l’accertamento della responsabilità penale.
Il caso: una condanna per contatore manomesso
Il caso esaminato trae origine dalla condanna di un’utente per il reato di furto aggravato. La Corte di Appello aveva confermato la sentenza di primo grado, ritenendo provato che l’imputata avesse beneficiato di una fornitura di energia elettrica illecitamente alterata.
L’accertamento tecnico aveva rivelato una registrazione dei consumi inferiore del 62% rispetto al reale prelievo. Sebbene la modalità tecnica dell’alterazione non fosse stata specificata, il contatore presentava chiari segni di effrazione, in particolare delle scalfiture sulle viti sigillo che ne garantivano la chiusura. L’utente, tuttavia, ha deciso di ricorrere in Cassazione, contestando la logicità della sentenza e l’attribuzione di responsabilità.
I motivi del ricorso in Cassazione
Il ricorso dell’imputata si fondava su due argomenti principali:
1. La mancata dimostrazione della manomissione
Secondo la difesa, la sentenza non spiegava in modo adeguato quale tipo di manomissione avesse causato il malfunzionamento del contatore. Questa assenza di una spiegazione tecnica, a dire della ricorrente, avrebbe dovuto escludere la sussistenza stessa del reato.
2. L’incertezza sull’autore materiale
In secondo luogo, si contestava l’attribuzione di responsabilità penale all’utente, sostenendo che non vi fosse alcuna prova che fosse stata lei a eseguire materialmente la manomissione.
La prova del furto di energia elettrica secondo la Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le argomentazioni della difesa. I giudici hanno chiarito quali elementi sono sufficienti per ritenere provato il furto di energia elettrica.
La Corte ha ritenuto l’argomento sulla mancata prova tecnica inammissibile. Le sentenze dei giudici di merito avevano infatti seguito un percorso logico non censurabile: l’ente erogatore forniva regolarmente energia, ma la registrazione dei consumi era alterata in modo consistente (-62%). Questo dato, unito alla presenza di segni fisici di scasso sul contatore, costituisce un quadro probatorio solido e coerente. Non è necessario, quindi, ricostruire la specifica dinamica tecnica dell’alterazione quando il risultato (il consumo ridotto) e le prove fisiche (le viti scalfite) sono evidenti.
Le motivazioni della decisione
Le motivazioni della Corte si basano su due pilastri. Il primo è la logicità della prova indiziaria: una riduzione dei consumi così drastica non è spiegabile se non con una manomissione, e i segni fisici sul contatore corroborano questa conclusione. La Corte ha definito le affermazioni dei giudici di merito ‘aderenti al dato processuale e non manifestamente illogiche’.
Il secondo pilastro riguarda la responsabilità. La Corte ha ribadito un principio consolidato nella sua giurisprudenza: nel reato di furto di energia elettrica, a rispondere non è necessariamente l’autore materiale della manomissione, ma colui che ne trae vantaggio. Il semplice fatto di beneficiare di un’erogazione illecita, essendo titolare dell’utenza, integra il reato. Questo principio vale sia in caso di allaccio abusivo sia in caso di manomissione del contatore, anche se commessi da terzi.
Le conclusioni e le implicazioni pratiche
L’ordinanza conferma che la responsabilità per il furto di energia elettrica ricade sull’utilizzatore finale. La prova del reato non richiede la dimostrazione di complesse procedure tecniche di alterazione, ma può basarsi su elementi logici e fattuali, come un consumo anomalo e segni di effrazione. Per chi è titolare di un’utenza, ciò significa che ha il dovere di assicurarsi che tutto sia in regola, poiché la legge presume che sia proprio l’utente il beneficiario e, quindi, il responsabile di eventuali illeciti.
Per provare il furto di energia elettrica è necessario dimostrare la tecnica esatta di manomissione del contatore?
No, secondo la Corte di Cassazione non è necessario. Una consistente e anomala riduzione dei consumi registrati, unita a segni visibili di effrazione sul contatore (come graffi sulle viti sigillo), costituisce una prova logica e sufficiente della manomissione e del reato.
Chi risponde del furto di energia elettrica se non si sa chi ha materialmente manomesso il contatore?
Risponde la persona che beneficia dell’erogazione indebita di energia. La giurisprudenza consolidata stabilisce che l’utilizzatore finale è responsabile del reato, anche se la manomissione o l’allaccio abusivo sono stati materialmente compiuti da terze persone.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la conferma della decisione impugnata. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, in assenza di motivi di esonero, al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35992 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35992 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/02/2025 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale di Termini Imerese emessa in data 16 novembre 2023 che aveva condannato COGNOME NOME per il reato di cui agli artt. 624 e 625 n. 2 e 7 cod.pen.
L’imputata ricorre avverso la sentenza della Corte di appello lamentando, con due motivi di ricorso, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabi penale nei suoi confronti.
Il primo motivo, con il quale si contesta la tenuta logica della sentenza quanto alla mancat dimostrazione della affermata manomissione, è inammissibile. Secondo la ricorrente, non vi sarebbe alcuna spiegazione in ordine alla tipologia di manomissione che aveva portato il malfunzionamento del contatore con conseguente contabilizzazione al ribasso dell’energia, e tanto varrebbe ad escludere la sussistenza del reato. Sul punto la sentenza impugnata, unitamente a quella del primo giudice, chiarisce che l’ente erogatore ha regolarmente fornito energia elettrica senza poter verificare, se non attraverso un accertamento in loco, l’alterazio della registrazione del consumo nella consistente misura del 62%. Detta consistente alterazione al ribasso non sarebbe altrimenti spiegabile se non con una manomissione del contatore che, infatti, presentava visibili scalfiture sulle viti sigillo che ne assicuravano la chiusura. Si affermazioni aderenti al dato processuale e non manifestamente illogiche, come tali incensurabili nella presente sede di legittimità.
Anche il secondo motivo, con il quale si contesta la attribuzione della responsabilità per n esservi prova della esecuzione della manomissione, è manifestamente infondato. Il reato di furto di energia elettrica è integrato , per costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità il fatto di essersi avvalsi di una erogazione indebita, anche in caso in cui l’allaccio abusivo manomissione siano commessi da altri (Sez. 5, n. 19119 del 16/03/2004, COGNOME, Rv. 227749 – 01; Sez. 5, n. 42602 del 23/09/2015, PG in proc. de Novaro, Rv. 266411 – 01).
Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, in data 7 ottobre 2025.