Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45367 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45367 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ROGHUDI il 07/06/1970
avverso la sentenza del 16/04/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo violazione di legge e/o vizio motivazionale con un primo motivo in relazione all’improcedibilità del reato in contestazione per difetto di querela, con un secondo motivo in relazione all’intervenuta condanna non essendo il quadro indiziario a suo carico dotato della necessaria gravità, precisione e concordanza e con un terzo motivo in punto di trattamento sanzionatorio, diniego delle circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi.
Gli stessi, in particolare, non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito.
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente, in concreto, non si confrcnta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
2.1. Manifestamente infondato è il motivo in punto di procedibilità
Tra le circostanze aggravanti contestate e ritenute dai giudici del merito, infatti, vi è quella che il fatto è stato commesso su cose (l’energia elettrica) desti nate a pubblico esercizio o a pubblica utilità. E costituisce ius receptum che il reato di furto di energia elettrica deve ritenersi tuttora procedibile d’ufficio, pur a fron delle modifiche introdotte dal d.lgs. 150, 1 2022 al regime di procedibilità dei delitti di furto in quanto la procedibilità e querela disposta dalla novella legislativa è esclusa, tra l’altro, qualora ricorra taluna delle circostanze ex articolo 625, numeri 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede, nonché 7bis. (cfr. ex multis Sez. 7, ord. n. 24492 de,I 12/06/2024, COGNOME, non mass.; conf. Sez. 4 n. 669 del 21/12/2023, Giustino, non mass.; Sez. 4 n. 46859 del 26/10/2023; Licata, non mass. ; Sez. 5, n. 1094 del 3/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282543; Sez. 4 n. 9452 dell’8/2/2023, COGNOME, non mass.).
2.2. Quanto alla doglianza in punto di affermazione di responsabilità, la stessa è manifestamente infondata in quanto non si confronta criticamente con la sentenza impugnata che, con motivazione logica e congrua, ricorda come in esito all’istruttoria dibattimentale, risulta accertato oltre ogni ragionevole dubbio, anche per mezzo dell’intervento tecnico del personale ENEL, che l’imputato si sia abusivamente allacciato alla rete elettrica pubblica al fine di approvvigionare la propria
abitazione. La circostanza che lo COGNOME non sia stato visto materialmente realizzare l’allaccio abusivo, invocata dalla difesa, è stata logicamente ritenuta assolutamente irrilevante atteso che dagli atti è emerso inequivocabilmente che l’abitazione fosse nella sua disponibilità e che egli, unico occupante dell’immobile, al passaggio dell’autovettura di servizio, si sia premurato di spegnere le luci.
Sul punto la sentenza impugnata opera un corretto governo dei pacifici principi secondo cui risponde del reato di furto di energia elettrica, aggravato dalla violenza sulle cose, colui che si sia avvalso consapevolmente dell’allaccio abusivo alla rete di distribuzione realizzato da terzi (Sez. 5, n. 24592 del 30/4/2021, Rv. 281440- 01) e in tema di furto di energia elettrica, l’aggravante della violenza sulle cose – prevista dall’art. 625, primo comma, n. 2), cod. pen. – è configurabile anche quando l’allacciamento abusivo alla rete di distribuzione venga materialmente compiuto da persona diversa dall’agente che si limiti a fare uso dell’allaccio altrui, trattandosi di circostanza di natura oggettiva, valutabile a carico dell’agente se conosciuta o ignorata per colpa, con la conseguenza che la distinzione tra l’autore della manomissione e il beneficiano dell’energia può rilevare, ai fini della configurabilità del reato o della circostanza aggravante, SDIO nel caso in cui incida sull’elemento soggettivo” (Sez. 4, sent. n. 5973 del 5/2/2020, Rv. 278438 – 01) atteso che, come affermato nella pronuncia citata, l’imputato, se in buona fede, avrebbe dovuto rivolgersi all’ente erogatore del servizio e sollecitare l’inoltro delle fatture per i consumi.
2.3. manifestamente infondate sono anche le doglianze in punto di dosimetria della pena e di diniego delle circostanze attenuanti generiche.
La motivazione in punto di dosimetria della pena nel provvedimento impugnato è logica, coerente e corretta in punto di diritto (sull’onere motivazionale del giudice in ordine alla determinazione della pena cfr. Sez. 3, n. 29968 del 22/2/2019, COGNOME, Rv. 276288-01; Sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, COGNOME, Rv. 271243).
Con riguardo alle circostanze attenuanti di cui all’art. 62 bis cod. pen. la Corte territoriale ha ritenuto motivatamente di negarle sul rilievo che, anche alla luce del curriculum criminale dell’appellante, non si ravvisano elementi utili da poter considerare positivamente per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, non avendo l’imputato fornito alcun contributo all’accertamento dei fatti, né mostrato alcun segno di resipiscen7a per la propria condotta e non potendosi considerare a tal fine l’ipotesi difensiva dello scarso consumo, che si risolve in una mera congettura.
Il provvedimento impugnato appare, pertanto, collocarsi nell’alveo del costante dictum di questa Corte di legittimità, che ha più volte chiarito che, ai fini
dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabil dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, COGNOME e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell’imputato, nonché al suo negativo comportamento processuale).
2.4. Quanto alla doglianza afferente alla motivazione in punto di diniego della sospensione condizionale della pena, la stessa è manifestamente infondata, in quanto la Corte territoriale ha ritenuto che, alla luce dei precedenti giudiziari, non sussistono i presupposti per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
In proposito, va ricordato che, in tema di sospensione condizionale della pena, il giudice di merito, nel valutare la concedibilità del beneficio, non ha l’obbligo di prendere in esame tutti gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti (cfr. Sez. 3, n. 30562 de 19/3/2014, Avveduto ed altri, Rv. 260136; conf. Sez. 2, n. 19298 del 15/4/2015, COGNOME, Rv. 263534; Sez. 3, n. 6641 del 17/11/2009 dep. 2010, Miranda, Rv. 246184, in un caso in cui la Corte ha ritenuto esaustiva la motivazione della esclusione del beneficio fondata sul riferimento ai precedenti penali dell’imputato).
Questa Corte ha precisato, in situazioni speculari rispetto a quella che ci occupa, che, ai fini del giudizio circa !a concedibilità o meno della sospensione condizionale della pena, la presenza di precedenti condanne per reati poi depenalizzati può legittimamente essere valutata dal giudice come elemento ostativo alla presunzione che il colpevole si asterrà, per il futuro, da c2rnmettere ulteriori reati. (così Sez. 5, n. 34682 del 11/2/2005, COGNOME, Rv. 232312 – 01 che ha ritenuto legittimo il diniego del beneficio deciso dal giudice di merito sulla base della valutazione di precedenti condanne dell’imputato per emissione di assegni senza copertura, significative ai fini del giudizio prognostico; conf. Sez. 4, n. 41291 del 11/9/2019, COGNOME, Rv. 277355 – 01)
A sostegno della correttezza delle argomentazioni oggetto di censura, sembra utile richiamare Sez. 7, Ord. n. 30345 del 7/6/2023, COGNOME, Rv. 285098, secondo cui, in tema di sospensione condizionale della pena, anche dopo l’introduzione dell’art. 115-bis cod. proc. pen., teso a rafforzare la presunzione di innocenza in favore dell’indagato e dell’imputato, il giudice può fondare il giudizio prognostico di cui all’art. 164, co. 1, cod. pen. sulla capacità a delinquere dell’imputato desunta anche dai precedenti giudiziari ex art. 133, co. 2, n. 2 cod. pen., afferendo i me-
desimi, indipendentemente dall’essersi tradotti in una condanna definitiva, alla condotta e alla vita del reo, antecedenti al reato.
Né può porsi in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen (così Sez. U. n. 32 del 22/11/2000, COGNOME, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. U., n. 23428 del 2/3/2005, COGNOME, Rv. 231164, e Sez. Un. n. 19601 del 28/2/2008, COGNOME, Rv. 239400; Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, COGNOME, Rv. 256463).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 21/11/2024