Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17301 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17301 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/04/2025
SENTENZA
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha sul ricorso proposto da: NOME NOME nata a Melzo (MI) il 13/04/1976 avverso la sentenza del 28/11/2024 della Corte d’appello di Milano; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano che ha dichiarato NOME NOME colpevole del furto di energia elettrica, sottratta (in concorso con altro imputato deceduto, nelle more) a un presidio ospedaliero: fatto aggravato dalla violenza sulle cose e dall’essere stato commesso su cose di pubblica utilità o esistenti in uno stabilimento pubblico, nonché dalla recidiva specifica infraquinquennale.
Avverso la detta sentenza, il difensore di fiducia della COGNOME ha proposto ricorso per Cassazione, sulla base di due motivi.
2.1. Col primo deduce vizi motivazionali e violazioni di legge, contestando la sussistenza del reato e, in particolare, l’effettiva sottrazione di energia elettrica.
Nonostante il ritrovamento di “stufette elettriche con allacciamenti abusivi alla rete elettrica”, di cui aveva parlato COGNOME NOME, vicedirettore medico, non sarebbe mai stato accertato l’effettivo funzionamento dell’allaccio ed il reale utilizzo di energia elettrica e, prima ancora, l’effettiva esistenza di un contratto di fornitura di energia elettrica in capo al nosocomio, relativo ad una sua parte in disuso. La difesa deduce che i giudici abbiano presunto il funzionamento dell’allaccio basandosi sulle dichiarazioni della COGNOME e dell’elettricista, COGNOME COGNOME che si era occupato del distacco di detto allaccio, senza appurarne il funzionamento in concreto e la reale sottrazione di energia elettrica.
Si sostiene, poi, la carenza di prova circa la riconducibilità della condotta all’imputata, atteso che la Steola non era stata identificata all’interno dell’area incriminata (la parte in disuso di INDIRIZZO). La Corte d’appello aveva riportato una serie di annotazioni di servizio a suffragio della propria tesi che tuttavia non riguardavano il luogo del contestato furto. Infatti, in data 30/1/2015 la Steola veniva identificata all’interno dell’ala vecchia, che non era quella in disuso ove era presente l’allaccio abusivo, bensì quella adibita ad archivio, ove la medesima imputata aveva ammesso di alloggiare.
Al riguardo, peraltro, le dichiarazioni che la stessa aveva reso agli operanti non avrebbero potuto essere utilizzate, in quanto non da lei sottoscritte, onde consentire al giudicante di verificarne i contenuti ed evitare possibili abusi, o anche solo involontari malintesi, da parte dell’autorità di polizia. In ogni caso, l’imputata mai aveva ammesso di abitare il luogo in cui era stato rinvenuto l’abusivo allaccio.
COGNOME NOME e COGNOME NOME, pur riconoscendo la COGNOME come abitante nell’ospedale, non l’avevano, però, collegata specificamente all’area in disuso in questione. Dunque, anche la mancata dissociazione dalla condotta criminosa, valorizzata dalla Corte d’appello, era irrilevante, non essendo mai stata identificata l’imputata come abitante nell’area incriminata.
2.2. Col secondo motivo, parte ricorrente lamenta violazione di legge e vizi di motivazione in merito alla riconosciuta aggravante di violenza sulle cose, ritenuta in base ad una fotografia che mostrava un cavo collegato a una scatola di derivazione divelta, estranea alla contestazione.
Tuttavia, dalle sommarie informazioni rilasciate il 20/1/2015 dalla COGNOME si desumeva che la fotografia predetta ritraesse delle prese in effetti danneggiate, ma collocate nel locale archivio ove la signora COGNOME si sarebbe spostata dopo la
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metà di gennaio 2015, e non certo l’allaccio abusivo cui il capo d’imputazione faceva riferimento, presente in altro luogo, tanto che nessuno strumento elettrico risultava ivi collegato.
L’elettricista COGNOME l’unico ad aver visionato l’allaccio, aveva, peraltro, semplicemente riferito di un “cavo elettrico che si allacciava abusivamente alla scatola di derivazione della linea elettrica”, senza menzionare alcun danneggiamento. Il cavo, inoltre, per parte ricorrente era stato distaccato senza necessità di ripristino dei luoghi: il che indicava l’assenza di un danno, anche marginale.
Secondo la difesa, esclusa l’aggravante di cui all’art. 625, comma 1, n. 2, cod. pen., il termine di prescrizione di sei anni sarebbe ampiamente decorso in data 2 febbraio 2021, data antecedente al primo atto interruttivo individuato nella richiesta di rinvio a giudizio del 14 marzo 2023.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, poiché generico e mirante alla mera rivalutazione del materiale istruttorio.
È noto che sia radicalmente inammissibile ogni censura che si risolva in doglianze in fatto che sottopongano al giudice di legittimità una diversa valutazione delle prove raccolte. Tanto esula dal novero dei vizi deducibili ex art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., con limiti non aggirabili, ovviamente, col mero richiamo di violazioni normative o della violazione della lettera c) della medesima norma, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 192, 125 e 546 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, NOME, Rv. 280027-04): salvo non emergano omissioni, contraddizioni o illogicità manifeste e, ovviamente, decisive.
Queste ultime, in quanto «manifeste», devono essere tali da apparire di lapalissiana evidenza per esser la motivazione fondata su congetture implausibili o per avere la stessa trascurato dati di superiore valenza (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessinnone, Rv. 207944-01; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205621-01; Sez. 1, n. 45331 del 17/02/2023, Rv. 285504-01; Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, Rv. 278609-01): tanto più nel caso di decisioni di merito conformi, che, come noto, si saldano tra loro in un unicum motivazionale da valutare nel suo complesso (Sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Rv. 252615-01; Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, Rv. 197250-01).
In estrema ed efficace sintesi, «la manifesta illogicità della motivazione, prevista dall’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., presuppone che la
ricostruzione proposta dal ricorrente e contrastante con il procedimento argomentativo recepito nella sentenza impugnata sia inconfutabile e non rappresenti soltanto un’ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza» (Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, dep. 2021, Rv. 280589-02), essendo, per contro, «inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessor della valenza probatoria del singolo elemento» (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Rv. 280747-01; così pure Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965-01).
E neppure di travisamento della prova può, qui, parlarsi.
Tale vizio è insito nella mancata valutazione di una prova esistente (travisamento per omissione) o nell’utilizzazione di una prova inesistente (travisamento per invenzione) o esistente, ma con erronea percezione del suo oggettivo “significante” (travisamento delle risultanze probatorie): sempre che, per giunta, detto travisamento sia decisivo (Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, Rv. 283777-01). «In questi casi non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano (cfr. tra le altre Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, COGNOME, Rv. 238215). Invero il vizio di “contraddittorietà processuale” vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice del dato probatorio nei termini di una “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, COGNOME, Rv. 234167; Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, COGNOME, Rv. 234605)» (così Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Rv. 283370-01, in motivazione).
Nella specie, non vi sono prove, inequivocabilmente decisive nel sovvertire la decisione impugnata, che, inesistenti, risultino utilizzate o, esistenti, pretermesse o valutate in modo difforme dal loro oggettivo “significante”.
La ricorrente – per giunta, in modo inammissibile, in base a prove non trascritte o allegate in modo integrale e neanche oggetto di indicazione di loro specifica allocazione (Sez. 4, n. 3937 del 12/01/2021, Rv. 280384-01 e Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Rv. 270071-01) – si limita a chiedere – come anticipato una diversa interpretazione del compendio probatorio, inibita in questa sede, ove pure “mascherata” da assunte violazioni di legge (inesistenti, non essendo qui in dubbio la – errata – applicazione o interpretazione di norme ai fatti rimasti
incontestati, essendosi bensì chiesta una loro diversa ricostruzione).
Si contesta, dunque, da parte ricorrente, la valutazione operata in sede di merito, in cui, in modo razionale ed esaustivo, di certo non contraddittorio o manifestamente illogico, s’è ritenuto che fosse provato l’abusivo prelievo di energia elettrica in base a quanto riferito dal direttore medico di presidio, COGNOME COGNOME secondo cui l’allaccio in questione «alimentava un gruppo di prese “collegato” ad una stufetta elettrica e ad un fornelletto», i quali, «diversamente da quanto scritto nell’atto di appello», erano «attaccati alle prese». Insomma, non era vero quanto asserito con l’appello, circa il mancato collegamento all’allaccio abusivo di elettrodomestici.
Circa l’effettivo passaggio di energia elettrica, la difesa ricorrente non si confronta neppure con l’ulteriore affermazione della sentenza d’appello, secondo cui «sia COGNOME sia COGNOME, sia l’assistente amministrativo NOME NOME COGNOME» avevano spiegato che il cavo abusivo era allacciato «alla scatola di derivazione della linea elettrica luci esterne e non ad una scatola di derivazione relativa all’interno dell’area dismessa», e che, «malgrado l’esistenza di un’area in disuso, il nosocomio era funzionante, per cui lo erano anche le sue luci esterne, alimentate da passaggio di corrente, di cui vi fu sottrazione ed impossessamento con il menzionato cavo».
Peraltro, secondo la Corte territoriale, «se non vi fosse stato passaggio di energia elettrica, non vi sarebbe stato alcun senso nel collegare questi apparecchi al cavo, perché essi non avrebbero funzionato».
Per giunta, ancora, si rimarca, nella sentenza d’appello, che, nella querela presentata dal menzionato direttore, NOME COGNOME questi aveva precisato che il cavo elettrico fosse «”molto pericoloso”, trattandosi di cavo scoperto, attraverso il quale, evidentemente, la corrente passava».
Plurimi dati, menzionati alla pagina 4 della sentenza d’appello, costituiscono, secondo giudici di merito, «plurimi indizi gravi, precisi e concordanti circa il coinvolgimento, a titolo concorsuale, dell’imputata nel reato», anche perché «le uniche persone che, dall’agosto 2014 al febbraio 2015, furono ripetutamente notate introdursi e dimorare abusivamente all’interno dell’edificio ospedaliero sono l’odierna imputata e il suo compagno COGNOME. Esse, controllate dai Carabinieri il 19 gennaio 2015, ammisero di aver alloggiato nel dormitorio di fortuna, allestito nel locale ospedaliero destinato ad archivio temporaneo, in cui furono rinvenute le apparecchiature elettriche collegate alla presa multifunzione alimentata dal cavo abusivo. Dopo questo controllo delle Forze dell’Ordine, la stessa coppia reiterò la
condotta in un’altra area del nosocomio» (p. 4 sentenza d’appello).
Parte ricorrente neppure si confronta con tutti i dati probatori elencati a supporto della decisione, non chiarendo se e quali di essi siano stati (eventualmente) travisati: ed è noto che l’omessa considerazione di alcuni dei decisivi argomenti su cui si basa il provvedimento impugnato comporta, di per sé, l’inammissibilità del ricorso, restando essi insuperabili, se non esprimendo un giudizio di merito precluso in sede di legittimità (Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, Rv. 286468-01; Sez. 3, n. 3953 del 26/10/2021, dep. 2022, Rv. 282949-01; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Rv. 259425-01).
A riguardo, è appena il caso di rilevare – quanto alle dichiarazioni della stessa COGNOME – come sia pacifico che, in tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali, a pena di inammissibilità per genericità del motivo, non solo indicare gli atti specificamente affetti dal vizio, ma soprattutto chiarirne, altresì, l’incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, di modo da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 1219 del 12/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278123-01; confronta, negli stessi termini, Sez. 5, n. 25082 del 27/02/2019, COGNOME, Rv. 277608-02).
Quanto all’aggravante dell’uso della violenza sulle cose, parte ricorrente non spiega, ancora una volta, su quali dati di fatto oggettivi possa dirsi esservi stato il travisamento della foto indicata nella sentenza d’appello.
In particolare, si legge in essa che «in una delle fotografie allegate all’informativa di reato in data 20 gennaio 2015», «si vede chiaramente che il cavo è collegato alla scatola di derivazione, divelta rispetto al suo alloggiamento originario».
Parte ricorrente sostiene l’erronea rappresentazione, nella foto, di altro allaccio abusivo, diverso da quello in contestazione: senza, però, fornire elementi inoppugnabili circa l’ipotizzato travisamento di prova, ancora una volta proponendo, dunque, una censura inammissibile, volta non alla constatazione del detto travisamento, bensì ad una diversa valutazione del materiale probatorio.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della sanzione pecuniaria, a favore della cassa delle ammende, nella misura in dispositivo, congrua in rapporto alle ragioni dell’inammissibilità ed all’attività processuale che la stessa ha determinato, valutata la colpa nella determinazione della stessa causa di inammissibilità (Corte Cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 09/04/2025.